Francesco, Identità Italiana

papa francesco

Fattosi chiamare Francesco, il Pontefice ha riacceso una luce millenaria di crescente intensità sul popolo italiano. Perché?

Innanzi tutto la figura di Francesco d’Assisi è unificante. Il tentativo ricorrente di accostare San Francesco d’Assisi a questa o quella formazione politica è sempre fallito, così come quello di usare San Francesco contro qualcuno.

San Francesco d’Assisi appartiene a tutti, anche ai non credenti, se leggiamo bene come ammonì Benedetto XVI dalla Germania: ”Gli agnostici e non credenti che soffrono per i nostri peccati, sono più vicini a Dio dei credenti che concepiscono la fede come routine e apparato”. Se sono più vicini a Dio, a fortiori sono più vicini ai santi.

La Fede è opera di Nostro Signore e della Sua inesauribile misericordia che s’avvale anche di giganti della Fede come Francesco, per scuotere le coscienze.

La Fede cattolica, in secondo luogo, unica fra i credi monoteistici, è vocata a unire non a separare o discriminare. D’altronde, quando i chierici, piegandosi alla politica, sposano tesi di parte, l’effetto negativo è sempre rapido e devastante. Ebbene, la comprensione della Fede attraverso le figure dei santi come Francesco, esige innanzi tutto un atto di conversione. Prega per comprendere, ammonì sant’Agostino. D’altronde queste gigantesche figure della Chiesa sfuggono a chi osservi solo col microscopio laico, separando il personaggio dalla sua quintessenza, la santità, testimonianza eroica della Fede, attraverso la quale esse operano nel mondo senza farsene catturare.

La necessità di osservare la realtà trascendente con occhi di bambino non è eludibile. («Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» Marco 10,13-16). La nostra ragione tuttavia esige risposte misurabili persino quando pensiamo a Dio: “necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione”, e ancora:”agire contro la ragione [è] in contraddizione con la natura di Dio” (BXVI, “Fede, ragione e università” Lectio magistralis, università di Ratisbona).

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Pertanto, la nostra ragione, alimentata con occhi di bambino, ci porta a Dio, aiutandosi con l’esempio dei Santi, i cui tangibili frutti di Fede sulla terra agevolano la nostra debole comprensione. Ma perché questo accada occorre, da un lato, il Santo cui riferirsi e, dall’altro, l’umiltà e la docilità del nostro cuore.

«Alto e Glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio...» pregava Francesco davanti al Crocefisso di san Damiano un momento prima che Dio gli ordinasse di ricostruire la Sua casa.

“La fede, dono gratuito di Dio da accogliere con umiltà; l’esperienza, che consiste nell’incarnare la Parola di Dio nella propria esistenza quotidiana; e quindi la vera conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, bensì di un’intuizione contemplativa”. (BXVI, Udienza generale, 23 settembre 2009).

La Fede, in altre parole è vocazione, una chiamata, un imperativo “Seguimi” (Lc 9,57-62), che esige differenti gradi di impegno personale ma deriva da un’unica fonte: “La vocazione non è frutto d’un progetto umano o di un’abile strategia organizzativa. Nella sua realtà più profonda, è un dono di Dio, un’iniziativa misteriosa e ineffabile del Signore, che entra nella vita di una persona seducendola con la bellezza del suo amore, e suscitando di conseguenza un donarsi totale e definitivo a questo amore divino”. (BXVI, messaggio del 21 gennaio 2011)

Chi, in varia misura e per varie ragioni,  s’oppone alla nostra Fede, oltre alla violenza (peraltro crescente) ha due alternative: la prima è banalizzare i Santi, laicizzandoli, far dimenticare il loro esempio perseguibile per ognuno di noi; ridurre la loro esistenza al di sotto di quella dei divi del cinema e della tivvù, appunto definiti “divi” in quanto portatori d’una speciale e sovrastante condizione, rispetto ai rimanenti mortali.

