IL VIRUS DELLA DEMOCRAZIA (SUPERFLUA)

Il virus contagia democrazie e politica. La Costituzione è negletta; il lemma “democrazia” ammuffito di retorica, un concetto arcaico. QUESTA DESCRIZIONE E’ TUTTAVIA MENO COMPLICATA DELLA REALTA’ CHE CI DEVASTA. [Serie in corso di pubblicazione sul blog Stilum Curiae, di Marco Tosatti, al quale esprimo la mia gratitudine].                               Aggiornata al 3 Giugno 2020

PARTE I – CI PORTANO IN GUERRA?

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1) CI PORTANO IN GUERRA?
2) CHE COS’ È LA GUERRA?
3) CENSURA DI GUERRA
4) UNIRE LE FORZE DEL BENE
5) EBREI E CATTOLICI
6) S. S. PIO XII – clicca per trovarlo qui

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Quando nacque si chiamava Wuhan Coronavirus, “2019-nCoV”. Il governo cinese costrinse in quarantena 59milioni di cinesi della provincia di Hubei e 30milioni di tre città: Wuhan, Huanggang ed Ezhou, della provincia di Zhejiang, a breve distanza da Shangai. Chiunque s’avventurò fuori dalle zone cinturate e dai condomini sigillati fu abbattuto.
Nonostante queste terapie, i dati diffusi sin dal primo momento da Pechino certificavano che la Cina mentiva (e mente tuttora) sulla reale dimensione dell’infezione e dei decessi. Lancet, la rivista scientifica, Bibbia in questo genere, accredita d’altronde al virus un alto tasso di mortalità, ben più del modesto due percento assicurato da Pechino nei primi comunicati. C’era quindi un pericolo rilevante per la salute pubblica mondiale. Stendiamo un velo sul dilettantismo col quale ha reagito il governo italiano. La Cina non ha fornito dati plausibili per almeno due mesi sull’origine e sulla diffusione del virus.
Che cos’è accaduto? Il professor Roujian Lu del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive, ha dichiarato in un articolo del 30 gennaio su Lancet: «La mutazione non è la probabile causa della comparsa di questo virus.» In altre parole, c’è una manina che ha portato il virus dai laboratori alle strade di Wuhan. Quale?
Cominciamo col dire che un virus debole, contrariamente a quanto si può presumere, ha una peculiare importanza militare. Chi voglia invadere un territorio, per esempio l’isola di Taiwan, non può proporsi di uccidere tutta la popolazione, non sarebbe telegenico.
Il Coronavirus diventa quindi uno strumento adatto a mettere fuori combattimento popolazione e combattenti, peraltro con buone probabilità di dissimulare un’infezione propagatasi naturalmente. Questo dà agio di andare in soccorso della popolazione infettata, per poi rimanervi.
Inizia la disinformazione. Potrebbe accadere lo stesso all’Italia? Si direbbe di sì, addirittura per mano dei russi. È quanto si legge nell’intervista, rilasciata a La Stampa da Hamish De Bretton-Gordon, un colonnello piccolo a piacere fra gli innumerevoli della NATO, molti anni fa era comandante del Joint Chemical, Biological, Radiological and Nuclear Regiment, del NATO’ s Rapid Reaction.
Le immagini dell’intervista lo accreditano come super Rambo, il quale assicura che il reparto di esperti di guerra biologica, inviato in aiuto all’Italia, da Vladimir Putin, sta in realtà facendo intelligence.
Insomma, mentre la UE ci sta incravattando con prestiti a usura[1], un “aiuto” di 20 miliardi per il quale dobbiamo darne 25 in garanzia, mentre la banca tedesca Commerzbank invita a vendete i titoli italiani perché “diventeranno spazzatura”, qual è il pericolo? L’intelligence dei russi.
L’ambasciatore russo ha scritto a La Stampa. Quanti sanno leggere tra le righe del linguaggio diplomatico comprendono che l’articolo non fa onore né a La Stampa né al giornalismo italiano, ammalato grave d’altronde da molto tempo.
Noi non siamo diplomatici e spieghiamo al lettore dov’è la trappola nell’articolo de La Stampa, oltre a distrarci dai cravattari tedeschi.
La parola “intelligence” solletica la fantasia dei lettori e lo zelo dei giornalisti pecoroni. In realtà qualunque militare, di qualunque nazione, persino i militari italiani in giro per il mondo hanno il dovere di fare intelligence, cioè raccogliere informazioni utili al proprio paese.
Sarebbe davvero singolare se i russi non si chiedessero da dove arriva il virus e chi lo ha messo in circolazione. Non è detto infatti che le due entità coincidano. Per esempio, può essere nato in Cina, per essere poi diffuso da agenti europei; non ci sarebbe nulla di che meravigliarsi.
I russi fanno bene a indagare, nonostante tale curiosità non sia condivisa né dal nostro governo, diciamolo così, né dalla NATO. Suvvia, qualche curiosità sulle origini di quanto accade in Italia dovrebbero pur averla il Rambo, i suoi suggeritori e i suoi amanuensi. Essi dovrebbero indagare, proprio come dicono stiano facendo i russi, su quanto accade in Italia, un paese alleato dopo tutto. Domanda ai due autori dello scoop: non vi siete chiesti se alla NATO, alleanza militare cui apparteniamo, sono davvero diventati scemi per non indagare su un virus dilagante in un paese alleato, l’Italia? Oppure, cari candidati al premio Pulitzer per la fuffa, non era il caso di chiedere a Rambo se alla NATO, alleanza militare, forse hanno già le risposte?
Lo scoop di Jacopo Iacoboni e Natalia Antelava omette l’unica domanda sensata che avrebbero dovuto porre al Rambo, addirittura ex comandante di reparto specializzato della NATO, l’alleanza comatosa, oggi in balìa del IV Reich: «Comandante, può spiegarci perché la NATO – di cui l’Italia è membro fondatore – non ha mosso un dito per aiutare l’Italia? Perché non ha inviato il reparto da lei già comandato, almeno per indagare sul virus, come stanno facendo i russi? Perché la Russia ha aiutato l’Italia mentre i suoi alleati tedeschi, olandesi, danesi cercano di affondarla?».
Virus, disinformazione e interessi inconfessabili La risposta avrebbero dovuto darla i giornalisti de La Stampa, intervistando il loro Rambo. Eppure la garbata ma ferma lettera dell’ambasciatore russo, non bastò loro a comprendere la gravità dei fatti e del proprio comportamento. La successiva comunicazione del ministero della Difesa di Mosca, dura e difficilmente contrastabile, è stata accolta tanto dal direttore del giornale, Maurizio Molinari, quanto dal Comitato di Redazione, col vecchio, patetico espediente di attaccare il mittente senza rispondere nel merito e invocando, neanche a dirlo, la “libertà di stampa”. La Stampa accusa i russi di volerli intimidire. In realtà Mosca “parla alla nuora perché suocera intenda”, relegando il giornale torinese nel ruolo di nuora, persino un po’ meno.
Conclude infatti il comunicato russo: «Contrariamente ai falsi propinati da La Stampa, gli obiettivi della missione russa del 2020 a Bergamo sono aperti, concreti, trasparenti e puri». I russi erano stati accusati di fare intelligence. Chi non si chiederebbe da dove arriva il virus? O ci sono altre preoccupazioni inconfessate nelle fonti diplomatiche e di intelligence, dichiarate da La Stampa?
I russi puntualizzano: «Si tratta di aiutare il popolo italiano che si è trovato in difficoltà per via della pandemia di Covid-19, senza chiedere nulla in cambio. E il miglior premio per gli sforzi degli specialisti militari russi saranno le vite e la salute salvati del maggior numero possibile di cittadini della eterna» – badate bene è scritto proprio così -«eterna Repubblica Italiana». In altri termini “l’Italia non si tocca”. Devono dirlo i russi, in questo momento, che l’Italia non si tocca?!? La storia è davvero divertente e carica di ironia.
La conclusione del comunicato è ancora più chiara per chi sappia leggerla: «Per quanto concerne i committenti veri della campagna mediatica russofoba di La Stampa, che ci sono noti, consigliamo loro di imparare un’antica saggezza: Qui fodit foveam, incidet in eam (chi scava una fossa vi cade dentro). O, per essere ancora più chiari: Bad penny always comes back».
Un proverbio latino, lingua ben nota in Vaticano, non è usuale nei testi ufficiali russi. Un proverbio inglese, espresso in forma americana chiude un cerchio.
Sbaglia il lettore che tiri le conclusioni e punti il dito su Bergoglio e su Trump. I russi ci hanno solo detto che le fonti de La Stampa conoscono il latino e l’inglese americano; niente di più, per ora; in futuro si vedrà.
È significativo invece il silenzio dell’ordine dei giornalisti e delle altre testate. Lo spiegheremo più avanti.
Anche il più ingenuo ha ormai compreso quanto la battaglia politica intorno al Covid-19 – indipendentemente dalle origini del virus – abbia almeno due aspetti interconnessi.
Primo. Il virus è un’occasione di rapinare ulteriormente le ricchezze italiane.
Secondo. La disinformazione è un’arma per quanti vogliono rapinarci o consentire che accada.
La possibilità offerta da Internet di scoperchiare queste verità preoccupa moltissimo il Potere, il quale ha a sua volta due alternative tendenziali: può essere autoritario e disonesto oppure democratico e onesto.
Reputiamo intuitivo che un Potere tendenzialmente autoritario come l’Unione Europea non può essere onesto, così come i suoi vassalli.
Il Potere autoritario e disonesto ha, com’è peculiare a ogni Potere, due leve: risorse (di qualunque specie) e consenso.
Le risorse sono attagliate alla missione. Se è un Potere militare, ha necessità soprattutto di risorse militari. Se è un Potere mafioso, ha necessità di risorse militari, economiche, politiche. Il Potere politico è assetato di risorse d’ogni tipo. Il Potere politico disonesto e autoritario è vocato a sottrarre le risorse disponibili per tutti per restringerne la disponibilità alla propria oligarchia di vertice.
L’Unione sovietica aveva una Nomenklatura. Analoghe oligarchie disoneste sono individuabili negli USA, nella UE, nei suoi membri, in Italia, nei circoli finanziari, ai vertici dei partiti, nelle categorie produttive e in quelle statali.
Poteri e sottopoteri disonesti hanno la missione, lo ripetiamo, di «sottrarre le risorse disponibili per tutti per restringerne la disponibilità alla propria oligarchia di vertice». È un motore a due vie: il denaro verso l’alto, i problemi verso il basso.
Il Potere necessita del consenso, altrimenti crolla Il consenso può essere volontario oppure è imposto con la forza, col terrore, con la manipolazione.
Il terrore (da non confondersi col “terrorismo”) è l’applicazione della forza del Potere senza limiti o intermediazioni: ti uccido, ti incarcero, ti impoverisco, ti diffamo, ti porto via i figli, ti affamo. Non di meno mi autocertifico quale “potere democratico”, semmai sono costretto a limitare “provvisoriamente le tue libertà per il tuo bene, solo per il tuo bene, ovvio”. In questo modo metto mano alla manipolazione del consenso. Essa è l’applicazione della forza mediante anestetici sociali: disinformazione, terrorismo, politicamente corretto, demonizzazione delle opinioni, creazione di gruppi apparentemente antagonisti in realtà al servizio dell’oligarchia dominante, il decadimento culturale…
Il Potere autoritario e disonesto, erto come una divinità intoccabile sui cittadini dominati, s’accredita una sacralità normativa che non consente eresie ed esige genuflessioni. Il vertice di questo potere esige la sottomissione di schiavi senza tentennamenti incontrollabili. Una Fede che sancisca la libertà dell’individuo è incompatibile col Potere.
«Lo vuole la UE», «Lo vuole il mercato», «Lo vuole la scienza», «Lo esige la libertà di stampa», «Lo esige la libertà dell’individuo» hanno altrettanti riflessi normativi, alla prova dei fatti mirati proprio al danno del cittadino, della sua libertà, della sua salute, della sua convivenza civile.
È facile per gli opinionisti o i giornalisti in buona fede, come per esempio i malcapitati de La Stampa, entrare in giochi non perfettamente comprensibili, cadendo in due trappole altrettanto pericolose: il complottismo senza obiettivi concreti oppure, com’è stato il caso de La Stampa, la strumentalizzazione delle proprie capacità.
Quando il Potere s’avvede che la manipolazione è inefficace ad assicurare il consenso, perché insufficienti gli anestetici sociali, gli strumenti normativi usuali, le consuetudini indotte, allora sposta la sua azione verso un traguardo più prossimo al terrore, istituendo una commissione “anti-fakenews”, al di fuori del circuito costituzionale, anzi in diametrale opposizione allo spirito e alla lettera della libertà di pensiero, sancita dalla Costituzione, altrimenti acclamata “la più bella del mondo”.
Le tivvù pubblica e privata propagandano la necessità di fidarsi solo dei “professionisti dell’informazione”. Lo schermo spara notizie vere screditate come bugie, accredita testate che spargono falsità e nascondono verità, oppure dimenticano di porre domande.
Il falso derivante da livelli alti – come sistematicamente accade almeno dal 1990 – certifica la nostra immersione in acque ostili, mentre si accusa di complottismo quanti denunciano la genuflessione ai poteri autoritari e disonesti. In altre parole, i poteri costituzionali sono afflitti da una progressiva ostilità verso i diritti costituzionali dei cittadini. Si è costituita una nuova casta, una neo nobiltà alla quale si accede per cooptazione sulla base dell’utilità derivante dalla capacità di violare i diritti costituzionali dei cittadini a vantaggio di del vertice dell’oligarchia. Il famigerato “Gruppo Bilderberg” è uno di questi esempi, ma non è l’unico. È tuttavia importante ricordarlo perché da ultimo esso ha cooptato il governo della Santa Sede, la quale è quindi schierata coi nemici del popolo.
Per inciso, occorre aggiungere qualcosa sul sistematico utilizzo di parole inglesi a dolcificare norme autoritarie. Non è solo provincialismo becero, rispondendo pure allo scopo di confondere dolosamente il cittadino. La Corte Costituzionale, non avendo posto un argine insormontabile a tale sconcezza, se n’è fatta complice attiva, la corte vocata a difendere la Costituzione.
Nonostante tutto il Potere teme di non potersi preservare solo grazie a servi imbecilli o vocianti capipopolo. Alle viste c’è l’uomo della Provvidenza, nel 2020, dopo un secolo, esattamente nel solco del 1920. Come diceva Ennio Flaiano: «I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti».

