Guerra e Pace, qualcuno bara

israele putinGuerra non imminente ma in avvicinamento giorno dopo giorno. Un vuoto di leadership mondiale, non in Russia 

Riposizionata la flotta NATO nel Mediterraneo “per soccorrere i profughi”, si dà per scontato che l’opinione pubblica non protesti. I pacifisti infatti sembrano essersi dissolti. Questo non dispiace alle cerchie clintoniane statunitensi, fiduciose sin dagli anni ’90 di portare il barile oltre i 100-150 dollari, alzando la tensione. Anno dopo anno, la tensione si è alzata, ma la condizione politica ha infine imposto loro di abbattere, come vedremo, il costo del barile. Per uscire dalla nassa in cui si sono cacciati, oggi avrebbero necessità della guerra su vasta scala. Sono tuttavia sull’orlo d’una crisi di nervi. Essi hanno finora fallito il tentativo di incendiare il Mediterraneo.
Le “primavere musulmane” hanno abbattuto i vecchi leader. Quelli nuovi sono però inaffidabili. L’illusione dei repubblicani NeoCon di mettere le mani sul petrolio iraqeno era a sua volta finita nel caos. Il fallimento congiunto, di repubblicani e democratici, di scalzare il presidente siriano Bashar al-Assad copre di ridicolo tutto l’establishment statunitense, spalancando le porte di Damasco alla Russia, legittimandone il ruolo “calmieratore” nel conflitto siriano e quindi la presenza dell’Armata Rossa, anzi Russa, sui pozzi di petrolio. L’indignazione della signora Angela Merkel, ancella fedele di Obama, per i bombardamenti russi sui ribelli siriani suscita sarcasmo.
La difficile scommessa dell’amministrazione Obama di puntare su Teheran senza scontentare i sauditi e senza alienarsi Israele, alleato storico, è perduta.

Chi Vuole La Guerra?

obama genderLa fine delle sanzioni economiche all’Iran, a dicembre del 2015, è stata seguita da una spettacolare provocazione dell’Arabia Saudita. Difficile credere che il Dipartimento di Stato non sapesse dei quarantasette condannati prima che fossero messi a morte a inizio di anno. Ancor meno plausibile è che ignorassero che fra i condannati vi fosse lo sceicco Nimr al-Nimr, sciita. Questi era il leader della protesta, avviatasi nel 2011, nell’area orientale dell’Arabia, dove si estrae buona parte del petrolio saudita. Nel 2011… cioè quando è cominciato il tentativo per abbattere Putin, con lo spodestamento di Gheddafi prima e poi di Berlusconi. La consapevolezza che dietro al-Nimr vi fosse Putin, oltre all’Iran, dava l’orticaria sia a Riyadh che a Washington. Lo sceicco capeggiava un movimento non violento che, facendo leva sulle “primavere mussulmane”, chiedeva diritti civili e indipendenza per la popolazione sciita, tra l’altro maggioritaria proprio nell’area dei pozzi. Uno scacco insopportabile: al-Nimr ritorceva contro statunitensi e sauditi la loro stessa arma, le “primavere”.
Morto al-Nimr, si è scatenata la piazza iraniana contro l’ambasciata saudita, ma è stata subito sedata. La reazione del governo iraniano è stata estremamente misurata. La trappola era del resto grossolana ed evidente: finite le sanzioni per la questione nucleare, qualcuno puntava a una guerra fra Iran e Arabia, un ballo analogo a quello degli anni ’80 per la guerra fra Iran e Iraq, durata un decennio e in conseguenza della quale ambedue si dissanguarono, mentre i giacimenti iracheni – secondi solo a quelli sauditi – rimasero non sfruttati appieno e lo sono tuttora.
L’Iran non è entrata in guerra contro l’Arabia. In precedenza Israele si è straniata dalle “primavere”, così come dalle sollecitazioni ad attaccare l’Iran per le sue centrali nucleari. Chi voleva infiammare il Mediterraneo si è bruciacchiato le dita e ora rischia di ustionarsi più seriamente.
Osserva il generale Giuseppe Santomartino, citando un documento ufficiale del Congresso,  che gli USA in tredici anni – dal 2001 al 2014 – hanno speso 1600 miliardi di dollari per combattere il terrorismo. Il 90 per cento di tale somma è stata spesa dal Dipartimento della Difesa.
Se a questo aggiungiamo la montagna di morti (10mila sono solo quelli delle varie coalizioni dal 2001 al 2014) e la caduta verticale della credibilità statunitense, ci si rende conto che è un disastro epocale senza precedenti, un tunnel oscuro nel quale gli Stati Uniti sono entrati dissipando in pochi anni tutto l’enorme credito politico, accumulato con la Seconda Guerra mondiale e poi con la vittoria nella Guerra Fredda.
Nonostante tutto si ha la sensazione che vaste cerchie statunitensi, quelle clintoniane in testa, siano convinte di potersi rifare scatenando un’altra guerra, semmai più vasta delle precedenti.