Questa osservazione ci introduce nella seconda alternativa e possiamo definirla l’alternativa di Harry Potter, cioè la costruzione artificiosa di veri e propri idoli, i quali, a similitudine del vitello d’oro, costruito da Aronne, soddisfino la fame di trascendenza lasciata dalla sfiducia in Dio: «Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto» (Es 32:1-35). Chissà se sia un caso la diffusione in televisione di plausibili streghe buone, impegnante a combattere demoni cattivi; altrettanto diffusi sono supereroi di tutte le specie. Secondo questi modelli esiste un mondo supernaturale al di fuori di quello della Fede. E’ un messaggio palesemente stupido che tuttavia fa presa sugli ignoranti per costruire nuove idolatrie, non meno pericolose di quelle passate:

È un bene che lei faccia chiarezza sulle questioni di Harry Potter, giacché queste sono seduzioni sottili, che hanno un effetto impercettibile ed appunto per questo profondo, e logorano il Cristianesimo nell’anima prima che questo possa formarsi perfettamente”.

Così scriveva il cardinale Ratzinger, nel 2003, a Gabriele Kuby, autrice del saggio “Harry Potter, bene o male?”

In questo filone tossico s’inserisce la laicizzazione dei santi, frequente nei tempi correnti, restringendone l’anima – improntata invece dal grande mistero della Fede vissuta “Soli Deo Gloria” – nelle apparenze  terrene, nelle quotidiane e banali angustie mondane. È un’operazione per costringere il Santo entro una sola dimensione, quella umana, dipinta in vari accattivanti colori ma sempre in contrasto con la santità.

In tal modo Madre Teresa di Calcutta diventa “non tanto un’amica dei poveri quanto un’amica della povertà”, una sadomaso gaudente per la sofferenza dei miseri, secondo Christopher Eric Hitchens, giornalista britannico ateo, dimentico che le sofferenze dei poveri indiani sono innanzi tutto ascrivibili allo sfruttamento sistematizzato nel bestiale colonialismo britannico, ai cui guasti rimediò con quanto aveva, solo il cuore e la Fede di Madre Teresa, la sua carezzevole carità.

111Padre Pio, una vita nella cella di sei metri quadri, ubbidendo, confessando, recitando S. Messa e S. Rosario, è un esaltato imbroglione, secondo Sergio Luzzatto, il quale descrive il santo Frate assetato di celebrità, quella poi davvero sopraggiunta, travolgente.

Nessun agente cinematografico consiglierebbe a un aspirante divo la vita conventuale e l’esercizio della preghiera per raggiungere la notorietà. Semmai è vero il contrario, come dimostrano quei religiosi a caccia di notorietà in tivvù.

Padre Pio invece diventa famoso e quindi scandaloso perché, rimanendo sacerdote senza compromessi, tanto meno ostentandosi manager, realizza il paradosso caritatevole di costruire – senza mai tradire i voti francescani – un ospedale su una montagna (dov’è altri di tale dimensione?). Il miracolo allora diventa pretesto, causa e origine della calunnia a suo danno davanti al Sinedrio.

È, questa, condizione ricorrente nella vita dei santi.

000000PIOXIIPio XII, l’unico capo di Stato –  Stato alquanto piccino – a soccorrere gli ebrei durante la guerra, senza curarsi di suonare le trombe a futura memoria, è oggetto d’una parastoriografia velenosa, priva di documenti, ricca d’illazioni, sorretta solo da una mediocre opera teatrale in cui lo si dipinge cinico e pavido opportunista.

E sorvoliamo su Giovanni Paolo II descritto come un politicante, genuflesso alle strategie reaganiane.

San Francesco subisce un trattamento solo apparentemente differente da quello degli altri santi appena menzionati. Al Francesco della tradizione s’antepone un Francesco “storico”, così come s’antepone al Gesù dei Vangeli, un Gesù “storico”.

Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità” (BXVI, omelie).