PARTE II – CHE COSA E’ LA GUERRA?

Siamo pacifisti! Oppure no? Siamo in conflitto. La percezione non risponde tuttavia ai nostri canoni cinetelevisivi: né cannoni, né bombe, come accade in Siria o in Libia, tanto per fare due esempi. Sì, ci sono dei morti ma dipendono da un virus. Ci sono migrazioni bibliche, come sempre nel corso dei conflitti, ma sono i migranti a spingersi verso di noi, anzi secondo la «(dis»informazione affidabile» pagano migliaia di dollari per traversare il Mediterraneo. Pensate un po’, partono dal centro Africa, migliaia di chilometri, vengono rapinati, torturati, stuprati, schiavizzati. Riescono tuttavia a salvare miracolosamente migliaia di dollari pretesi dai negrieri per deportarli. Come dubitarne? Lo assicurano gli “editori (in)affidabili”, garantiti tali da Mediaset, che martella i telespettatori con le immagini delle testate affidabili. Come dubitarne?
La guerra con le armi è tenuta fuori dall’area del G20, salvo la Turchia per libera (e scellerata?) decisione del dittatore Recep Tayyip Erdogan. I paesi del G20 non conoscono guerra dal 1945, con rare eccezioni come la guerra delle Falkland (2 aprile-14 giugno 1982), perduta dall’Argentina per l’ottusità del suo regime.
Il G20, il mondo industrializzato, rifiuta la guerra in casa propria. La guerra destabilizza; non s’addice alla produzione industriale e al commercio. V’è tuttavia un’altra importante spiegazione. La guerra arma i soldati. Aboliamo quindi la leva. Bene, ma non puoi avere soldati professionisti in quantità sufficienti per fronteggiare una lunga guerra e, allo stesso tempo, impedire alle classi subalterne, dalle quali i soldati provengono, di ribellarsi con le armi alle porcherie del Potere.
La lezione ricevuta dalla Rivoluzione di Ottobre fu appresa e messa a frutto, visto quanto Lenin aveva fatto e, prima ancora, detto: «E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell’esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra. Nella storia sono più volte avvenute delle guerre che, nonostante tutti gli orrori, le brutalità, le miserie ed i tormenti inevitabilmente connessi con ogni guerra, sono state progressive; che, cioè, sono state utili all’evoluzione dell’umanità, contribuendo a distruggere istituzioni particolarmente nocive e reazionarie (per esempio l’autocrazia o la servitù della gleba), i più barbari dispotismi dell’Europa (quello turco e quello russo). Perciò bisogna prendere in esame le particolarità storiche proprie di questa guerra.»[2]
Dal 1989 a oggi, anarchici, sedicenti rivoluzionari e consimili sono stai addomesticati nella cosiddetta “area antagonista”, sotto stretto controllo degli infiltrati dei servizi segreti nei centri sociali, pronti a muoversi in branco, come sardine, verso il nemico del momento. Il pacifismo rifiutato da Lenin è oggi la bandiera di collaborazionisti sedicenti rivoluzionari, progressisti o libertari, a seconda delle contingenti convenienze concrete.
La guerra è aborrita dalle maîtresse à penser – modello Alba Parietti e Asia Argento – dai caudatari della UE, così come da chiunque oggi voglia apparire politicamente corretto. La guerra continua tuttavia a essere necessaria al Potere, per esempio “esportando la democrazia” fuori dal G20.
Gli obiettivi politico territoriali sono definiti. Erdogan vuole la fascia della Siria fino al Mediterraneo. George Bush, padre e figlio, poi Bill Clinton smembrarono l’ex Jugoslavia, ponendo buona parte delle nuove entità statali sotto l’influenza tedesca, come si proponevano prima Adolf Hitler e poi Helmut Kohl. George Bush padre fallì la prima guerra in Iraq, nel 1991, non riuscendo a controllare Saddam Hussein. Bush figlio nel 2003 riscatenò una guerra per conquistare l’Iraq, per assicurarsi il controllo dei suoi giacimenti petroliferi, secondi solo a quelli sauditi ma di gran lunga meno sfruttati. È stato, come oramai è chiaro, un totale fallimento militare, politico e disastrosamente economico.
La guerra militare si propone sempre (sovente invano) la massima rapidità, perché è costosa, logorando sia il vinto che il vincitore. Essa procura lutti e distruzioni, sacrifica innumerevoli vite di giovani; i suoi nefasti sono immediatamente palpabili per gli elettori e, come s’è detto, mette le armi nelle mani del popolo che potrebbe rivolgerle contro il Potere.
La guerra economica è guerra oppure no? Abbiamo le democrazie, che diamine, nelle quali l’ultima parola spetta al popolo. Se hai tuttavia obiettivi inconfessabili è bene che la massa non li percepisca oppure sia sviata, usando per esempio complottismo e razzismo, come ieri salmodiavi comunismo e anticomunismo.
Sei italiano e affermi che la Germania è il nemico? Sei senza dubbio complottista. Anzi stimolo la preposta commissione a sanzionarti. Sei tedesco e dubiti della mia politica europea verso gli italiani? Dimentichi che gli italiani sono mafiosi e sfaticati? L’obiettivo è sempre lo stesso: manipolare il consenso e scoraggiare il dissenso. Abbiamo spiegato nella scorsa puntata che il Potere non può rinunciare al consenso, volontario o imposto, non importa. Se devi manipolare il consenso, la massa non deve comprendere i tuoi obiettivi. Se hai un obiettivo sconcio, volendo mantenere la facciata “democratica”, devi condurre una guerra tutta particolare, anzi una guerra che ufficialmente non esiste; siamo pacifisti, dopo tutto. Devi quindi fare disinformazione, grazie a prezzolati “esperti”, “professori” e “giornalisti” affinché la guerra “non esista” finché non è conclusa. anzi anche dopo. Qualcuno ha mai parlato di guerra della Germania contro la Grecia. Mai. Eppure la Grecia oggi non è più dei greci, proprio come accade dopo una guerra di conquista.
D’altronde, i costi, impossibili da computare mentre è in corso, si palesano quand’è finita, com’è accaduto alla Grecia. Non hai bisogno di sacrificare giovani vite; non necessiti di armi né di violenza, apparentemente. La guerra economica offre il vantaggio di non patire limiti di tempo. Ti poni l’obiettivo strategico, per esempio, di “spolpare l’Urss, la Grecia, l’Italia e la Jugoslavia che hanno fatto perdere la guerra al III Reich”? Va bene, con la Russia non ce l’hai fatta, ma puoi provarci con gli altri. Devi utilizzare una sola cautela: non scoprire le tue carte, non svelare il tuo scopo reale. Per esempio, puoi dire che vuoi un’Europa unita per assicurare la pace e la prosperità. Chi può dirti di no, oggi come nel 1945?
Devi partire decine e decine di anni prima, tenendo sempre presente il tuo obiettivo strategico. Stringi lentamente il cappio economico, così lentamente che le vittime non se n’avvedono se non quando è troppo… MES, pardon troppo tardi.
Questo non esclude che tu e i tuoi agenti non dobbiate essere violenti, sia pure in misura variabile, secondo i casi. Cominci eliminando – con l’omicidio, col carcere, con le calunnie, coi magistrati e i giornalisti collaborazionisti… – quanti politici siano inaffidabili. Aldo Moro? È Antelope Cobbler, è filo comunista e ha fatto un patto coi terroristi palestinesi. Giovanni Leone? È corrotto, lui, la moglie e i figli. Craxi? È un ladro. Non si ritirano? Processi, uccidi, suicidi e fai terra bruciata. Prosegui man mano, muovendo una pedina dopo l’altra. Tutto deve avvenire in una cornice democratica, che diamine, legalitaria e, neanche a dirlo, pacifica. Occorrono trattati, leggi nazionali e accordi internazionali. L’importante è che tu non perda di vista il tuo obiettivo strategico, immutato nel tempo, irrinunciabile: spolpare l’Italia,, la quale potrebbe però reagire.