Collaborazione fra Iran e Israele?

Nel frattempo i profughi sono divenuti loro malgrado un’arma di tale guerra, grazie anche alle complicità interne in Europa, in Italia, nel Vaticano. Usano i profughi per attizzare tensioni altrimenti inconsistenti. Gli stessi che hanno creato la tensione non esitano poi a presentarsi come i più adatti a risolvere il problema. A buon prezzo, si intende.
D’altronde, non si perde occasione di dire sciocchezze da tutte le parti a proposito delle migrazioni. Germania, Gran Bretagna e Paesi scandinavi erano i modelli additati da quanti predicano l’inevitabile dovere di accogliere indiscriminatamente chiunque in Europa. Quando quei paesi modello di civiltà sono stati investiti direttamente dalle ondate migratorie, hanno chiuso le frontiere e rimpatriato decine di migliaia di disgraziati che essi stessi avevano incoraggiato a emigrare. Costoro hanno chiuso le frontiere da un giorno all’altro, mentre ancora echeggiavano i loro sermoni umanitari ai paesi rivieraschi, colpevoli per le loro timide obiezioni alle immigrazioni. Il più grottesco fra i buoni predicatori è stato un tal vescovo che ha invitato ad aprire le parrocchie ai migranti e lui nei suoi 45 ettari di possedimenti non ne ha accolto neppure uno.
In questa baraonda hanno buon gioco quanti vogliono attizzare guerre di religione o altri, con simmetrica coglioneria, sostengono l’integrabilità dei mussulmani nella società europea, lasciando intendere che ciò sarebbe agevolato se ci si scristianizzasse un po’. 
Comunque si osservi il fenomeno, i profughi sono incalzati verso l’Europa grazie agli esiti di quei 1600 miliardi di dollari. L’integrabilità è negata in radice dalle macro quantità di gente obbligata a migrare, non dalle rispettive religioni, come invece si fa credere.
Il problema dell’integrazione fra cristiani, ebrei e mussulmani non si è mai posto, dagli albori a oggi, fin quando le comunità hanno potuto assorbire senza traumi gli allogeni, di qualunque specie. Se a Milano domani arrivassero 10mila tedeschi, sarebbero comunque un problema, quantunque non mussulmani. Da quando si creano ad arte le situazioni conflittuali – ricordiamo la politica inglese nel Vicino Oriente – è inutile stupirsi se ciascuna comunità cerca di preservarsi con maggiore o minore fortuna, impiegando tutta la forza di cui dispone. Grottesco che queste naturali reazioni attizzino la spocchia di piccoli borghesucci pronti a  dare del razzista a quanti si ribellano perché vedono precipitare la loro qualità della vita.
Non bisogna tuttavia favorire i pregiudizi che altri spargono. Per esempio, la comunità ebraica in Iran è cospicua e operosa, fruisce liberamente di sinagoghe, che non richiedono la sorveglianza imposta nelle capitali europee. In questa prospettiva, con l’esperienza che abbiamo già fatto col terrorismo degli Anni di Piombo, non mette conto spendere neppure una sillaba sul Califfato, se non per ricordare che se non avesse qualcuno alle spalle che paga e che fornisce intelligence militare e politica, non sopravviverebbe. Esattamente come accadde per le Brigate Rosse. Attizzano fuoco per metterci gli uni contro gli altri.
Eppure quanto oggi appare lontano, la pace o magari solo una collaborazione fra Israele e Iran, potrebbe essere più prossimo di quanto si pensi. D’altronde è già operante un triangolo imperfetto: la Russia è alleata dell’Iran, Israele collabora con la Russia. Il terzo lato è per ora aperto, fra Isreale e Iran. Alcuni importanti fattori giocano tuttavia a favore d’una prospettiva pacifica.
Innanzi tutto le due società, l’iraniana e l’israeliana, sono caratterizzate da classi dirigenti molto evolute, cosmopolite e a perfetto agio nella tecnologia avanzata, al contrario delle comunità sunnite. In secondo luogo, le rispettive identità religiose interferenti con quelle politiche, vanno attenuandosi. Siamo ancora agli inizi del processo di laicizzazione, quantunque sia più avanzato in Israele. Esso è cominciato anche in Iran e potrà avvicinare le due comunità. D’altronde, Israele ha guadagnato un’autonomia tecnologica ed economica che le consente di operare politicamente con indipendenza crescente, tenendo in primo piano i propri interessi strategici piuttosto che quelli peculiari agli innumerevoli aggregati ebraici sparsi nel mondo. In altre parole, a differenza di un passato non lontano, oggi occorre distinguere fra Israele e i centri di interesse ebraico nel mondo. Per esempio, oggi non ha senso identificare con Israele l’ebreo George Soros, il burattinaio della tragedia in Ucraina.
Ulteriore fattore importante è il decadimento irreversibile della casa reale saudita. Né gli USA né la Gran Bretagna hanno più la capacità politico militare di indirizzarne gli esiti. Dovranno accettare una soluzione di compromesso che passa attraverso il riconoscimento di un ruolo a Israele, all’Iran e alla Russia. E il tempo lavora a favore di questa terna.