Si insiste a sbiadire la santità di Francesco, per vie accattivanti, presentandolo ora come un no global ante litteram, ora come un pacifista o un ecologista radicale, quando non s’imbastiscono bizzarre teorie politiche che lo fanno pauperista, dimenticando che il Poverello d’Assisi fu caritatevole, tenace e trionfante avversario dei catari e del pauperismo.

La banalizzazione della Fede e della santità avviene, anche nel caso di San Francesco,  spingendo l’apprezzamento delle sue virtù terrene sino a che sovrastino e oscurino la natura vera del soggetto: un gigante della Fede di Santa Romana Chiesa, fra i cui attributi, oggi, quel “Romana” infastidisce oltre ogni misura dal Baltico all’Atlantico,  da Mare del Nor al Mediterraneo e oltre, illudendosi di contrastarlo operando non solo a danno dei santi, ma anche contro il magistero supremo della Chiesa.

Lo sforzo vano dei mistificatori tende a oscurare il dono verso il quale i Santi sospingono l’umanità: la Fede, offerta a tutti gli uomini, verso i quali gli stessi santi sono solleciti a lenire le sofferenze terrene. La Chiesa porge l’Ostia consacrata con una mano e con l’altra offre istruzione, formazione, carità, cure, cibo, in una parola benessere sociale.

Francesco è in questa millenaria tradizione di Santa Romana Chiesa. Se ne compenetra a tal punto da risultare  moderno oggi, a quasi un millennio dalla sua nascita nel 1182.

Nei 44 anni di vita del Santo, è vertiginosa la quantità di eventi, intorno a lui, dentro di lui e a causa di lui, impossibili da descrivere compiutamente.

Il suo frenetico periodo vocazionale non s’avvalse di internet, nè delle auto o dei treni veloci, coprì solo gli ultimi venti anni della sua esistenza, eppure egli viaggiò il mondo, fondò decine conventi, dettò ed emendò la Regola, presiedette i capitoli generali dell’Ordine, fondò l’ordine delle Clarisse, scrisse opere letterarie insigni; iniziò la composizione del Cantico delle Creature quando ormai gravemente malato, due anni prima della morte, avvenuta nel 1226.

Egli fu impegnato contro le eresie; inventò il Presepio; s’adoperò per convertire i mussulmani, recandosi in Egitto e in Terra Santa, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Dopo aver ottenuto il permesso dal legato pontificio, il vescovo benedettino Pelagio Galvao, entrò nel campo del sultano Ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino, per predicare il Vangelo.

La storiografia concernente il rapporto tra Francesco, l’Islam e le crociate oscilla fra un Santo intento a favorire la crociata e lo stesso Santo rappresentato come ostile alla guerra, quando non incline al sincretismo. È la consueta laicizzazione che trascura l’intento centrale di Francesco: evangelizzare, tutto il resto viene dopo e a molte lunghezze.

Perché San Francesco è il Patrono d’Italia

Nel 1205, mentre prega davanti al Crocefisso di San Damiano, per tre volte il Cristo in croce s’animò per dirgli: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. La preoccupazione di Cristo era ovviamente fondata; ma perché farne carico a un umile frate piuttosto che al Suo Vicario in terra?

E’ il gioioso mistero della volontà di Dio che va a segno attraverso gli umili: “Il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti”, osservò BXVI nel suo primo saluto dopo l’elezione. Questa insufficienza appare solo ai nostri occhi, per poi risultare sempre, ad opera compiuta,  in tutta la sua luminosa grandezza e lungimiranza.

Il Duecento è il secolo di Francesco, il quale tuttavia occupa solo un minimo segmento temporale. In apparenza quel secolo è più che altro segnato dal papato trionfante, dopo la strategica vittoria di Innocenzo III per le “investiture”: le monarchie d’Occidente divengono feudi romani e Federico II, stupor mundi,  deve al Sacro Soglio il pacifico possesso dell’Impero.