C’è il pericolo che qualche generale se ne avveda? Pericolo remoto, tutto sommato, considerando la qualità media. Meglio essere prudente, tuttavia. Metti un tuo ufficiale che ha frequentato la scuola di guerra (si fa per dire) italiana in capo all’associazione di colleghi italiani, anche se hanno età e cervello da ospizio, ma non si sa mai.
Ti serve un alleato di tutta fiducia? Le grandi banche, senza distinzione di bandiera o di continente – tranne la Russia, ahi, ahi – sono disponibili e disciplinate: heil Merkel!
Devi smembrare l’IRI? Non c’è nessun problema se possiedi i dossier di quanti erano pronti a tradire la NATO e l’Italia a vantaggio dell’Unione sovietica. D’altronde quando la Germania comunista si sciolse la rete della Stasi – 15mila agenti in Italia – fu assorbita dai servizi del IV Reich. I nuovi assunti sapevano con precisione chi ricattare e come.
Crei quindi una rete di trattati, fai modificare la Costituzione, spingi verso le poltrone più alte i collaborazionisti affidabili, così affidabili da essere pronti a sottoscrivere trattati capestro, cedere pezzi di mare, abbandonare ai tuoi amici lo sfruttamento di pozzi petroliferi, violare la Costituzione, rinnegare il Trattato di Amicizia con Gheddafi, sottoscriverne uno con la Cina, paese canaglia e sanguinario come non si è mai visto nella storia, peggiore di URSS e III Reich messi insieme. Così, decennio dopo decennio, anno dopo anno, giorno dopo giorno il IV Reich è costruito; poco importa che oggi irriti persino la Francia, illusasi di esserne parte (oggi il IV Reich è ristretto a Germania, Olanda e Lussemburgo).
La violenza economica è più impalpabile ma non meno cruenta di quella militare: schiavismo, sfruttamento, disoccupazione, fallimenti, espropri, suicidi, droga, aborto, sterilizzazioni indotte e forzate, alcolismo, ebetismo, conflitti sociali, deportazioni di massa. Tutto si spalma su una quantità di eventi diversi, non immediatamente correlabili: milioni di vite sofferenti, centinaia di milioni di esistenze distrutte. Auschwitz in confronto è un parco giochi.
Sei preoccupato perché i cattolici potrebbero essere nemici d’un tale sistema? Te lo hanno assicurato i tuoi alleati cinesi. Il Muro era appena caduto e Pechino mandò in Italia una quantità di “studenti” e “professori” a studiare come aveva fatto l’Impero romano a sbriciolarsi davanti a un Crocefisso.
Il cattolicesimo è da cancellare, conclusero. Il luteranesimo invece va bene; dopo tutto tenne a battesimo il III Reich.
Occorreva trovare un imbecille che mescolasse acqua sporca e olio, luterani e cattolici, quelli sopra questi. Detto fatto: un po’ di premure e una pattuglia di sciocchi si trova fra tanti porporati.
La violenza non s’attenua, la democrazia diventa superflua. La guerra economica è tecnocratica. Le intelligenze artificiali sostituiscono portaerei e missili; la finanza internazionale non sa che farsene degli stati maggiori, a meno che… Le menti che governano questa guerra sono finissime e spietate, non possono tuttavia prevedere tutto; i macro scenari possono sconvolgersi per un dettaglio imprevisto. In tal caso interviene la forza. Si ricatta il banchiere che non accetta il gioco e lo si distrugge moralmente e fisicamente; si uccide lo statista dissenziente; si incendia un continente se i suoi governanti esitano; si scatenano guerre per terrorizzare la gente e spingerla dove si vuole; si costituiscono reti internazionali di negrieri, ripagati dai complici nei porti di sbarco col denaro guadagnato sulla pelle dei deportati; si investe nei cartelli della droga perché rendono e inebetiscono i giovani.
La guerra economica non ama la luce. Non udirete mai alcun politico collaborazionista evocarla. Non di meno l’opinione pubblica percepisce sempre più nettamente la sua presenza – come fosse un gas tossico, inodore e insapore – mentre ti toglie le forze. Oggi, di fronte al virus – non importa se naturale o artificiale – cadono le maschere e la servile disinformazione rozzamente si manifesta ovunque il Potere pone le mani. Non tutto però scorre secondo le previsioni. Un tempo accedevano ai governi brillanti politici o oppure brillanti generali. Quand’era necessario, si lasciavano le poltrone a imbecilli senza spina dorsale ubbidienti agli ordini dei brillanti burattinai.
Oggi il gioco politico è più sofisticato. Finché è possibile, puoi mettere un imbecille incompetente al vertice d’un dicastero economico, per teleguidarlo col cellulare mentre partecipa a riunioni internazionali di cui non capisce assolutamente nulla. Prima o poi tuttavia sono necessari tecnocrati di alta scuola che spingono più in là i politici di professione. Politica, finanza e speculazione sono un unico sistema; a giochi fatti tuttavia il politico diventa superfluo, come d’altronde la democrazia. Fin quando è possibile la finanza non si cura della coloritura di partito del politico bensì del suo spirito di obbedienza, avvalendosene finché è utile. È stato fatto così da almeno quaranta anni in Italia, in Grecia, in Spagna, in Francia, in Germania. Noi italiani siamo tuttavia diventati un paradosso persino divertente.
Non importa se il virus sia naturale o artificiale: esso svela – si osservi l’Italia – la totale assenza di guide politiche affidabili in un momento di acutissima crisi. Siamo sull’orlo della rivolta, se mancherà il latte per i bambini e un piatto di maccheroni per i genitori. I politici infingardi sanno che la crisi, spinta alle sue estreme conseguenze, porta in casa la violenza. Quanto avvenne in Grecia è nulla rispetto a quanto potrebbe accadere in Italia.
Rivoluzione impossibile? Com’è detto in precedenza, è nuovamente alle viste l’uomo della Provvidenza, nel 2020, dopo un secolo, esattamente nel solco del 1920.
Sarà sufficiente? Non è affatto detto. Occorrerà un diversivo. Non abbiamo la sfera di cristallo per prevedere quale sarà. Possiamo tuttavia guardarci indietro per comprendere di che cosa sia capace il nemico. Ricordiamo la regola fondamentale: risorse e consenso, sono leve e obiettivi del Potere. Le risorse le hanno portate via, ancora una volta. Lo fecero nel 1992-1994. L’hanno rifatto nel 2011. Lo hanno appena ripetuto, col consenso di tanti e nonostante il dissenso disordinato e disinformato delle opposizioni. Ora occorre che mantengano il consenso e distraggano i derubati fino a farne loro sostenitori. Una rivoluzione? Impossibile, assicurano a destra e a sinistra, ammesso che tali distinzioni significhino qualcosa. Vasco Rossi ha d’altronde vaticinato per il Covid: «La rivoluzione è cambiare se stessi per cambiare il mondo», candidandosi così a un invito al Gruppo Bilderberg con l’altro profeta della vasellina, Jovanotti, già membro del Gruppo, insieme a Enrico Letta, Lilly Gruber e il cardinale Pietro Parolin.
«La rivoluzione è impossibile finché non diventa inevitabile» risponderebbe Lev Trotzky.

