NASSIRYA

NassiryaNassirya. Si approssima il 12 Novembre. Siamo pronti a fronteggiare le consuete lacrimevoli commemorazioni a melassa incorporata, come sempre per nascondere la verità, piuttosto che trovarla. 12 novembre 2003, ore 08.40, un’autocisterna in velocità esplode e distrugge base Maestrale dei carabinieri. Un’altra strage senza colpevoli. Base Libeccio, a 400 metri, è gravemente diroccata. Muoiono 28 persone, delle quali 19 italiani, 17 militari e due civili.

La procura militare di Roma nel 2007 chiese il rinvio a giudizio per due generali dell’esercito – Bruno Stano e Vincenzo Lops – e per il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli. Dopo lungo iter giudiziario furono assolti tutti con formula piena.
Il giudizio sui fatti di Nassirya fu poi convogliato sulla Cassazione civile per determinare i risarcimenti che lo Stato paga alle vittime.
La responsabilità civile è una cosa. La responsabilità penale è un’altra cosa. Se la responsabilità penale non fu dei tre iniziali accusati, delle due l’una: o la magistratura militare mise in piedi un processo che non si doveva fare oppure la responsabilità penale è altrove, senza escludere che ambedue le ipotesi siano vere. Finora dunque la verità rimane velata, come per le rimanenti stragi italiane. 
L’ordine di operazione per una missione militare all’estero è esattamente come il progetto esecutivo per costruire una casa. L’ordine di operazione è scritto su disposizione del committente, il ministro della Difesa, per mano dei massimi livelli dello stato maggiore della Difesa e, in questo caso, dei Carabinieri.
Nell’ordine di operazione è stabilito tutto: 1) quali sono le forze che compiono la missione; 2) qual è il loro obiettivo; 3) dove si schierano e per quanto tempo; 4) quali sono le armi, i mezzi, gli equipaggiamenti e tutte le altre risorse; 5) chi sono i comandanti in capo a tali forze e da chi costoro, a loro volta, dipendono; 6) chi fornisce le informazioni senza le quali la missione sarebbe cieca.
Dopo di che l’ordine d’operazione viene consegnato ai comandanti che operano sul terreno, a migliaia di chilometri da Roma. Questi comandanti sono come il direttore del cantiere che costruisce la casa, il quale legge il progetto esecutivo scritto da un ingegnere che neppure conosce (com’è per l’ordine di operazione) sapendo di dover realizzare quanto vi è scritto.
La missione parte. Le truppe si schierano dov’è previsto dall’ordine di operazione e fanno quanto vi è stato stabilito.
La procura militare di Roma escluse dall’inchiesta i tre generali che firmarono gli ordini di operazione: Rolando Mosca Moschini, capo di stato maggiore della difesa; Filiberto Cecchi, comandante operativo di vertice,  Guido Bellini, comandante generale dei Carabinieri. Se l’inchiesta l’avesse condotta la magistratura ordinaria, forse sarebbe stato diverso. È andata comunque così. Occorre riaprire il processo penale – che per la strage non è prescrittibile – esaminando la posizione di quei tre generali e dei loro diretti collaboratori.
E’ pure importante ricordare che quando due ministri aprono bocca su una questione operativa importante, come fu la missione militare in Iraq, lo fanno sulla base di valutazioni ben approfondite e fondate sulle informazioni di intelligence, vagliate dai sapienti consiglieri di quei ministri.