Ben presto però rinfocola la lotta degli Svevi contro il Papa e il conseguente scatenarsi di due fazioni nei liberi comuni; la Chiesa celebra i concili del Laterano e di Lione, papa Gregorio riunisce Oriente e Occidente; cadono le ultime vestige del paganesimo; scompaiono i pauperisti; partono le Crociate; i Saraceni perdono la Sicilia e i Mori si riducono a Granata.

Quando il demone della separazione sembrava oramai distrutto, esso risuscita: l’imperatore orientale, Andronico, riapre lo scisma, mentre le fazioni fra i Crociati sono ambasciatrici del successo del Sultano che Luigi, Santo Re di Francia, non potrà più costringere.

Secolo, il Duecento, singolare e trasudante un mistero che riverbera nella storia: le guerre più sanguinose convivono col fiorire di arti e scienze; le violenze inaudite di cieche tirannidi impazzano mentre si radicano le democrazie comunali. La furia delle eresie e delle negazioni anarchiche rende più brillanti la disciplina e l’ortodossia degli Ordini mendicanti che percorrono il mondo.

Fra gli orgogli infiniti, fra la sofferenza esacerbata degli umili, la cui vita vale meno delle bestie curate per conto dei padroni, mentre si cumulano ricchezze incalcolabili, fra dissolutezze e passioni, le più sfrenate, inaspettato, dirà Dante, appare un sole (Divina C./Paradiso/Canto XI, 43-51):

// Intra Tupino e l’acqua che discende / del colle eletto dal beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende, // onde Perugia sente freddo e caldo /da Porta Sole; e di rietro le piange / per grave giogo Nocera con Gualdo.// Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, /  come fa questo talvolta di Gange. //

Francesco rivoluziona pacificamente la società religiosa e quella civile, affermando la possibilità di un’autentica esistenza cristiana in un mondo che tuttavia correva, e quanto correva, proprio come oggi, verso il progresso all’orizzonte, del quale nessuno poteva immaginare la forza vivificatrice e distruttrice, proprio come oggi, governabile soltanto attraverso lo spirito cristiano e la Fede.

Francesco, dono del Signore ai figli tormentati

L’Italia, in tutto questo, è rampa, testimone, laboratorio e materia sperimentale, assumendo un ruolo nel mondo, quando s’affianca lealmente al Papa, seguendo l’esempio del Poverello d’Assisi, tale da rendersi di gran lunga più centrale e forte di quanto le apparenze non sembrino consentirle.

Dai tempi di Francesco è una peculiarità contraddittoria che ci distingue dai rimanenti paesi, ci unisce e ci separa, segno di contraddizione. Da quei tempi gli italiani sono sempre peggiori di quanto temi e costantemente migliori di quanto ti attendi: due ingranaggi uguali, ruotanti incessantemente l’uno contro l’altro, il cui lubrificante è unicamente la Fede cattolica.

Quando riflettiamo su questi aspetti e sul momento storico nel quale S.S. Pio XII di venerata memoria decide di affidare l’Italia a San Francesco, era il 18 Giugno 1939, alba tragica, bisogna concludere ancora una volta con Dante (cit. 28-31)

La provedenza, che governa il mondo / con quel consiglio nel quale ogne aspetto / creato è vinto pria che vada al fondo

Non c’è disegno umano che possa sormontare la Divina provvidenza: è l’insegnamento millenario di San Francesco al cuore e alle menti. Così, grazie alla lezione di Francesco, interrogandoci sull’Unità d’Italia, non dovremmo limitare il nostro orizzonte al Risorgimento, bensì spingerci sino alla Porziuncola, rileggendo il Cantico delle Creature, per ricordare che fummo uniti dal Poverello d’Assisi, prima che da Garibaldi (e qualche dubbio su questa unione sopravvive).