PARTE III – LA CENSURA DI GUERRA

La Vulnerabilità della Nazione Rimaniamo concentrati sulla guerra disinformativa, parallela al tentativo di utilizzare il virus per impossessarsi delle ricchezze italiane – lo ripetiamo – non ci interessano le origini del Covid-19. Osserviamo i dati di fatto sotto i nostri occhi.
Abbiamo un governo tanto incompetente quanto autoritario. Abbiamo un’opposizione degna del governo. La nazione italiana rischia d’esplodere mentre Stato e Regioni s’accapigliano e l’«informazione seria» distorce le notizie a favore del proprio padrone, senza curarsi dei cittadini, salvo arrogarsi il diritto d’essere essa stessa – l’«informazione seria» – a dare la patente d’attendibilità alle notizie su Internet.
Urge una guida politica e, se i laici permettono, anche religiosa. Non c’è né l’una né l’altra, anzi ambedue le rispettive classi dirigenti – politica e religiosa – appaiono superflue quando non dannose e pericolose. Ciò ha portato, come abbiamo sottolineato più volte, a uno sviluppo paradossale quanto illegale. La Costituzione è stata accantonata e le stesse vestali che s’ergevano a custodi della “Costituzione più bella del mondo” oggi sono alla ricerca di un novello “uomo della Provvidenza”, da scegliere tra le foglie d’una medesima piana velenosa, il globalismo, nonostante sia palesemente fallito per un incidente, un virus neppure dei più catastrofici fra quanti hanno afflitto l’Umanità.
Il regime cinese, il più criminale della storia, in confronto al quale Urss e III Reich messi insieme furono una bocciofila, ci porta verso uno scontro nucleare, mentre i nostri cicisbei continuano a darci e dirci stupidaggini e falsità.
L’Italia è nella UE e la UE ha tentato di soffocarci. Questo non va dimenticato – mai – anzi occorre stilare l’elenco delle quinte colonne che operano contro l’interesse comune.
Il ricordo dell’atteggiamento passivo dei vertici UE e Nato non è cancellato dalle tardive scuse all’Italia della tedesca Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE. Le sue scuse non attenuano l’aggressività finanziaria di Germania e Olanda, il IV Reich odierno. La NATO, a sua volta, svegliatasi dopo l’intervento russo a favore dell’Italia, non ha tuttavia fatto quanto avrebbe potuto in altri tempi; oggi è oramai comatosa.
Norme speciali sono state imposte da Giuseppe Conte, contro la Costituzione. Lo affermano autorevoli giuristi, come Sabino Cassese, il quale non va a cena né con Matteo Salvini né con Giorgia Meloni. D’altronde nessuno dei due è in grado di argomentare credibilmente sulla Costituzione violata né di mobilitare, come si dovrebbe, l’Italia contro il colpo di Stato in corso.
Sabino Cassese – e non solo lui – boccia e bacchetta l’avvocato del popolo: «Da palazzo Chigi continuano ad arrivare norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme». Che cos’altro aggiungere per svegliare Sergio Mattarella?
Alle norme anticostituzionali s’affianca la propaganda bellica, come durante qualunque conflitto. La differenza, rispetto al passato, la fa Internet, la cui diffusione orizzontale di notizie e dibattiti non consente d’affiggere manifesti col “taci, il nemico ascolta”, come usava Benito Mussolini. Per tale ragione cresce da tempo l’irritazione dell’«informazione seria». Umberto Eco insultò il popolo web, a sua volta definito “webeti” da Enrico Mentana, quello formatosi a Mediaset, primo direttore di TG5, fondato da Silvio Berlusconi proprio a sostegno di Mani Pulite. Pochi ormai ricordano che Berlusconi, prima di rendersi conto che stavano per strangolare pure lui, licenziò Indro Montanelli per far posto a Vittorio Feltri, tradì Bettino Craxi e mandò i servi del servo Emilio Fede a incensare Mani Pulite, ogni sera mentre la democrazia moriva. Oggi corre in soccorso di Giuseppa e dei suoi maneggi col MES. Davvero pensano che nessuno se ne accorga? Davvero credono di essere coperti almeno da quella parte politica sedicente “a sinistra”?
A dispetto di tutto questo, la fiducia degli italiani nella «(dis)informazione seria» è a zero. Si rende quindi necessaria una più forte propaganda martellante a sostegno della «(dis)informazione seria». Siamo sicuri che i lettori/ascoltatori la bevano?
C’è una battaglia in corso, nella quale la pubblica opinione la si vuole nel ruolo di vittima perdente. Per comprenderne i contorni è opportuno vedere questo video, suddiviso in tre parti per agevolarne la fruizione (PRIMA PARTE, SECONDA PARTE, TERZA PARTE). Massimo Mazzucco, l’autore, paventa una vasta manovra della maggioranza e – guarda un po’ che coincidenza – anche di Mediaset, per imporre una censura “telegenica”, il cui autoritarismo sia dissimulato dietro uno “stato di necessità”, a similitudine di quando salmodiavano “lo vuole l’Europa”, “lo vuole il mercato” e, in tempi più lontani, “Vota DC, Dio ti vede”. Oggi il grido di guerra è “No Fake News”. Eppure anche i bambini hanno compreso che quando usano l’inglese è per coprire fetori insopportabili.
L’operazione di condizionare la pubblica opinione è partita male con lo scontro tra La Stampa e (addirittura!) il ministero russo della Difesa. L’epica battaglia s’è conclusa nel silenzio dell’«informazione seria» e dell’ordine dei giornalisti. Silenzio davvero strano, di vestali altrimenti vocianti e sovente persecutorie in nome della sacra “libertà di stampa”.
Le vestali in realtà persero la verginità da tempi immemorabili, per vis grata puellae, violenza gradita, anzi prezzolata. mentre scriviamo, tutti si interrogano sull’avvicendamento alla direzione di Repubblica. Abbiamo un dubbio piccolo, ma proprio piccolo. E se l’avvicendamento più importante fosse a La Stampa, la cui direzione ha fatto tanto stizzire Mosca, ben a conoscenza delle fosse comuni negli armadi di casa Agnelli? Tutto cominciò ben prima della guerra. Come mai le fabbriche torinesi (e di Milano) non furono bombardate come Cassino? E, giusto per fare un esempiuccio, sempre piccolo piccolo, Togliattigrad, una torta di migliaia di miliardi, pagati dagli italiani, spartiti fra un cocainomane, un pedofilo e le Nomenklature di PCI e PCUS. Non si può scontentare Mosca con questi precedenti.
Alla Censura Siamo Assuefatti da Tempo La sconsolante realtà certifica che i venerati maestri del giornalismo italiano sono da sempre juke box di molti padronati, la cui monetina fa loro cantare la canzone gradita ai padroni. Dopo la fine della guerra, gran parte degli organi informativi finirono nelle mani dei servizi segreti dei paesi vincitori: USA, Gran Bretagna e Unione sovietica, alle quali si sono affiancate Francia, Germania e infine Russia. CIA e KGB, nelle vecchie e nelle nuove vesti, fanno da padroni.
Pochi oramai ricordano che a Roma, in via Dandolo 8, nel dopoguerra stamparono il quotidiano Daily American per la comunità statunitense romana. Landon K. Thorne, il proprietario, fondò la Daily American Printing Company, rilevando le tipografie di Stars&Stripes, giornale delle forze armate USA, collocata a bordo d’una portaerei.
Dopo il 1969, la tipografia fu gestita dal figlio di Thorne, David, il quale sarebbe diventato ambasciatore a Roma, durante il regno di Obama, mentre destabilizzarono la Libia, ai nostri danni nel 2011, con la complicità di Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi. Per comprendere quale fosse il “giro”, occorre ricordare che Julia, sorella di David Thorne, è la prima moglie di John Kerry, avversario liberal del repubblicano George Bush jr. nella corsa alla Casa Bianca. Il tipografo (poi ambasciatore) David Thorne era di larghe vedute, amava destra, sinistra e centro. Concesse infatti la tipografia per stampare tre giornali italiani, il pacciardiano Nuova Repubblica, Notizie Radicali e, incredibile a dirsi, Lotta Continua di Adriano Sofri, il cui piombo tipografico precedette quello dei suoi killer su Luigi Calabresi. Per comprendere quanto fosse singolare la convivenza dei tre giornali in casa Thorne, ricordiamo che i comunisti volevano Randolfo Pacciardi in galera per golpismo. Sofri affermò che la tipografia di Lotta Continua non era a via Dandolo 8, ma un po’ più in là, in via Dandolo 10, dove però c’è l’altro ingresso che porta an civico 8. Non di meno il giornale di Sofri accusò Nuova Repubblica di essere stampato dalla CIA. Come dubitarne?
Nel frattempo il KGB non pettinava le bambole. Antonio Selvatici pescò negli archivi di Praga i documenti che dipingevano un venerato maestro del giornalismo, Corrado Augias, tutt’ora in cattedra, quale “agente Donat” ai bei tempi della Guerra Fredda. Apriti cielo, tutta la Stampa, pardon “stampa” insorse e in quel caso nessuna lettera del ministero russo della Difesa li tacitò. L’Unione sovietica durante i meravigliosi anni di piombo tenne a battesimo e finanziò almeno tre giornali italiani, proteggendone i sicofanti se obbedienti. Nel dossier Mitrokhin sono elencati almeno quattordici giornalisti al servizio del Kgb.
Oggi il ministero della Difesa russo prende a ceffoni e mette sull’attenti l’«informazione seria». Dopo tutto i servizi segreti comunisti si sentirono a casa loro in Italia per tanti anni. È quindi inutile stupirsi se i loro epigoni lo sono ancora.
Sarà paradossale ma questa forza dei russi è oggi in certa misura garanzia che il bavaglio, temuto da Mazzucco, potrebbe non funzionare, diventando persino controproducente. Si pensi a un sito col server a Mosca che spara a palle incatenate, senza possibilità d’oscurarlo, sulla «(dis)informazione seria»; a taluni verrà l’orticaria solo a pensarci.
E che dire delle vestali della Costituzione e del diritto che non si strapparono le vesti quando si seppe che Antonio Di Pietro preannunciò l’inchiesta Mani Pulite al console degli USA a Milano? A essere esatti solo la cosiddetta destra reagì. Perché non interessava alla cosiddetta sinistra? Abbiamo un giornalismo oscillante con disinvoltura fra Mosca e Washington, senza escludere Berlino e Parigi, più recentemente anche Pechino e i palazzi della finanza, fra una leccata e l’altra alle terga grinzose dell’ebreo collaborazionista dei nazisti, Georgy Soros, trattato con più riguardi di quanti ne abbiano usati a S. S. Pio XII di venerata memoria, da eminenti ebrei e sedicenti cattolici.
D’altronde se siamo al 43esimo posto al mondo per la libertà di stampa, prima del Botswana, un motivo deve pur esserci. La malattia della nostra libertà di stampa è più grave del Covid-19. A distanza di oltre due secoli, la nostra libertà è infinitamente più limitata rispetto a quanto pretese e ottenne Thomas Jefferson, col Primo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti». Jefferson scrisse da Parigi per indirizzare il Congresso, il 13 Ottobre 1785: «Un governo dispotico deve sempre mantenere una sorta di esercito permanente di giornalisti e scrittori che, senza alcun riguardo per la verità o quella che dovrebbe essere la verità, mettano sui giornali quello che potrebbe servire ai suoi ministri. Questo è sufficiente a ingannare la massa dei cittadini che non hanno così più i mezzi per distinguere il falso dal vero, nei vari articoli di un giornale».
Va bene, taluni lettori obietteranno che Jefferson fu massone e sostenne la Rivoluzione Francese, anzi fu persino schiavista. In queste ore possiamo tuttavia comprendere quanto Jefferson avesse ragione e quanto inutile sia, anzi dannoso, professare una religione riconosciuta dallo Stato, se i suoi pastori – cattolici, ebrei e mussulmani – arretrano, complici d’un cicisbeo della provincia di Foggia.
Nessuno può dire che cosa in futuro inventeranno per ingannare il popolo. Noi abbiamo esaminato che cosa stanno facendo e vedremo quanto hanno fatto in un passato più o meno recente, risalendo fino a S.S. Pio XII di venerata memoria, sperando di ispirare qualche emulo, chissà.