I ministri di Esteri e Difesa ai tempi di Nassirya, Franco Frattini e Antonio Martino, andavano assicurando il carattere umanitario della missione.
Essi ebbero accenti rassicuranti, non solo nelle loro comunicazioni verso il parlamento, bensì anche e ripetutamente verso la stampa, fino a poche ore prima della strage.
Nessuno può immaginare che i due ministri fossero degli sconsiderati.
Se la missione fu dunque umanitaria, come assicurarono ripetutamente ai due ministri, fu conseguentemente logico che i carabinieri si schierassero nel centro di Nassirya, dove però poi furono facile bersaglio.
Eppure tutti i decisori di vertice erano o si dissero convinti che non vi fosse alcun pericolo, in Iraq e a Nassirya. Che fosse vero invece il contrario c’è una prova palmare: esplosione e morti.
Lo stato maggiore della Difesa autorizzò infatti una troupe di cineasti a fare delle riprese proprio su base Maestrale, a Nassirya, dove i poveretti furono coinvolti nell’esplosione. Mai una tale autorizzazione sarebbe stata concessa ai cineasti se a Roma avessero sospettato il benché minimo pericolo a Nassirya, ripetiamolo: “nemmeno il benché minimo pericolo”.
Chi autorizzò la troupe a fare le riprese quel mattino su base Maestrale a Nassirya? Su quali informazioni e valutazioni costui assunse la sua decisione? Perché non è stato interrogato del generale Niccolò Pollari, capo dei servizi? Perché non si setacciano tutti i messaggi pervenuti ai servizi prima della strage?
La procura militare sostenne che i tre comandanti operanti a Nassirya ricevettero un credibile preavviso dell’attentato dal servizio informazioni, diretto da Niccolò Pollari. Tale circostanza rimase indimostrata. Pollari non fu mai interrogato. E’ inaccettabile.
D’altro canto se fosse vero quanto asserito dalla procura militare circa l’esistenza d’una tale informativa allarmante – e non vi sarebbe motivo alcuno di dubitarne – la dritta sull’attentato sarebbe dovuta arrivare ai comandanti sul terreno  da almeno tre canali: il Sismi, lo stato maggiore della difesa, il comando della divisione inglese che aveva giurisdizione sul territorio di Nassirya. Nessuno dei responsabili di tali canali fu mai interrogato.
D’altronde, la qualità dell’attentato di Nassirya renderebbe sconcertante la triplice eventuale cecità di quei canali di intelligence. Posto quindi che tale informativa esiste – altrimenti la procura militare non ne avrebbe parlato – vi sono solo due alternative: o l’informativa partì e non arrivò, oppure non partì affatto verso i comandanti sul terreno di Nassirya ma certamente avrebbe raggiunto i vertici dello Stato maggiore della Difesa, agli ordini del generale Mosca Moschini e del Comando di vertice Interforze agli ordini del generale Filiberto Cecchi. Altrimenti a chi sarebbe stato mandato tale messaggio, al parroco di Scurcola Marsicana?
Occorre quindi capire tuttora «se, come e perché» il messaggio partì, dove si fermo e perché non arrivò ai comandanti sul terreno a Nassirya. Occorre chiedere alla NATO e allo stato maggiore britannico se quel messaggio esiste, se fu inoltrato, a chi pervenne. Facile, non è vero? Perché non fu fatto? Perché non si fa? Nassirya è il nostro 11 Settembre, si direbbe fatto su misura per mettere con le spalle al muro il governo di Silvio Berlusconi.