La contrapposizione Nord-Sud è conseguenza d’una incapacità di leggere la storia italiana attraverso la sua anima cattolica e francescana, preferendo piuttosto il trasformismo che, esecrato con le parole, a ben vedere, è nei fatti l’architrave della «continuità» spadoliniana, pure utile finzione per superare il Dopoguerra e la Guerra fredda, oramai insostenibilmente retorica; detonatore quindi di separazioni virulente al pari del Duecento.

Nonostante tutto gli intellettuali aggiogati ignoreranno la santità di Francesco, unificatrice dell’Italia. Il popolo – Dio e popolo è un binomio tuttora solido – ha fiuto tuttavia per la santità come per la verità, dentro e fuori le chiese, le moschee e le sinagoghe.

In piazza San Pietro, ma persino a Berlino, mentre il Pontefice benedice, scende la pace.

Fin dai tempi di Francesco ha senso il giobertiano «principio dell’unione italiana». Fin da allora la giobertiana «unità preesistente ed effettiva» non può che discendere dal cattolicesimo romano. Questa, tesi prediletta di Gioberti oramai più che tesi è «evento», sviluppatosi sotto i nostri occhi, anche i più laici; evento che parve concludersi con la Caduta del Muro e poi con la scomparsa di S. S. Giovanni Paolo II. L’evento invece è continuato incessante, in Italia, riverberando sul mondo. La differenza dai tempi giobertiani come da quelli di Francesco, la fa una Chiesa spogliatasi d’ogni potere temporale, che offre autorevolezza morale cui il popolo si affida.

La Chiesa, mai guardando indietro per vendicare o rivendicare, supera i collassi della storia senza esigere epurazioni e autodafé, testimoniando un modello di convivenza credibile, unica prospettiva anche per ebrei e mussulmani.

Da Attila, a Napoleone e casa Savoia, dal Reich all’Unione sovietica e, se è lecito accostare gli infimi ai massimi, fino ai politici piccini dei giorni nostri, di qui e di là dell’Atlantico, chi trama contro la Chiesa è perduto.

Questa provvidenziale corazza, quando posta dalla Chiesa al servizio dei deboli e degli umili, è impenetrabile, causandole odio, tanto feroce quanto vano, da uomini e poteri inclini a oltraggiare l’umanità a vantaggio dei propri interessi.

Non dimentichiamo tuttavia che “Non Praevalebunt” lo assicura Uno che mantiene tutte le sue promesse e l’Italia, coi suoi cittadini, è all’ombra di questa promessa.

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Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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8 risposte a Francesco, Identità Italiana

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  2. Roberto Buffagni scrive:

    Ringrazio il padron di casa per il bell’articolo su San Francesco, e lascio una breve nota a margine.
    Il magistero della Chiesa Cattolica (cioè Universale) Romana, è “supremo” per tutti i cattolici, nel senso elementare che in materia spirituale, è alla Chiesa che spetta l’ultima, o “suprema” parola. Chi alla Chiesa non appartiene, o non appartiene più, può legittimamente ritenere che il magistero della Chiesa non sia “supremo”, ma soltanto una tra le tante voci autorevoli che si levano nel mondo.
    Chi poi si voglia cristiano e insieme ritenga superflua l’appartenenza e l’obbedienza alla Chiesa per esser tale, a mio avviso sbaglia. La fede è dono divino, ma la religione è atto umano: e in quanto tale ha sempre bisogno di esprimersi, o nel linguaggio cristiano di “incarnarsi”, in atti umani, in opere e istituzioni. Che poi questi atti umani, e anche l’istituzione ecclesiastica, partecipino dell’umana imperfezione, a a volte anche dell’umana facoltà di peccare gravemente, mi pare inevitabile.
    Lo sanno bene, lo sanno meglio di tutti proprio i grandi santi come Francesco e Padre Pio, che non solo patiscono *per* la Chiesa, ma patiscono *da parte* della Chiesa offese, delusioni, persecuzioni che farebbero traboccare d’odio, di risentimento e di disperazione uomini meno grandi e ispirati. Eppure, non li si sente mai dire una sola parola contro la Chiesa; proprio come mai li si sente dire, una sola volta, “io sono buono”, oppure “io sono migliore di quelli”. Chissà perchè…