Il Ricatto alla Russia

Per scongiurare questa prospettiva i democratici statunitensi e la casa saudita hanno puntato tutto sul ricatto a Vladimir Putin, gabellato dietro i “colloqui di Ginevra sulla Siria”. Il prezzo del petrolio continua a scendere e questo, secondo i calcoli statunitensi e sauditi, dovrebbe mettere con le spalle al muro Putin, i cui bilanci soffrono col barile sotto i 70 dollari. Gli strateghi di Obama hanno quindi messo a punto il loro piano, un rozzo ricatto a Putin: “D’accordo, non siamo riusciti ad ammazzarti e neppure a delegittimarti. Però possiamo mettere in crisi la tua economia, tenendo basso il costo del petrolio. Se tu ci lasci pacificare la Siria, facciamo fuori Assad, com’è già accaduto a Gheddafi, quindi riportiamo in alto il prezzo del barile e siamo tutti contenti, tu e noi, caro Vladimir.” 
Questo è il piano; lo sostengono molti osservatori ben più autorevoli di chi scrive. E non c’è dubbio che è temerario. Innanzi tutto i ricattatori non sono in grado di reggere il gioco: la casa saudita è sull’orlo della bancarotta a causa del barile in saldo. Inoltre Putin non è molliccio come Berlusconi, il quale se l’è fatta addosso al primo latrato dei cani. Quando Putin entrò al Cremlino la prima volta, il PIL della Russia era inferiore a quello dell’Olanda, la società era in disfacimento. Tutte le mafie russe rispondevano ai servizi occidentali. La produzione agricola era dissolta, quella industriale ancor più. Tutti gli osservatori davano per imminente un collasso catastrofico della Russia, irreversibilmente destinata a scomparire come prima era accaduto all’Unione Sovietica. I fatti oggi parlano da soli. V’è motivo di sospettare che ancora una volta – come accadde a Napoleone e a Hitler – si stia sottovalutando la capacità dei russi di compattarsi davanti al nemico e fare fronte comune. La leadership di Putin è già nella storia imperiale della Russia, alla quale ha restituito dignità politica e religiosa, due poli d’una forza travolgente. Chi non lo comprende in tempo è destinato a un vortice di errori, trascinandovi quanti gli daranno credito. Si direbbe che il premio Nobel per la pace sia a buon punto su tale cammino.
In questa baraonda, coloro che pescano nel torbido hanno come naturali collaboratori quanti speculano sulla pelle dei profughi e dei paesi che li accolgono. Nella nostra classe politica e nelle nostre diocesi abbiamo esempi numerosi e luminosi. Occorre domandarsi perché solo recentemente e per la prima volta un tribunale siciliano ha condannato degli scafisti, neppure a una pena memorabile, solo sei anni.
La guerra ha necessità del caos. La guerra non si accende in una situazione ordinata e tranquilla. La guerra deve essere alimentata con masse di bisognosi senza riferimenti familiari, culturali, religiosi, sociali.
Si inietta il caos attraverso il sovvertimento globale, spezzando tutti i legami economici, politici, nazionali, religiosi, morali, si frammenta la società, spezzandone i codici morali, per assoggettarne gli individui, secondo un rozzo modello premedievale, spegnendo ogni diritto naturale.