PARTE IV – UNIRE LE FORZE DEL BENE

Potere Grottesco e Criminale Il Potere, metastatizzato nel tessuto democratico, sparge menzogne a man salva con l’aiuto della «(dis)informazione affidabile». Alcuni rapidi esempi, alcuni fra tanti. Romano Prodi afferma in tribunale che ha avuto informazioni su Aldo Moro, attraverso una seduta spiritica. L’attentato a san Giovanni Paolo II fu solo per intimidirlo, secondo Giulio Andreotti, incurante dei resoconti clinici. Francesco Cossiga afferma, mentendo, che Aldo Moro patteggiò coi palestinesi – il c.d. “Lodo Moro” – per consentire in Italia attentati agli ebrei purché non vi fossero vittime italiane. L’ho sbugiardato. Romano Prodi, ancora lui, certifica l’euro indispensabile per il nostro benessere. Silvio Berlusconi si dice vittima d’un colpo di stato quando l’Italia attaccò Gheddafi. Oggi col cero del MES s’accoda a Mario Monti, secondo il quale nel 2013: «Possiamo guardare la crescita con maggiore ottimismo ed è possibile parlare senza alcuna incoerenza di una graduale riduzione delle tasse». Il treno infinito di menzogne cominciò decenni addietro, con l’assassinio di Aldo Moro e l’indispensabile strage della sua scorta; prima ancora con l’assassinio di Enrico Mattei. Oggi siamo decisamente a una temperatura più alta, con la complicità degli organi costituzionali a oltraggiare la Costituzione e la Santa(?) Sede – membro del sanguinario club Bilderberg – a spargere letame sulle proprie leggi: «Codice di Diritto Canonico 388 – §1. Il Vescovo diocesano, dopo aver preso possesso della diocesi, deve applicare la Messa per il popolo che gli è affidato, ogni domenica e nelle altre feste che nella sua regione sono di precetto».
Le reverendissime eccellenze non mancano tuttavia di stizzirsi perché posposte al verminaio giubilante nelle strade, mentre ascendeva l’Altare della Patria privo di popolo il figlio di don Bernardo Mattarella e Bergoglio benediva il proprio vuoto.
La Chiesa ex docente, auto certificatasi superflua, oggi si giustappone ai servi dello stesso padrone, mentre il gallo canta incessantemente.
Il diavolo non è invincibile: tanto è ridicolo quanto è cattivo. Una sineddoche delle disposizioni del governo Conte per contrastare il virus, basti a descriverlo.
Autobus di 40 mq: possono entrare 16 persone.
Negozio di 40 mq: 1 alla volta.
Chiesa di minimo 150 mq: 1 morto e 15 vivi; non 15 vivi e basta, ci vuole sempre il morto.
A questo satanico capolavoro di logica grottesca hanno lavorato 450 esperti.
La Chiesa ex Docente, imbelle contro un tale regime, ridicolo prima che criminale, è destinata allo sterminio per mano dei demoni cui si è asservita. I vescovi collaborazionisti non potranno dirsi vittime della grande tribolazione da essi costruita insieme ai loro stessi carnefici; condizione tragica e ridicola, come tutte le pentole senza coperchi e ben presto senza manici per le reverendissime eccellenze.
I cattolici italiani non devono battersi contro i carri armati del Patto di Varsavia, com’ebbero la sventura i polacchi di Solidarnosc, dopo il 1979, guidati dalle preghiere di san Giovanni Paolo II. Noi dobbiamo batterci contro il regime d’un cicisbeo della provincia di Foggia, i suoi ganimedi e i suoi sicofanti. Un regime grottesco quanto una parata dell’orgoglio omosessuale, cattivo come un prostituto arrabbiato, scientifico quanto una cartomante ubriaca, immorale quanto la pedofilia. Sarà per questo che Nostro Signore ci ha inflitto una guida, tutto sommato adeguata ai tempi e alle cose: francescano con le tivvù e gesuita davanti a Dio.
Lo Scontro in corso. L’Italia è ancora una volta al centro d’una grande partita, come accadde nelle guerre mondiali, come nella Guerra Fredda, ancora una volta in questi anni, mentre il confronto s’inasprisce fra la Cina e quanti non vogliono essere sottomessi al suo sistema imperiale criminale.
In prima linea vi sono Vladimir Putin e la Russia insieme alla porzione di Stati Uniti, guidati da Donald Trump. Gli aspetti politici e militari di questo scontro li approfondiremo più avanti. Per ora basti delinearne i contorni.
Un mio ex amico, commerciante con la Cina attraverso opache cricche farmaceutiche, amava ripetermi: «La Cina non è pericolosa perché non ha mai varcato i suoi confini» e prima che potessi obiettare, aggiungeva «A parte il Tibet».
Cominciammo a discutere venti anni fa, quando palesemente la cerchia bostoniana (Bush-Clinton-Obama) aveva dato mano libera in Africa a Pechino. C’era un problema, l’Islam e i suoi produttori di petrolio. Una bella guerra con l’Iraq avrebbe risolto il controllo dei giacimenti più vasti dopo quelli sauditi, ma meno sfruttati. Una crisi teleguidata nel 2008 avrebbe portato presto il barile a 200 dollari, rendendo remunerativo il petrolio di scisto, assicurando alla cricca l’indipendenza petrolifera. La lungimiranza di quei criminali è sotto gli occhi di tutti.
Oggi la Cina dilaga in Africa, anche militarmente. In Europa detta legge. Siamo a un passo da una guerra, la cui malaugurata evenienza non potrebbe che essere nucleare. Per comprenderlo bastino per ora due dettagli. Mosca non può difendere i suoi 4mila chilometri di confine senza le armi nucleari. Trump non ha forze convenzionali sufficienti a contrastare l’accerchiamento globale da parte della Cina. Il risultato di uno scontro militare sarebbe univocamente determinato: nucleare.
Che cosa fece san Giovanni Paolo II. Non appena eletto, il 16 ottobre 1978 (anniversario della deportazione degli ebrei romani), san Giovanni Paolo II lavorò a due progetti per lui di pari importanza: il mutuo riconoscimento con Israele e l’organizzazione del dissenso cattolico in Polonia. Il primo mi fu testimoniato da Jerzy Kluger, amico di infanzia di Karol e poi confermato da eminenti della comunità ebraica romana e a monsignori di Curia. Il secondo progetto mi fu testimoniato da varie fonti accreditate e dall’agente segreto che operava per conto della Segreteria di Stato, portando grandi somme di denaro oltre la Cortina di Ferro.