La strage è reato imprescrittibile, occorre tuttora indagare.
Lo ripetiamo, nessuno dei responsabili dei tre canali di intelligence fu interpellato sul punto, sebbene non sembri una curiosità di poco conto.
Altro dettaglio: solo un razzo controcarro avrebbe arrestato la cisterna con 4 tonnellate di esplosivo prima che arrivasse troppo vicino a Base Maestrale. I carabinieri a Nassirya  non avevano razzi controcarro ma solo armi leggere inadatte, alla prova dei fatti

La qualità e la quantità delle armi a Nassirya era stabilita dall’ordine di operazioni, scritto a Roma da Mosca Moschini, da Cecchi e dal comandante generale dei carabinieri, generale Guido Bellini, non dai comandanti operativi agenti sul terreno. D’altro canto, perché schierare le armi contro carro se si trattava d’una missione umanitaria? Le armi controcarro non servivano, si disse, perché la missione era umanitaria, infatti. Ma chi assicurò al governo Berlusconi che la missione era “solo” umanitaria: il Pollari? il Mosca Moschini? Il Cecchi? Il Bellini? Tutti insieme?

Perché, visto che c’erano vittime civili, la competenza è stata attribuita contra legem a un tribunale militare. Era più gradito a chi? Ai veri responsabili?
E’ dunque provato dai fatti: qualcuno toppò in pieno circa gli equipaggiamenti e le valutazioni  che li determinarono a monte, ma nessuno ha cercato i responsabili. Curioso, non vi pare?

Il fatto più inspiegabile di tutti. La procura militare non dispose alcuna perizia scientifica sull’evento centrale: l’esplosione. Persino per un incidente stradale si fa una perizia. Per Nassirya – 28 morti, una quantità mai confessata di feriti e storpiati, con civili iraqeni e italiani – l’autorità requirente militare non dispose alcuna perizia scientifica.
Questo è il vero inspiegato mistero di Nassirya.
Oppure una spiegazione esiste? La procura militare, nel suo capo d’accusa, congetturò 400 chili di esplosivo per l’esplosione. Vi domanderete se si può formulare un capo di accusa su una congettura. Si può, evidentemente. La procura militare fu illuminata da due inchieste, commissionate dal ministro Martino. Di solito, in casi analoghi, il ministro della Difesa dispone una sola inchiesta, i cui esiti poi mette a disposizione della magistratura. Martino fu più scrupoloso e volle due inchieste, affidate a due generali di corpo d’armata, uno dei carabinieri e l’altro dell’esercito; meglio abbondare, si disse.
Ambedue  le inchieste stabilirono che la quantità di esplosivo era “circa  400 chili di tritolo”, cioé un decimo della quantità reale, per ”una devastante esplosione” scrissero “che investe persone e cose nel raggio di molte decine di metri”.
Decine di metri? Le due basi distavano 400 metri, cioè quattro campi di calcio, uno dietro l’altro. Anche uno totalmente a digiuno di esplosivi comprende che 400 chili di tritolo – una bomba d’aereo, in sostanza – non possono causare distruzioni su un’area così vasta. Non era necessaria una perizia per una sciocchezza simile. I due generali di corpo d’Armata non se ne resero conto. Uno di essi è un sapiente artigliere. Curioso, vero?
Colpo di scena. Fu stabilito scientificamente, due anni dopo l’inizio dei processi, che a Nassirya esplosero 4 tonnellate di tritolo e non 4 quintali. Lo stabilirono il prof. Adolfo Bacci e l’ammiraglio Roberto Vassale, periti di vaglia, già impiegati dalla magistratura ordinaria per le stragi siciliane di Capaci, via D’amelio, e a Firenze, in via dei Georgofili.
I periti furono ingaggiati dalle difese degli imputati. L’Avvocatura dello Stato dimenticò di presentare la perizia. Curioso, vero?
Nessuno domandò mai ai due generali di corpo d’armata, uno dell’esercito e l’altro dei carabinieri, quelli che avevano condotto l’inchiesta, come mai avevano toppato così clamorosamente sulla quantità di esplosivo, 4 quintali invece di 4 tonnellate, scientificamente certificate.
Se la magistratura militare non fa le domande che ci siamo posti, a che cosa serve?

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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19 risposte a NASSIRYA

  1. Paul Mayer scrive:

    Non sono un esperto di simili questioni, ma se mi inviassero in una zona di guerra, missione umanitaria o no, vorrei essere bene armato e protetto, anche con mezzi pesanti. L’armamento adottato dovrebbe essere scelto in relazione alla tipologia del luogo e del conflitto in corso e non certo in base alle sole intenzioni del personale operante. Già che era una missione umanitaria potevano anche andare disarmati, come vorrebbero i noti pacifisti rossastri che abbondano in patria, giusto? Ma chi se ne frega! A me – detto alla romana – se mi mandano in zona di guerra ci vado col carro armato, anche se devo solo cuocere pizze!