Putin lo ha capito da tempo e ha ammonito Obama e gli Stati Uniti davanti alle Nazioni Unite. Tutto è continuato come prima, in apparenza. Tutto sembra andare verso il caos voluto da Obama. Dopo di lui altri dovrebbe continuare sulla stessa strada. Chi? Le elezioni americane questa volta sono di importanza senza precedenti. 

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Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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14 risposte a Guerra e Pace, qualcuno bara

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  4. Oscar scrive:

    Tutti costi ammortizzati, Piero. Già ampiamente ammortizzati. In economia si definiscono “costi affossati”. E’ spesa pubblica finanziata con la tipografia di Stato, con grandi risvolti sull’acceleratore ed il moltiplicatore degli investimenti totali. Noi, in Italia, abbiamo (anzi avevamo) l’edilizia come volano dell’economia, loro hanno le armi.
    Per quanto riguarda la sora Camilla – hai ragione – neanch’io ci scommetterei su un solo centesimo.

  5. Oscar scrive:

    Giusto Piero. Le armi sono un investimento e devono avere un ritorno. Il problema è di che tipo di investimento parliamo, proprio per poterne calcolare il ritorno o – quantomeno – prevederne il periodo di recupero.
    Le armi non sono una diga il cui recupero viaggia sui 20/25 anni e, certamente il loro periodo di recupero (calcolata anche l’obsolescenza) le assimila più ai cd beni durevoli che a quello in grandi opere pubbliche. Pertanto, detto periodo dovrebbe già aver visto la conclusione dell’ammortamento che – di norma – si considera concluso in un arco di tempo che va dai 7 ai 12 anni. In questo arco di tempo, è possibile ritenere che il ROI sia stato ampiamente positivo. Basta – infatti calcolare l’entità del danno (quello di valore non morale) provocato l’11 settembre. Sul piano del solo valore monetario: una cifra spaventosa.
    Questo significa soltanto che se non ci fossero stati quegli investimenti “in sicurezza nazionale” si sarebbero certamente dovuti calcolare dei costi in attentati (perdita di beni, infrastrutture e vite umane) e chissà cos’altro, di una portata ed entità assolutamente incalcolabili e certamente superiori a qualunque spesa militare sopportata. Infine, occorre rilevare che l’investimento militare in USA viene finanziato con la stampa di dollari (QE) il che significa – per uno strano meccanismo che non possiamo condensare in questo spazio – che lo paghiamo un po’ anche noi e tutti quelli dell’area dollar/Exchange.
    Ribadisco: non credo ad una terza guerra mondiale così come lo fu la seconda e la prima.
    Tutto evolve. Anche la guerra.
    Per quanto riguarda la Clinton – invece – non so se ce la farà, ma ad oggi mi sembra, come dicono a Roma, “la sora Camilla, tutti la vogliono e nessuna la piglia!”.