  3. aldo scrive:

    Ho iniziato a leggere l’articolo con curiosità, interesse ed entusiasmo. Da metà in poi ha prevalso la noia: possibile non si riesca a parlare di queste cose “con l’attitudine di un bambino”? La Chiesa ha perso irrimediabilmente la semplicità da secoli, cerchiamo di conservarla almeno noi. Senza lanciare i soliti anatemi e frecciate specie verso le altre chiese cristiane, anche questa irritante e antica usanza dei “Romani” che evidentemente, non si sa perchè, si ritengono superiori a chiunque altro. A questi “Romani” (cattolici) dico quello che Putin ha detto agli americani: “non siete niente di speciale”. I Nestoriani stavano in Cina mille anni prima dei Gesuiti, tanto per fare un esempio.

    • Piero Laporta scrive:

      La ringrazio per l’attenzione.
      Mi permetto di risottoporle questo passo:”La Fede cattolica …, unica fra i credi monoteistici, è vocata a unire non a separare o discriminare. D’altronde, quando i chierici, piegandosi alla politica, sposano tesi di parte, l’effetto negativo è sempre rapido e devastante“. Dov’è l’anatema? La chiesa addita una via, lei può seguirla o meno, ma non può esigere che io veda sullo stesso piano la mia e le altrui fedi, altrimenti non varrebbe la pena seguire una religione se l’una vale l’altra. Intendiamoci, questa sarebbe una posizione legittima, come infatti mi pare lei faccia, ma non per questo può ergerla a modello da seguire necessariamente (come la chiesa non fa).
      Circa la “semplicità del bambino”, essa concerne l’accettazione della Fede (che riguarda me) non l’argomentare, che concerne mutuamente me e lei, la cui noia mi dispiace ma non dipende, a mio avviso, da carenza dei miei argomenti, soprattutto se la sua noia è motivata dal mio sforzo di ricordare che san Francesco è, dopo tutto, un santo di Santa Romana Chiesa.
      Infine, il paragone con gli americani lo trovo, non solo fuori luogo perché in tutt’altro contesto, ma gratuitamente offensivo in sé, dunque indebolisce anzicché rafforzare i suoi argomenti, che tuttavia ho trovato interessanti e di cui le sono grato.

      • aldo scrive:

        Testuale “un gigante della Fede di Santa Romana Chiesa, fra i cui attributi, oggi, quel “Romana” infastidisce oltre ogni misura dal Baltico all’Atlantico, da Mare del Nor al Mediterraneo e oltre, illudendosi di contrastarlo operando non solo a danno dei santi, ma anche contro il magistero supremo della Chiesa.” A chi sono diretti questi “anatemi” (il Baltico?). E poi: magistero supremo della Chiesa. Ma supremo “de che” con rispetto parlando?

        • Piero Laporta scrive:

          Mi sfugge qualcosa? Lei vuole forse impedirmi di considerare “supremo” il magistero di Santa Romana Chiesa? E’ una faccenda di noi cattolici, se mi permette. Se ha voglia di capire qual è la differenza si rivolga a un mussulmano col medesimo tono, con rispetto parlando, approssimativo. In quanto alle persecuzioni contro la Chiesa cattolica “dal Baltico all’Atlantico, da Mare del Nor al Mediterraneo e oltre”, se non vuole prendersi la briga di informarsi, pretende che io ne farcisca un pezzo già lungo di suo?
          Andiamo al sodo. L’identità italiana discende da cattoliconi come Dante e Francesco: è cattolica. Punto.

          • aldo scrive:

            Non lo è. punto. tant’è che, finchè è stata egemone nel nostro territorio, la questione della riunificazione non è mai stata all’ordine del giorno. ci sono voluti i massoni per (ri)fare (male, malissimo) l’Italia

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