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  3. sara fumagalli scrive:

    Io ero a Nassiriya tre mesi e una ventina giorni prima dell’attentato e ci sono tornata altre volte dopo. Ho foto e video della Maestrale e degli altri compounds prima e dopo l’attentato… certo si nota chiaramente col passare del tempo il notevole rafforzamento progressivo delle misure di sicurezza.
    Non ho alcun ricordo di sparatorie a Nassiriya durante le nostre missioni del 2003 (ne ricordo invece nel 2004)… l’unico momento di tensione che ricordo nell’agosto 2003 ci fu nel corso di una serie di manifestazioni di piazza in tutto l’Iraq, che a Bassora e in altre città sfociò in diverse sparatorie, mentre a Nassiriya fu gestito così bene dai nostri militari che non venne sparato nemmeno un colpo. Di quella situazione epica annotai tutto su un diario. Ce n’è un bel resoconto anche in un libro di Pino Agnetti.
    La mia convinzione è che la missione “Antica Babilonia” sia nata realmente umanitaria, come missione di pace in un teatro di guerra, con rischi rivelatisi progressivamente crescenti.
    Le misure di sicurezza all’inizio erano decisamente sottodimensionate rispetto a quelle adottate in seguito, eppure lasciatemi dire (e lo posso dimostrare con foto e video) che nell’agosto 2003 le misure di sicurezza adottate dagli Italiani a Nassiriya erano enormemente più serie di quelle che c’erano, per esempio, a Baghdad, dove venivamo fatti circolare in taxi pure di notte e io, tornando in taxi dall’ambasciata, mi feci un pezzo a piedi di notte senza alcuna scorta dalla piazza del monumento abbattuto di Saddam fino al Palestine…
    (vedi foto in alto a sinistra: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=104557472962644&set=a.104556996296025.9544.100002251744168&type=3&theater) Proprio quella sera avevo scoperto da Milano, in un collegamento telefonico con Radio Padania, che proprio lì dov’ero io, a Baghdad, quello stesso giorno c’era stato un grande attentato contro l’ambasciata giordana con una ventina di morti civili (tra cui una donna e il bimbo in carrozzina che passavano per caso di là)… lì all’Ambasciata italiana in quel momento c’era un ricevimento con varie persone arrivate in Falcon da Roma e sembrava non fosse successo nulla… Questo per dire come sia diversa la percezione del pericolo avvertito da casa e sul campo!!! Il giorno dopo venimmo a sapere che l’attentato kamikaze era il primo attentato di stampo terroristico in Iraq ed era attribuito ad una nuova formazione di nome Ansar Al Islam – quella che anni dopo la Forleo a Milano assolse come formazione di “resistenti” – e che c’erano stati anche altri piccoli attacchi di arma da fuoco contro altre ambasciate… Come venimmo a sapere tutto questo? Sempre dall’Italia, guardando il TG di Rainews24 trasmesso nell’Ospedale da campo della CRI… dopo di che continuammo ad andare avanti e indietro dall’ambasciata e a girare per Baghdad in taxi… Infine me ne tornai a Nassiriya in una semplice jeep (ben più comoda e fresca del VM blindato italiano con cui ero salita da Nassiriya a Baghdad in un viaggio di 8 ore a 50 gradi) approfittando del passaggio di un Generale italiano di stanza a Baghdad.