    • Piero Laporta scrive:

      Mi pare arduo definire contromisure al terrorismo la guerra in Iraq e quella in Siria, senza dimenticare le operazioni nel Mediterraneo, quelle in Ucraina e poi le forze speciali mandate in ogni dove.
      1,6 triliardi è una montagna di denaro che non è ancora tornata. Pensa ai Goldmann& Sachs che hanno investino nel petrolio scommettendo sul barile oltre i 100$ e poi oltre 150$. E non sono gli unici.
      Scommettiamo che si sbranano fra loro e la prima testa a cadere sarà di Hillary?

  6. Oscar scrive:

    Piero, continuo a non capire chi dovrebbe volere una guerra che già c’è. tanto questa che c’è è l’unica possibile ai giorni nostri. A meno di pensare che “il porcellino” nord coreano possa fungere da innesco di qualcos’altro di più dirompente, che a nessuno conviene. Molto meglio una guerra guerreggiata che uno scontro da “the day after tumorrow”. Per riprendere quanto detto prima, vorrei ricordare che le crisi redistribuiscono e spostano la ricchezza. Quando il prezzo del petrolio cala, vanno per aria i piani di crescita dei Paesi cd Pig, come anche della Russia e dei Paesi del golfo. Ma non tutti soffrono. Infatti, in correlazione inversa, sale il prezzo dell’oro. E chi ha le più consistenti riserve auree del pianeta può permettersi ancora bilanci di una certa importanza. Chi sono questi?
    Certamente Obama c’è, ma non fra i primi. Putin “qualcosina” da parte ce l’ha e poi – perché no – ci siamo anche noi, il Portogallo e la Germania. C’è la Cina l’India e il Giappone.
    Non ci sono gli arabi. Hanno i rubinetti d’oro, ma le loro riserve si fermano ai cessi. Finito il petrolio, finita la festa. Anche per l’IS.
    Attenti, le intenzioni di Tump potrebbero trovare uno sbocco reale e anticipato, al di là di ogni immaginazione. Con buona pace di quanti si sono rotti di vedere quattro monarchi da operetta smaneggiare sul prezzo dell’energia mondiale e foraggiare le scorribande di alcuni cialtroni, tagliagole e commercianti di petrolio da borsa nera.
    Piero, penso anch’io che il Vaticano stia facendo la sua parte nello scenario internazionale in modo autonomo e – tutto sommato – non mi sembra si possano rinvenire elementi di critica nel suo operato in politica estera, quanti invece è possibile contarne in campo strettamente religioso (paradosso?).
    Il vero nodo di tutta questa faccenda rimane la Turchia, che per la sua posizione strategica può vedersi sopravvalutato il ruolo in ambito NATO dagli stessi USA che – intanto – hanno imposto all’Europa di mollargli un po’ di euro con la scusa dell’allestimento dei campi profughi presso di loro. Un po’ quello che faceva Gheddafi quando ci bloccava i flussi migratori dietro compenso. Pardon: “accordi bilaterali”.
    Ci possiamo fidare dei turchi e delle loro primavere? Non sarebbe la prima volta che gli usa prendono una topica nella valutazione di scenari, soprattutto in asia minore e medio oriente.