Il grande papa polacco aveva una visione del bene che non ammetteva finzioni politiche. Era un mistico che lavorava incessantemente al progetto di Dio: riunire il gregge. Quanto concerne Israele lo tratteremo più avanti. Ora è invece esaminiamo un aspetto fondamentale della pastorale di san Giovanni Paolo II in Polonia: ci ha salvato dal conflitto nucleare. Solidarnosc, pur con tutte le lacerazioni interne e nonostante lo scarso appoggio del cardinale Jozef Glemp, riunì sotto la Santa Croce tutta la popolazione polacca. Da quel momento iniziò a sfarinarsi l’impero sovietico.
Lo Stato Maggiore Generale Sovietico comprese perfettamente il pericolo e mise in azione il GRU, il servizio segreto russo, già citato trattando di Aldo Moro. La missione del GRU è sgomberare il campo da tutti gli ostacoli che si frappongono al successo dei piani militari.
Karol Wojtyła era un pericolo perché Leonid Breznev intendeva attaccare l’Europa con le forze del Patto di Varsavia, per raggiungere l’Atlantico entro 2 settimane, cioè prima che gli Stati Uniti potessero intervenire con forze convenzionali. Gli Stati Uniti erano quindi davanti a una scelta: farsi coinvolgere da un conflitto nucleare intercontinentale oppure lasciare l’Europa alla devastazione dell’invasore.
La punta di lancia dell’attacco partiva dalle foreste polacche. Un simile piano si regge su due presupposti di pari importanza: 1) travolgere le difese avversarie a qualunque costo senza arrestarsi; 2) alimentare incessantemente dalle retrovie la punta di lancia che avanza verso l’Atlantico.
Munizioni, viveri, pezzi di ricambio, uomini, armi tutto doveva arrivare da tergo; tutto doveva transitare in parte considerevole dalla Polonia.
Il 14 agosto, Solidarnosc alzò la santa Croce nei cantieri navali di Danzica. Da quel momento la Polonia non era più affidabile come retroterra dello sforzo principale che avrebbe dovuto consentire l’invasione dell’Europa.
Quando a settembre 1980 Solidarnosc fu ufficialmente fondato, il GRU aveva già messo in movimento Ali Agca. Se l’attentato fosse riuscito, il 13 maggio 1981, la legge marziale, imposta dal generale Wojciech Jaruzelski, avrebbe avuto effetto. San Giovanni Paolo II sopravvisse, tornò in Polonia nel 1982 e vinse definitivamente. Ad aprile 1989 Solidarność, legalmente riconosciuta, partecipò alle elezioni parlamentari. Sei mesi dopo il Muro di Berlino era un ricordo. La notte del Santo Natale del 1991 – Natale cattolico – l’Unione Sovietica si sciolse.
Gli Stati nascono e muoiono con le guerre, ricorda Charles De Gaulle nelle sue memorie. È una legge millenaria, mai disattesa fino a quel Santo Natale del 1991. Il mondo, l’umanità erano stati risparmiati dallo sterminio nucleare, altrimenti inevitabile se la Polonia non fosse stata convertita.
Che cosa fa oggi la Chiesa, mentre si approssima un nuovo cataclisma? Chi deve prendere l’iniziativa?

PARTE V – EBREI E CATTOLICI, UNA POLITICA COMUNE

Presento una garbata quanto ferma diffida a non leggere oltre, per quanti – credenti e non – sono inclini all’ostilità verso le rimanenti religioni monoteiste; in particolare rammento ai cattolici il duplice dovere di amare il prossimo e, allo stesso modo e con pari energia, impegnarsi a convertirsi e convertire – convertire, non dialogare, convertire – testimoniando la nostra Fede nell’unica Chiesa cattolica apostolica romana. La prima testimonianza cui siamo chiamati è “la verità”.

[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”30%”]La Diaspora, come una lunga e dolorosa traversata del deserto, come una lunga e dolorosa liberazione dalla schiavitù in Egitto,  si conclude attraverso l’Olocausto, senza il quale la fondazione dello Stato di Israele – legittimo e riconosciuto per primo da Stalin – oggi sarebbe ancora lontana.[/cryout-pullquote]