    Quindi la percezione del pericolo in tutto l’Iraq non era percepita da nessuno nella sua reale portata… anzi ricordo che i nostri militari di Nassiriya venivano pure un po’ presi in giro per il loro girare bardati in VM con l’uomo col mitra alla ralla… Quindi se sottovalutazione ci fu, lo fu molto più in ambito di autorità civili, che militari, e non fu una sottovalutazione solo italiana. Per esempio vale la pena di ricordare che l’Ospedale della Croce Rossa italiana a Baghdad era protetto dai Carabinieri e continuò ad operare anche dopo il grave attentato che determinò la chiusura dell’ospedale della CR Internazionale che tanto aveva polemizzato contro l’Italia per la presenza della scorta armata… Quando il realismo dà lezioni all’ideologia! Però non so se vi siano stati processi in Svizzera o altrove per quell’imprudenza…
    Lasciatemi altresì dire che se la Base Maestrale – col senno di poi – era troppo esposta, molto di più lo era – e col senno di prima – la base del PRT ad Herat in Afghanistan, tutta circondata da case, da strade e addirittura da parcheggi, anni dopo l’attentato a Nassiriya… Dinanzi alle perplessità da me più volte esplicitamente espresse in quel contesto e successivamente, mi veniva sempre risposto che la sicurezza di quella base veniva dall’azione dell’Intelligence… Ops… e via col Segno della Croce… La percezione mia e anche di militari già stati a Nassiriya (non dei neofiti) era che lì ad Herat la sottovalutazione del pericolo fosse molto più marcata e ingiustificabile… Anni dopo, puntualmente, arrivò notizia di un attentato a quella base, ai cui occupanti dedicavo sempre molte preghiere… Se nessuno si straccia le vesti in questo caso è perchè ai morti in Afghanistan siamo fin troppo assuefatti e soprattutto perchè i morti in quel caso – per Divina Provvidenza – non furono italiani…
    Anch’io, come Caria, penso che per l’attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya la semplice ipotesi della sottovalutazione (non necessariamente colpevole) del pericolo e delle informazioni sia la più logica. Un’impressione che – da veri neofiti e ignoranti di teatri operativi e di guerre – percepimmo noi volontari nella missione dell’ottobre 2003, è che la Brigata Sassari fosse un po’ “impacciata” rispetto alla Garibaldi e in effetti ci dissero che in quel momento avesse meno esperienza di questa in teatri operativi. Ma per esperienza mi sento di dire che l’entusiasmo dell’azione sul campo riduce in tutti la percezione del pericolo… e forse anche la sua gravità relativa.
    Onestamente, se proprio devo puntare un dito, lo punto volentieri soltanto contro chi destabilizza il mondo con queste guerre assurde e omicide in politiche imperialiste ed ipocrite che servono gli interessi dei padroni del mondo, mentre l’esperienza sul campo mi fa provare ed esprimere rispetto e solidarietà per i nostri militari in missione di pace, dalle catene di comando fin giù giù sino all’ultimo dei mulettisti e dei cuochi.
    Approfitto per salutare e ringraziare Caria, a cui devo la più bella raccolta di foto della mia associazione, quando inaugurammo la scuola per infermiere il 14 luglio 2004 (ultimamente facciamo le foto col telefonino sigh! 😀 ). Spero sia contento di sapere che una sua foto scattata in quel frangente a due bimbi iracheni è diventata l’immagine simbolo della nostra Associazione, come può vedere sulla nostra Home page: http://www.umanitariapadanaonlus.net.
    In questo video, invece, potete vedere la Base Maestrale com’era prima dell’attentato. http://youtu.be/O-feOU3Kwcc.
    Spero che questa mia piccola testimonianza, che non ha alcuna tesi da difendere o dimostrare, possa essere un contributo utile alla memoria serena e rispettosa dei caduti della strage di Nassiriya, quelli italiani e quelli iracheni di cui è più facile dimenticarsi.
    Un caro saluto a tutti.