    • Piero Laporta scrive:

      Scusa la ripetizione:”gli USA in tredici anni – dal 2001 al 2014 – hanno speso 1600 miliardi di dollari per combattere il terrorismo. Il 90 per cento di tale somma è stata spesa dal Dipartimento della Difesa.”
      Le armi sono un investimento come un altro. In questo caso è una somma colossale che deve dare un ritorno e, se così non fosse, sarebbe la bancarotta. Dal 1973 (guerra dello Yom Kippur) è stato un crescendo di guerre di piccola scala e prezzo del petrolio in salita. Dopo la seconda guerra in Iraq, è rimasta solo la guerra ma piccola non basta più.
      Putin alle NU ha detto la stessa cosa con altri argomenti. Speriamo solo che la Clinton rimanga fuori dalla Casa Bianca. Io non posso dire tanto meno prevedere se la guerra scoppierà o meno; il rischio tuttavia è crescente, di già ben più alto che nei peggiori momenti della Guerra Fredda.

  7. Oscar scrive:

    Tutte ottime analisi. Condivisibili punti di vista!
    Tuttavia, mi sfugge l’obbiettivo finale. Qual è?
    Chi vuole cosa? Chi è il depositario della sintesi? Possibile che ci troviamo tutti nel caos perché tutti (gli attori principali) hanno smarrito la trebisonda? Hanno fatto male i calcoli e si sono incartati!
    Ci può stare!
    Allora io “spezzerei il pane” e inizierei a porre sul tavolo i tasselli del complesso puzzle analizzandoli uno per volta, prima di cercare di intuire da subito il disegno finale.
    Faccio la prova a cambiare prospettiva e a dire due cose semplici su alcune questioni.
    Petrolio ce n’è stato sempre tanto e continua ad essercene tanto, ma il prezzo – fino a ieri – lo decidevano gli arabi del Golfo. Per uscire dalla crisi del 2008, gli USA hanno avuto bisogno di un dollaro debole (vedere trend di questi giorni), ma per farlo digerire all’Europa dell’euro avevano bisogno di abbassare il costo dell’energia. In caso contrario, l’alleato europeo sarebbe morto strangolato oppure si sarebbe buttato nelle braccia di Putin. Intanto, un certo D. Trump – in pieno fervore elettoralistico – ha detto che se lui verrà eletto si recherà a prendere a calci nel culo quei quattro emiri corrotti, con l’asciugamano in testa, che siedono sui giacimenti di petrolio e ne controllano il prezzo (sic!). Obama si porta a casa l’Iran. Israele mostra un po’ di ritrosia, ma poi – in definitiva – sa che la cosa lo garantisce più di prima.
    …… il resto è lungo da descrivere, ma può essere immaginabile e conseguenziale.
    Dentro ci va la Siria, la Russia con Assad e le navi USA fra la Libia (IS) e l’Italia.

  8. Cirillo Camillo scrive:

    Condivido tutto meno il coinvolgimento del Vaticano .L’attenzione alla persona che ha sempre caratterizzato la Storia della Chiesa può tangenzialmente con progetti i politici ma non va confuso con l’avvallo di tali progetti.La dimostrazione che il Vaticano non è asservito alla politica americana nei confront della Russia è da rilevarsi nei colloqui di Papa Francesco con il patriarca Cirillo a Cuba.E’ il fondamento di un’Europa che respira con due polmoni.Viva la Santa Madre Russia,viva Zar Putin

    • Piero Laporta scrive:

      Temo che la sua lettura dei rapporti Obama-Vaticano sia un po’ ottimistica. Spero tuttavia di sbagliarmi.