Come abbiamo appurato sinora, la battaglia strategica si gioca proprio fra verità e menzogna, per manipolare il consenso e conseguentemente paralizzare la millenaria pastorale della Chiesa. Ritornare dunque alla verità è essenziale. Vasto programma, si dirà; qualcuno deve tuttavia cominciare. A ben vedere tutti i pontefici precedenti contrastarono – chi più, chi meno – l’avvelenamento del modernismo. Negli ultimi tempi si sono distinti san Giovanni Paolo II e S.S. Benedetto XVI. Oggi siamo nuovamente di fronte a Pilato, la flagellazione è appena cominciata. Una nuova crocifissione è alle viste? È tutto così inesorabilmente definito? Malgrado tante pur rispettabili profezie, il nostro libero arbitrio si giustappone alla piena libertà di Nostro Signore di cambiare il corso degli eventi. Ricordiamoci di san Giovanni Paolo II, il quale, riunendo il gregge polacco sotto la Santa Croce, sbriciolò il Patto di Varsavia e i suoi bellicosi piani d’invasione, senza sparare un petardo. Concludemmo chiedendoci: «Che cosa fa oggi la Chiesa, mentre s’approssima un cataclisma? Chi deve prendere l’iniziativa?»
La prima domanda ha una risposta triste. Nessuna delle politiche della Santa Sede appare in grado di spegnere l’incendio, innescatosi almeno dal tentativo di depredare la Russia, investendo oggi tutto il Globo. Da un momento all’altro Stati Uniti, Russia e Cina potrebbero impiegare armi di distruzione di massa. Abbiamo già spiegato perché, non di meno vi torneremo più avanti nel dettaglio. L’adesione di Bergoglio, nel corso di un’omelia, alla proposta dell’islamico Alto Comitato per la Fratellanza Umana di dedicare la giornata del 14 maggio alla preghiera, ha diviso anziché unire. Ha diviso i cattolici – invitati a pregare coi mussulmani – proprio i medesimi cattolici ai quali, nello stesso momento, il pontefice nega da mesi la Santa Messa e i Santi Sacramenti. Che senso ha aggregarsi a un minareto? Ha diviso ulteriormente i cattolici dagli ebrei, dissociatisi dall’appello del Comitato islamico. Insomma una catastrofe politica e pastorale, grottesca quanto patetica. Peggio ancora quindi porsi la seconda domanda: «Chi deve prendere l’iniziativa?», mentre la Santa(?) Sede oscilla fra preghiere islamizzate e trattati segreti col regime cinese, il più infame mai apparso sulla terra, oltre ai finanziamenti altrettanto segreti a fazioni politiche statunitensi, ai loro manutengoli, italiani e non, specie fra quelli impegnati a speculare sull’immigrazione. Quanto affiora con l’Obamagate non può celarsi, nonostante il “botterismo” dell’ineffabile sciura Giovanna, prima inviata da New York a Pechino a botterizzare il virus e poi precipitosamente riportata a New York mentre le fognature di casa Obama esplodono, poi ritornata indietro. Tutto inutile mentre la verità affiora, uccisa ma in buona salute. Segreto è padre di Falso, non ci si stanchi di urlarlo dai tetti, mentre la Chiesa, a sua volta botterizzata dal proprio vertice, va allo sbando.
Ripartire dal Mediterraneo. Da dove ripartire? È opportuno, anzi inevitabile ripartire da san Giovanni Paolo II; cioè prendere con una mano tutta l’Europa (Russia inclusa) e gli Ebrei con l’altra, senza distogliere lo sguardo sorridente dall’Islam, nonostante le corresponsabilità nel tentativo di ucciderlo e l’odio profuso a piene mani dai minareti, e non solo da quelli. Africa, Asia e America latina devono entrare nel medesimo progetto. Non è tuttavia presumibile la soluzione nel medio termine degli enormi problemi lasciati dalle guerre, dalle catastrofi economiche e sociali, cui si somma lo sfacelo nella Chiesa. È non di meno grottesco, prima che sbagliato, arroccarsi su presunte apocalissi incombenti per attendere da ignavi.
Il primo sforzo cui la Chiesa dovrebbe dedicarsi è la pacificazione nel Mediterraneo, nel Mare Nostrum, non come l’intese l’Impero romano, bensì intersezione delle religioni monoteiste, fondatrici delle rispettive civiltà, le quali devono, non possono evitare di trovare un modus vivendi che spenga anziché alimentare le fiamme. Dal Mediterraneo occorre spingersi nel cuore dell’Africa, dove Cina e Francia, indisturbate sfruttano spietatamente le popolazioni.
Cominciamo coi fratelli Ebrei. Consapevole d’incamminarmi su un campo minato, sento sganglare l’otturatore dei fucili dei tanti insofferenti se non ostili al tema. Quando tuttavia la scelta non c’è la scelta è facile; occorre dunque andare avanti. Guardiamoci intorno: chi altri potrebbe aiutare la Chiesa a pacificare il Mediterraneo e recuperare l’Africa? I luterani? I mussulmani? I cinesi? Dobbiamo quindi rimanere aggrappati alla logica e alle certezze storiche, verificabili e condivisibili.
Santo Natale e Santa Pasqua, Chanukah e Pesah. Partiamo da una duplice coincidenza, sfuggita a troppi: anche quest’anno la festa ebraica di Chanukah – detta “festa delle luci” – è praticamente coincisa col Santo Natale; d’altronde la Santa Pasqua è oltraggiata, dai ben noti divieti, insieme a Pesah, la Pasqua ebraica, otto giorni durante i quali si fa memoria della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e del suo esodo verso la Terra Promessa.
Quante volte attribuirono le origini del Santo Natale e della Santa Pasqua a rifacimenti di festività pagane? Riflettiamo invece sulla profondità e sull’importanza di Chanukah e Pesah, per comprendere le radici comuni fra le fedi cattolica ed ebraica, radici millenarie, non pagane.
Il 26 dicembre di alcuni anni fa, il rabbino Roberto Della Rocca, additò su Pagine Ebraiche il pericolo della banalizzazione della “festa delle Luci” a vulnerare la specificità ebraica, rendendola complementare al Natale cristiano, sovente banalizzato di suo (aspetto, quest’ultimo, cortesemente non sottolineato dal rabbino). È sotto gli occhi di tutti il tentativo di cancellare il Santo Natale, ogni anno reiterato da maîtres e maîtresses à penser. Un massone mio amico mi invia puntualmente auguri di “buona festa del Solstizio”, ai quali altrettanto puntualmente rispondo con un “Buon Natale di Nostro Signore”. Nei centri commerciali il “Villaggio di Natale” ha sfrattato illudendosi di illuminare la festa commerciale oscurando quella religiosa. Domani forse un altro virus comprometterà le celebrazioni natalizie e di Chanukah com’è accaduto con quelle pasquali, grazie alle cerchie di casa Nazareth e dei cicisbei che vi si aggirano. In realtà i tentativi di paganizzare il Santo Natale, col cencioso “rispetto verso le altre religioni”, sono falliti a dispetto degli sforzi profusi. Persino in terra luterana, in Svezia, attecchì e resiste la festa di Santa Lucia, santa di Siracusa, annunciando tuttora ogni anno, anche ai miscredenti, l’arrivo del Santo Natale.
Natale e Chanukah, Pasqua e Pesah, distinte eppure legate, dovrebbero indurci a trovare una strada comune, da percorre insieme, sia pure ognuno sul proprio versante. L’introduzione al Primo Libro dei Maccabei nella Bibbia cattolica, assicura che esso:«…è fonte importante per la storia del giudaismo del II sec. a.C.; le vicende che esso narra coprono infatti un periodo che va dal 175, inizio del regno di Antioco Epìfane, al 134, data della morte di Simone Maccabeo. Si tratta di soli quaranta anni durante i quali assistiamo all’affermazione della famiglia dei Maccabei e allo stabilirsi della dinastia degli Asmonei».
Mattatia, padre dei Maccabei e anziano sacerdote, dette inizio alla rivolta armata, segnando la fine all’ellenismo in terra ebraica. Chanukah fa memoria di questo e del miracolo dell’ampolla d’olio. Il Tempio, profanato dagli assiro ellenici, fu riconsacrato illuminando in permanenza la Menorah – lampada a sette bracci – alimentata con puro olio di oliva, la disponibilità del quale parve sufficiente solo per una giornata. La lampada rimase invece miracolosamente accesa per gli otto giorni necessari alla riconsacrazione e a produrre nuovo olio. Chanukah, la “Festa delle Luci” riverberanti nella celebrazione di santa Lucia e nelle luminarie del Santo Natale. La rivolta dei Maccabei d’altronde preparò la strada all’Avvento cristiano, 165 anni dopo, seppellendo la civiltà pagana assiro ellenica. L’epopea dei Maccabei diventa dunque pietra comune delle civiltà ebraica e cristiana, la cui fusione chiude al paganesimo e dà vita alla civiltà occidentale. L’Unione Europea, dominata dalle logiche naziluterane del IV Reich, rifiuta queste radici, disgregando la propria comunità, privandola d’una cultura comune. L’esito è sotto gli occhi di tutti.
Lo scandalo di Gesù Cristo, ebreo. Inoltriamoci nel campo minato. Gesù Cristo è ebreo; non è palestinese, secondo l’accezione oggi data a “Palestina”. S’odono nuovamente gli otturatori dei fucili, però occorre procedere. Gesù Cristo è ebreo, lo scandalo è nella certezza storica, soggetta tuttavia a due rimozioni. Una spiccatamente politica, tendente a fare di Gesù un membro ante litteram dell’Olp. La seconda rimozione è bilaterale, tanto da parte di cattolici credenti così come degli ebrei praticanti; numerosi fra gli uni e gli altri i propensi a ignorare la comune parentela. Noi guardiamo nell’orto cattolico. La rimozione è avvenuta dall’alto, intossicando il popolo. Sul sito del Vaticano il Quarto Mistero Gaudioso: «Gesù viene presentato al Tempio da Maria e Giuseppe». I nonni lo recitavano così: «Contempliamo la purificazione di Maria Santissima e la circoncisione di Gesù Bambino». In altre parole, la dottrina cattolica riconosce la perfetta continuità fra legge levitica e la legge cattolica apostolica romana, come peraltro è detto inequivocabilmente nel Santo Vangelo. Il Vaticano nicchia. Il diavolo, dice un proverbio, s’accuccia sotto l’Acqua Santa. Possiamo immaginarlo ben più affaccendato nella Santa(?) Sede e ancor più in Terra Santa. Una dell’imprese più riuscite è infatti, con l’arrivo degli Ebrei in Israele, la guerra multilaterale, ininterrotta dal 1948 ai giorni nostri, incardinata alla cosiddetta Palestina.
Palestina, un falso storico divenuto realtà
Diritto innegabile all’autodeterminazione dei palestinesi. Gli Stati nascono e muoiono con le guerre, si disse altre volte. La Palestina è un paradosso: essa è nata, invece di morire, nonostante le guerre perse. Spiegarne le ragioni esigerebbe un libro a parte. Stiamo ai fatti. La Palestina oggi è una realtà politica concreta, di cui tenere oggettivamente conto, nonostante l’irrilevanza cui l’hanno condannata le sue stesse politiche e quelle dei suoi falsi amici. È una realtà concreta ma il suo diritto a esistere è di fatto subordinato a quello di Israele, piaccia o meno alle parti in causa. Questo è il diabolico nodo gordiano che rende la vicenda apparentemente irresolvibile.
Chi voglia approfondire il problema può leggere qui. Ne propongo solo un estratto per comprendere come la questione, nata molto male, potrebbe quindi finire peggio.