  4. Armando Stavole scrive:

    Ribadisco quanto scritto precedentemente nei riguardi della mia personale ignoranza sulle varie fasi del disgraziato evento e sono d’accordo con l’analista Piero Laporta per quanto riguarda la conduzione delle dette fasi prima, durante e dopo.
    Ribadisco invece la mia perplessita’ nel rilevare la mancanza del benche’ minimo senso di previsione e capacita’ di prevenzione in relazione al rischio anche munimo.
    Non dico dove, ma ci sono basi in Italia(dove non c’e’ una situazione simile a Nassirya caro sig. Sigmund) con strutture fisiche di interdizione ad un qualsiasi mezzo che tendesse sfondare qualsiasi parte vulnerabile ingresso compreso. Cio’ viene effettuato celermente con un reparto genieri aviotrasportato (vedi AM) e dotato di tutto il necessario per porre in opera il tutto nel giro di pochi giorni. E’ che da noi non solo ci si vuol far mettere un fiore sulla canna dell’arma, ma anche dentro il cervello. E non credo di essere un patito guerrafondaio, solo uno che pensa a salvare se stesso e gli altri da cattive sorprese, possibili anche in territorio di pace, ieri ed oggi piu’ che mai.

  5. Sigmund scrive:

    Non mi intendo molto di strategia militare, ma ho l’impressione che il fulcro della questione sia “il carattere umanitario della missione”. Se così era veramente non c’era bisogno di una particolare difesa della base perché la missione avrebbe dovuto essere apprezzata dalla popolazione locale e quindi non ci dovevano essere pericoli da sventare. Sembra però che qualcuno, a livello locale, non fosse d’accordo sul carattere umanitario della missione. La domanda fulcro dunque, a mio modesto avviso, è: la missione era umanitaria, oppure di altro genere? Perché se era di altro genere mascherata come umanitaria allora è stato irresponsabile l’operato di tutti.

    • Piero Laporta scrive:

      Sono due le domande fulcro: 1) le valutazioni -politiche e militari – secondo le quali doveva essere una missione umanitaria furono correttamente elaborate e correttamente applicate? 2) Le informazioni fornite dall’intelligence – sempre poste a base di tali valutazioni – erano univocamente interpretabili al fine di concludere che si trattasse di una missione umanitaria?
      Queste domande sono tuttora inevase, anzi non sono mai state poste al ministro Martino, come invece dovevano essere poste – in contraddittorio di udienza – a lui e a tutti i generali da lui direttamente dipendenti, prima di inquisire i tre comandanti esecutori sul campo.

  6. Armando Stavole scrive:

    Sono l’ultima ruota del carro, cioe’ so quello che sanno la gran parte dei connazionali, niente piu’. Ma mi sorge una domanda alquanto semplice conoscendo il significato di difesa passiva applicata ad installazioni militari per contrastare le possibili minacce e limitarne i relativi danni. Fu richiesto l’intervento dell’Ottavo Campalgenio aviotrasportato dell’AM per applicare detta difesa passiva con strutture in cemento armato?

  7. Raimondo CARIA scrive:

    Premesso che:
    – ho considerazione per il tuo impegno;
    – non ho altro scopo che favorire un contributo alla ricerca della la verità, allo scopo di far riflettere i “decisori” sull’esigenza di mettere in sicurezza i nostri Commilitoni ed avere rispetto per la loro vita e per il benessere delle loro famiglie;
    – non è mia intenzione, anche per rispetto ai Caduti, entrare in polemica;
    – non ho capito se sei stato a Nassiria per verificare;
    – nessuno di noi può dare un contributo “completo” alla verità: “non eravamo lì, allora!”.
    Dichiaro che:
    – non ho letto gli atti del processo;
    – sono solo stato a Nassiria e nelle basi Maestrale e Libeccio per tre mesi, nel 2004, in qualità di free-lance, senza scopo di lucro;
    – non vi sono “solo due alternative”.
    Con l’occasione, anche allo scopo di ricordare il punto dell’esplosione (a mio avviso non più di 20 metri dall’angolo SE della palazzina), ove non ancora visto, invito fermare l’attenzione sulle foto in http://www.lettera43.it/politica/nassiriya-2003-2013-il-decennale-dell-attentato-agli-italiani_43675113291.htm e sul il video in http://www.youtube.com/watch?v=sgnnxJ70Dm8 con particolare cura su:
    – 0:42/0:46: ingresso pedonale;
    – 0:48/0:49: sacchi di sabbia (?); come li chiamate voi del Genio?
    – 0:50/0:56: punto di esplosione;
    – osservare bene: 1:14/1:17 e 1:37;
    – 1:67/1:58: punto di esplosione.
    La mia personale opinione è che al di là delle gravissime responsabilità politiche, sia mancata la maturità operativa, sia mancata la risk analisys, il concetto di difesa avanzata.
    A mio avviso il nocciolo è:
    – “era una missione di pace”,
    – i giornalisti non dovevano vedere, quindi, armamento pesante;
    – il personale “doveva avere”, quindi, solo armamento leggero (… quando finalmente, nel luglio 2004 a Camp Mittica arrivarono 6 Ariete, la decina di giornalisti accreditati – nonostante i precedenti attentati e le difficoltà di esfiltrare da base Libeccio – alzarono polvere e nessuno osò affrontarli e portarli sulla logica dell’esigenza insopprimibile di doverci difendere autonomamente, senza chiedere aiuto agli States);
    – gli Italiani “brava gente” dovevano stare in città;
    – la scelta della posizione della cosiddetta base (una palazzina con parcheggio) è stata di una sprovvedutezza unica:
    . immediatamente a NW dell’arteria N-S del Ponte Bravo e della strada N lungo Eufrate: il cui intenso traffico non poteva essere rallentato;
    . con il lato E a distanza di meno di 15 metri dall’arteria N-S; quindi indifendibile!
    Se ho sbagliato correggetemi.
    Ora mi ritiro; ho detto troppo e tra meno di sette ore sarò alla cerimonia dell’alza bandiera della mia sezione paracadutisti, prima di andare a rendere omaggio ai nostri Caduti.
    Buon Impegno e siate “coesi”,
    Raimondo Carìa