      • Cirillo Camillo scrive:

        Gli americani secondo me non hanno capito niente della Russia.Dalle ceneri dell’Unione Sovietica è risorta la Santa Russia ,non c’è stato la disgregazione che gli americani davano per scontata.Che Putin sia stato del KGB importa poco.Egli ha chiara questa missione storica della Russia.Leggevo da qualche parte che sta quasi obbligando i suoi quadri politici a studiare i grandi filosofi e profeti russi come Berdjaiev Soloviev e Jilin. Il comunismo è attecchito in Russia perché l’autorità dello Zar aveva un valore sacrale .E bastato che il segretario del Partito Comunista ne prendesse il posto per realizzare la società messianica del proletariato di origine ebraica.Questo progetto è fallito ma è risorta la profezia cristiana che i citati scrittori avevano della Russia.Putin secondo me è consapevole di questo ,e tale consapevolezza lo rende un gigante rispetto ai politici occidentali che si sono infognati in particolarismi senza prospettive e a confondere i diritti con i desideri soggettivi.Da questo punto di vista Putin non è certo un democratico ,per fortuna.Questa visione della storia converge con quella della Chiesa di Papa Bergoglio che sta realizzando quell’Europa che deve respirare con i due polmoni di cui parla San Giovanni Paolo II:quello occidentale e quello orientale.È la strada per il superamento dello scisma che divise le due Chiese.

  9. giorgio rapanelli scrive:

    Quando hai a che fare con nazioni musulmane o con popolazioni nere africane devi abbandonare ogni riferimento alla tua civiltà occidentale (ebraico cristiana, illuminista, marxista e via dicendo) per poter gestire al meglio la cosa. Sono convinto che i fautori delle “primavere arabe”, spacciate per luminoso progressismo dei paesi musulmani, non fossero così stupidamente idealisti. Con una infarinatura di Corano, di Hadit e di Storia si poteva prevedere che ad un ordine di moderni e spietati “califfi ed emiri” sarebbe subentrato non un ordine democritico progressista, ma una confusione verso un nuovo ordine di “califfi ed emiri” più confessionali e spietati. Ovviamente, hanno ripiegato su nuovi regimi più spietati di quelli che erano stati abbattuti (come in Egitto), oppure non riescono a gestire una situazione caotica tribale come quella libica.
    Secondo opinioni militarti, l’Isis potrebbe essere sconfitta in Medioriente con un battaglione di specialisti e con appoggi logistici. Oppure, con 500 mercenari di stampo anglosassone, come quelli che sconfissero i 20 mila Simba del Congo (che avevano l’appoggio del Che Guevara con i suoi Cubani, il quale dovette fuggire precipitosamente per non essere catturato, o ammazzato).
    Comunque sia, a livello di opinione popolare, la Russia di Putin è diventata quella potenza che potrebbe difenderci, al posto dell’America di quel mezzosangue di Obama, mandato al potere per ben due volte da un popolo statunitense allo sbaraglio mentale. Non mi sembra che sulla piazza delle prossime elezioni ci siano personaggi capaci di tirare fuori gli USA dal pantano in cui sono stati gettati da paraventi dei poteri forti. Gli stessi che gestiscono la politica italiana. Ma ci rendiamo conto che un plurimiliardario come Soros sia il gestore delle crisi in Ucraina e, mi sempre, pure delle “primavere arabe”?
    Ovviamente, questa posizione pro Putin mi viene contestata da un amico filo-CIA, che bolla il Putin come uno del KGB, eccetera, eccetera. Quindi inaffidabile sotto il profilo democratico. Però, sembra che la stessa politica vaticana stia riallacciando rapporti più stretti con i “fratelli separati” della Chiesa ortodossa. Che l’incontro sia a Cuba significa solo che hanno pensato ad un luogo originale. Però, il risultato sembra sia quello che sarà: con tutto ciò che è in ebollizione, non possiamo lasciare fuori dai nostri obiettivi il popolo russo e il suo leader. E Israele. Ossia, l’unico paese realmente democratico e fortezza in difesa dell’Occidente europeo dai Tartari musulmani.

  10. Enrico scrive:

    Ho molto apprezzato le considerazioni sul “Vescovo” con 45 ettari di possedimenti che predica accoglienza da parte degli altri.

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