Autorevoli storici sostengono – mentendo spudoratamente – la preesistenza d’una nazione palestinese al primo dopoguerra, documentata, a sentir loro, dall’accordo segreto (vizio dei malvagi) del 1916, tra francesi e inglesi (The Sykes–Picot Agreement) per la spartizione del Medio Oriente e dell’Asia Minore. Anni addietro questa tesi fu udita pure nella Scuola di Guerra dell’Esercito, per bocca di un docente esperto di vino più che di storia. Andiamo ai fatti. François Marie Denis Georges Picot, diplomatico francese, prozio di Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Francia dal 1974 al 1981, condivise col pronipote molte qualità, oltre all’intelligenza affilata, sicuramente un disinvolto cinismo. Picot portò a casa un notevole bottino grazie all’accordo segreto (vizio dei malvagi) sull’Asia Minore, stipulato col britannico Mark Sykes, fra novembre 1915 e marzo 1916. Il colonnello Sykes assicurò alla Gran Bretagna comunicazioni sicure dal Mediterraneo alle Indie, controllando il territorio oggi corrispondente a Israele, Giordania e Iraq. La Francia ebbe Libano e Siria.
Sykes portò il risultato alla Conferenza di pace di Parigi, apertasi il 18 gennaio 1919, ma non ne vide la conclusione, fulminato a febbraio dalla febbre spagnola. Ebbene, non c’è alcun riferimento a “Palestina” nell’accordo franco-britannico, basta leggerlo per appurarlo. D’altronde l’impero ottomano compendiò quel territorio come somma di più province: Sangiaccato[3] di Gerusalemme, Sangiaccato di Nablus, Sangiaccato di Gaza, Sangiaccato di Acri, con una parte del Vilayet di Siria e del Vilayet di Beirut. In quegli anni cominciò la confusione, tuttora vorticante e profittevole per troppi, impegnati a speculare sul mercato del petrolio grazie alle tensioni, generosamente procurate in quell’area, dai cartelli petroliferi, da mussulmani, ebrei e cristiani a spese di cristiani, palestinesi ed ebrei, da farabutti a spese di tutti i malcapitati.
La storia genuflessa alla politica dei petrolieri. L’accordo franco-inglese del 1916, privo di qualunque riferimento alla Palestina odierna non scoraggia gli ostinati fautori della genuflessione della storia alla politica, gabellando la Palestina quale provincia dell’Impero romano poi sottomessa all’Impero ottomano, preesistendo quindi a Israele, nato solo nel 1948.
Gli eredi della Palestina romana, concludono i falsari, hanno ben più solidi diritti degli ebrei per rivendicare quelle terre. Un tal modo di ragionare nei cosiddetti storici conferma la loro propensione a manipolare il passato, come sosteneva Paul Valery, alla stregua dei cartomanti il futuro, con la differenza che i vaticini di questi possono essere verificati. Ebbene, ci scuseranno i venerati maestri se cercheremo di deludere Valery.
Nel metodo, occorre ricordare che Palestina non poteva essere – e non fu – annoverata nel catalogo ottomano delle province: la Sublime Porta mai avrebbe ammesso l’aborrita radice ebraica di essa. Nel merito, richiamando il lemma latino Palaestina, s’evocano le popolazioni ebraiche di cui parla già Erodoto, tuttavia con accezione differente da quella poi intesa con l’imperatore Adriano, la cui “Syria Palaestina” comprendeva Iudaea, Samaria, Galilaea, Philistaea e Perea, un territorio molto vasto, un secolo dopo Cristo. Secondo la chiave di lettura dei venerati maestri, gli ebrei di oggi hanno titolo a rivendicare l’annessione della Giudea, anzi possono rivendicare un territorio ancora più vasto. D’altronde, se Palestina deriva dalla regione imperiale romana, è a fortiori impossibile sostenerne la radice mussulmana. Se invece la si intende escrescenza del Frankstein diplomatico franco-britannico, l’identità nazionale palestinese è ancor meno definita rispetto a quella israeliana, giustappunto preesistente ab antiquo, mentre Maometto apparve ben cinque secoli dopo Cristo.
In quanto alle “terre espropriate ai palestinesi”, è un falso storico: la Sacra Porta applicò un regime poliziesco e fiscale di rara spietatezza, lasciando ai privati minime porzioni di terra, di pessima qualità agricola, acquistate da ebrei anche con l’aiuto finanziario di Stalin, cioè della neonata Unione sovietica, il primo Stato al mondo che riconobbe la legittimità dello Stato di Israele.
Le falsità vorticanti intorno a questo soggetto sono illuminate dagli odierni sostenitori dello ius soli per i migranti africani, mentre essi stessi negano analogo diritto agli ebrei che affluirono in Israele dagli inizi del secolo scorso. Anzi furono principalmente quegli ebrei e riscoprire il lemma “Palestina”, parte vera delle proprie radici e della propria cultura. Il giornale The Palestinian Post, genitore dell’attuale Jerusalem Post, fu fondato da un editore ebreo, Gershon Agron, nel 1932, durante il   mandato britannico. La parola “Palestina” la ritroviamo nel promemoria “Future of Palestine” dell’ebreo Herbert Samuel, nel 1915, per i politici britannici e nella Dichiarazione di Balfour, del 1917. Gli stessi ebrei hanno rimosso la parola “Palestina” da quando essa è diventata la bandiera di profughi abbandonati a se stessi dagli amici mussulmani, petrolieri e contrabbandieri d’ogni genere. L’unico futuro decente agli odierni “palestinesi” può essere garantito dall’esistenza di Israele, le cui radici occidentali sono una garanzia di democrazia. In conclusione, smesso il terrorismo, i palestinesi sono solo un problema per se stessi, condannati all’irrilevanza finché non accetteranno di essere parte della democrazia israeliana. 
Due fedi, due patti con Dio, ambedue attuali.
Ristabiliamo la verità e ricuciamo le divisioni. Le comuni radici non sono soltanto nella storia, bensì pure nelle rispettive fedi, cattolica ed ebraica. Un cattolico non può infatti mettere in dubbio l’attuale vigenza del patto – attraverso Abramo – fra Dio e il popolo ebraico. Tale patto, tuttora vigente, è parallelo a quello universale – attraverso Cristo – fra Dio e l’umanità tutta, ovvero alla radice della fede cattolica. Un ebreo, a sua volta, non può negare a un cattolico il diritto a tale legittima convinzione, sia pure unilaterale, senza mettere in dubbio la propria identità ebraica, come invece si fa da ambo le parti rimuovendo l’identità ebraica di Cristo. Insomma, i credenti ebrei o cattolici dovrebbero convergere verso il riconoscimento delle comuni radici.
L’introduzione della Bibbia cattolica aggiunge: «Il libro [dei Maccabei, NdR] non fu riconosciuto come sacro dal giudaismo, perciò non venne letto nella sinagoga e così il testo ebraico andò perduto. Nella versione greca […] è stato accolto nella Chiesa cattolica e in quelle ortodosse e considerato come libro sacro; non è però riconosciuto come tale dalle comunità ecclesiali protestanti e anglicane». Non è un dettaglio da poco. Com’è sotto gli occhi di tutti, il globalismo e il IV Reich, portatori malaticci d’una contiguità coi mussulmani, s’avvalgono delle separazioni fra giudei e cristiani, spingendo verso un politeismo sincretista, le cui spallate alla tradizione giudaico-cristiana non sono oggi meno virulente e profanatrici delle assiro elleniche di ieri.
L’apostasia e l’eresia sono due mali pericolosi tanto per noi cattolici quanto per gli ebrei. È inutile ch’io mi soffermi sulle velenose radici luterane del nazismo, nonché sulle necrosi attuali nel corpo cattolico. I fratelli ebrei mi permettano quindi alcune osservazioni su taluni aspetti peculiari a loro, dal forte riverbero tuttavia sulla storia comune di ebrei e cattolici. Maometto, per esempio, crudele e niente affatto virtuoso, fu educato dai Nabatei, una costola eretica dell’ebraismo, la cui capitale fu Petra. Se questa possiamo relegarla nelle curiosità storiche, stemperate dai secoli, altra cosa è una visione dell’Olocausto, degli antefatti e del loro incidere nella storia comune a ebrei e cattolici. La Diaspora, un ebreo credente deve connetterla alla volontà di Nostro Signore. Ebbene, essa si dispiega soprattutto nei territori cristiani: «Esortatevi a vicenda ogni giorno finché dura “quest’oggi”», scrisse Paolo ma non fu sempre così, grazie al reciproco odio, dalle terribili eppure luminose conseguenze.
Diaspora, Olocausto, Israele. La Diaspora, come una lunga e dolorosa traversata del deserto, come una lunga e dolorosa liberazione dalla schiavitù in Egitto,  si conclude attraverso l’Olocausto, senza il quale la fondazione dello Stato di Israele – legittimo e riconosciuto per primo da Stalin – oggi sarebbe ancora lontana. È dunque una terribile bestemmia, tanto in ambito ebraico quanto in ambito cattolico, blaterare di “morte di Dio” per quanto avvenuto prima, durante e a causa dell’Olocausto, al quale occorre invece restituire la peculiare forza fondante d’una nuova alleanza pacificatrice. Mentre possiamo rallegrarci di questa conclusione di un pezzo di storia comune a ebrei e cattolici, dobbiamo tenere realisticamente conto di un pericolo comune. Tanto il radicamento cattolico a Roma, come quello ebraico a Gerusalemme sono una grazia di Nostro Signore, non un diritto acquisito in eterno. La precarietà di tali situazioni è direttamente proporzionale alla forza delle parti avverse: i collaborazionisti cristiani – laici, religiosi, vescovi e curie d’ogni caratura – assieme a esponenti della comunità ebraica internazionale, infettati dal nichilismo gaudente dei Woody Allen e dall’affarismo inumano dei Georgy Soros, ebreo e collaborazionista coi nazisti. In questa trincea fangosa, troviamo anche le grandi famiglie europee, scristianizzatesi, come quella di Valéry Giscard d’Estaing, poi in prima fila a negare le radici ebraico cristiane dell’Europa. Sono le medesime famiglie che in Francia collaborano attivamente, istituzionalizzando l’Olocausto nella Repubblica di Vichy. Le analoghe grandi famiglie italiane, prima accorsero in piazza Venezia e s’arricchirono con la guerra fascista; dopo la battaglia di Stalingrado si prepararono ad accorre a piazzale Loreto, pronte tuttavia a tornare indietro. Oggi costoro sono tutti felicemente globalisti come d’altronde Bergoglio.
È quindi opportuno e urgente che cattolici ed ebrei rifiutino senza esitazioni i veleni dei falsi profeti delle rispettive compagini, ripartendo da Chanukah e Pesah, da Natale e Pasqua, due feste comuni, aperte agli uomini di buona volontà. Qual è il primo passo? Sono stati aperti gli archivi concernenti Sua Santità venerata Pio XII. Con straordinaria puntualità la Conferenza Episcopale del IV Reich, pardon tedesca, addita la complicità dei vescovi cattolici tedeschi col nazismo. L’intento è schizzare fango su Sua Santità venerata Pio XII. Torneremo più in dettaglio sulla questione. Per ora basti ricordare che i rari vescovi blandi col nazismo furono esecrati dalla totalità dei rimanenti prelati cattolici. Al contrario, la quasi totalità dei vescovi luterani benedissero i labari di Hitler e fornirono i cappellani militari ai nonni di Angela Merkel.
La verità su Sua Santità venerata Pio XII, come vedremo, è a prova d’ogni sozzura naziluterana, quelle di ieri come quelle di oggi. 

PARTE VI – S.S. PIO XII DI VENERATA MEMORIA

 

NOTE

[1] legittimati dalla corte costituzionale del IV Reich

[2] Lenin, Il Socialismo e la Guerra, 1915

[3]Vilâyet, Sangiaccato: sono le due circoscrizioni amministrative dell’Impero ottomano, in ordine di importanza, che precedono la Cazà.

[4] Aldo Moro (Italian: [23 September 1916 – 9 May 1978) was an Italian statesman and a prominent member of the Christian Democracy party. He served as 38th Prime Minister of Italy, from 1963 to 1968, and then from 1974 to 1976. He was one of Italy’s longest-serving post-war Prime Ministers, holding power for a combined total of more than six years. He was kidnapped on 16 March 1978 by the Red Brigades and killed after 55 days of captivity.

NOTE

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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