    • Piero Laporta scrive:

      Grazie davvero per questo tuo importante e documentato contributo. Rassicurati: non trovo affatto disdicevole la polemica se lo scopo non è futile (e non mi pare questo il caso) e se gli argomenti da una parte e dall’altra sono solidi.
      Mi sembra tuttavia che siamo in disaccordo nel metodo più che nel merito.
      Ti prego cortesemente di rileggere quello che ho scritto: io non attribuisco responsabilità a questo o quello, mi domando perché l’inchiesta sia partita dal basso invece che esaminare le responsabilità prima del ministro, poi quelle discendenti fino ad arrivare ai comandanti sul campo.
      Non ti sfugge che se il ministro avesse sottovalutato la minaccia, l’inchiesta avrebbe dovuto prendere tutt’altra direzione. Questo vale, con le debite proporzioni, per tutti i livelli di comando.
      Solo esaminando, partendo dall’alto, perché, chi, quando e come ha emanato gli ordini, si può comprendere chi, come, quando e perché quegli ordini ha eseguito in un certo modo, discutibile o meno che sia.
      Ecco perché dissento con te sul “nocciolo”, come tu lo chiami.
      A mio modesto avviso il nocciolo è nelle 4 tonnellate di esplosivo portate alla luce solo dopo quattro anni, non dalla procura militare né dalle due (perché due?) commissioni inquirenti del ministero, ma da una perizia scientifica voluta dagli imputati.
      Per un incidente stradale, come l’autobus recentemente precipitato ad Avellino, si fa una perizia scientifica; per una strage come quella di Nassirya stavano andando a sentenza con una congettura, presumendo 4 quintali di esplosivo, un decimo di quello realmente impiegato.
      Questo deve essere spiegato, perché qui è la cisti marcia della faccenda, più che il nocciolo.
      Non sono stato a Nassirya, come il 99,9% degli italiani; ma ho il diritto, al pari di quel 99,9%, di sapere perché l’inchiesta è stata così carente, anche per il rispetto ai Caduti, al quale ti e mi richiami.
      Grazie, davvero.
      UNA ACIES, nella verità.

  8. veterano scrive:

    ma che cambia se erano 4 quintali o 4 tonnellate? L’edificio non era affatto a 400 metri dall’ingresso ma molto più vicino.
    Una difesa c’è stata, militari dell’esercito, non carabinieri hanno sparato e colpito il conducente, , se non lo avessero fatto il danno sarebbe stato ancora maggiore. infatti la cisterna è esplosa prima di entrare nella base e non all’interno della stessa. I dubbi espressi non appaiono significativi

    • Piero Laporta scrive:

      I dubbi espressi non appaiono significativi… Bene, lieto di apprenderlo, però vorrei che mi si spiegasse il perché con fatti, argomenti e numeri. Oppure mi si dica se dobbiamo applicare qui il metodo del “quando parli con me devi stare zitto”.
      In quattro righe abbiamo pure inserito l’indispensabile rivalità CC-EI, così abbiamo spiegato tutto, nevvero?

  9. Raimondo CARIA scrive:

    Buon giorno, leggo solo ora https://pierolaporta.it/nassirya/ ; sei andato a Nassiria per verificare la tua analisi? Capisco, hai fatto quanto hai potuto. Apprezzabile!
    I Caduti, le loro famiglie, i Cittadini meriterebbero analisi approfondite da parte delle Istituzioni, la pubblicazione dei risultati ed una onesta politica di pubblica informazione, mirata ad rendere i Cittadini consapevoli, coesi e capaci di scelte mature; ma non esiste tale volontà come emerge in https://pierolaporta.it/pensione-e-vampiri/
    Permettimi di dirti con certezza che non “… vi sono solo due alternative: o l’informativa partì e non arrivò, oppure non partì affatto”; ce ne sono altre, tra le quali, una banale e molto verosimile: le informative (oltre 10) sono state prese sottogamba; mancava la maturità operativa!
    Evito altre considerazioni…
    Cordiali saluti,
    Raimondo Carìa

    • Piero Laporta scrive:

      le informative (oltre 10) sono state prese sottogamba… Hai letto gli atti del processo? Io sì. le informative prodotte sono le solite, generiche e buone tanto per contentare gli ottimisti come per spaventare i pessimisti. Ma un’informativa precisa e circostanziata c’è stata e ne parlò anche un giornalista ben informato. Poi tutto è stato coperto dalla fanghiglia disinformativa.

  10. Soldato scrive:

    Sta di fatto che chi ha mandato dei carabinieri in una zona di guerra dove si stava svolgendo un conflitto ad alta intensità è un (…omissis…). Oltretutto personale non addestrato, non in grado di fronteggiare la minaccia, con comandanti sprovveduti, senza adeguato equipaggiamento…… tanto è vero che cercarono di fermare il camion con la paletta in dotazione….

    • Operatore Unità di Manovra CC scrive:

      Sono uno dei Carabinieri feriti dell’attentato. Leggo solo ora dopo anni cose interessanti e assolutamente vere, ma anche molte sciocchezze che definiscono solo chi le scrive. Conflitto ad alta intensità, personale non addestrato, comandanti sprovveduti e per finire tentarono di fermare il mio con la paletta. Si tratta di un umile testo di chi non conosce e non è capace neanche di tentare di disinformare. Le palette non erano in dotazione!
      Come da mia diretta testimonianza, insieme ad altre, tutte negli atti del processo, il Carabiniere Filippa aprì il fuoco verso i due attentatori, determinando in essi un azione anticipata dell’esplosione, che comunque avvenne a circa 20 metri dall’edificio.
      Questo non toglie nulla circa la gloriosa e convincente opera del personale dell’Esercito Italiano, toglie solo credibilità e onore a chi ha scritto diversamente.
      Cordialmente

  11. Federico Dezzani scrive:

    Non entro in merito alla dinamica dell’attacco di Nassirya che non conosco. So solo che alcuni degli attentati avvenuti nell’ultimo decennio, dall’attentato di Bali del 2002 a quello di Islamabad del 2008, lasciano parecchi dubbi in sospeso sulla quantità e/o tipologia di esplosivo impiegato. Il tritolo scava buchi nel terreno profondi metri? E’ possibile stipare in furgoncini tonnellate di tritolo? Il tritolo fonde i metalli? Mah…

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