Arabia e Iran in guerra?

piramide    https://pierolaporta.it/arabia-e-iran-in-guerra/Arabia e Iran quasi in guerra. Perché? Chi ha interesse ad accendere il conflitto?

Il conflitto è in apparenza tra due fronti religiosi, gli Sciiti e i Sunniti, comunemente (e superficialmente) identificati con l’Iran e  con l’Arabia Saudita.
Questi schieramenti esistono (dagli albori dell’Islam) ma non sono la radice del conflitto, riconducibile invece a una molteplicità di attori economici, chi nascosto dietro i paramenti sacri chi dietro altisonanti ideali di democrazia e di umanitarismo, tutti connessi e contrapposti da interessi concreti, come cani legati allo stesso albero che si contendono la medesima ciotola.  
Su tale scenario aleggia una cerchia transnazionale, radicata nel Dipartimento di Stato e nei paesi anglosassoni, la quale, sebbene dimostratasi incapace di sferrare il colpo risolutivo alla Siria, non sembra voglia rinunciare a colpire Vladimir Putin e Bashar al Assad.
Quanto accaduto dal 2009 (primavere mussulmane), passando proprio per la Siria, entra in questa prospettiva. Essi hanno sognato la sconfitta di Putin e l’abbattimento di Assad. Tali due obiettivi sarebbero stati funzionali al controllo strategico dei depositi energetici nel Mediterraneo orientale, come di quelli fra Siria e Iraq settentrionale.
Il controllo del territorio siriano avrebbe inoltre assicurato alla NATO (rectius a USA, G.Bretagna, Francia e Germania) la continuità strategica terrestre dal Centro Europa fino al Golfo Persico, nonché l’ulteriore ampliamento della “cintura di contenzione”, stesa intorno alla Russia, cominciando con la destabilizzazione della Iugoslavia mentre cadeva l’Unione sovietica.
vicino oriente   https://pierolaporta.it/arabia-e-iran-in-guerra/Nonostante tutti gli sforzi, dopo cinque anni di guerra, dalla primavera del 2014 l’assalto alla Siria è in affanno progressivo.
Russia e Cina sono entrate nel frattempo nel gioco molto abilmente, investendo poco e ottenendo molto.
Bashar al Assad, superate le prime asperrime difficoltà, ha avuto costantemente al suo fianco Mosca e Pechino nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il passaggio legalitario obbligato, attraverso il quale gli USA e gli altri devono passare – l’hanno costruito loro stessi – per dare veste legale alle sanzioni e al sospirato intervento militare multinazionale, sul modello dell’Iraq e precedentemente dell’Afghanistan.
La Russia ha propiziato l’accordo per la distruzione delle armi chimiche siriane, prevenendo Barack Obama, il quale poggiava sullo spauracchio chimico la declamata urgenza di un’azione militare contro al Assad. Sottoscritto e applicato l’accordo, è venuto a mancare il terreno d’appoggio per l’intervento militare multinazionale. A cavaliere di tale evento s’è materializzato il cosiddetto (c.d.) “Califfato”. È parsa una novità, così come parve una novità al Qaida, a sua volta prima del Califfato.
La vera novità in questo scenario è invece lo sforzo di straniarsi da parte di Israele, allo stesso tempo avvicinatasi a Mosca, come non era mai accaduto dalla fondazione dello Stato ebraico, riconosciuto da Stalin prima di tutti gli altri. Questo riavvicinamento è avvenuto spezzando una lunga tradizione di ubbidienza da parte di Israele ai desiderata delle cerchie ebraiche della finanza internazionale (si pensi ai Goldman&sachs e ai Soros) inclini a strumentalizzare l’ebraismo a scopi speculativi.
Il tentativo di tirare comunque nel conflitto lo Stato israeliano, coi ripetuti lanci di razzi e più recentemente con la c.d. “intifada dei coltelli” trovano una ferma e misurata risposta militare, congiunta a una glaciale flemma politica, tali da non consentire di ascrivere Israele ad alcuno degli schieramenti in guerra.
In questo quadro occorre esaminare senza ideologismi le cause della tensione fra Arabia Saudita e Iran.

Il ruolo di ISIS

Uscite di scena le armi chimiche di al Assad, come s’è detto, è mancato l’alibi per l’intervento militare a lungo invocato dal premio Nobel per la Pace. Nel frattempo si sono manifestate e intensificate le conseguenze dell’ingresso in scena dei comprimari: le c.d. “forze ribelli”. L’affiancamento ad al Quida del “Califfato” si è risolto in una progressiva preminenza del secondo a scapito del primo. 
Difficile trattenere la commiserazione osservando l’incapacità di gestire il “cosiddetto Califfato”, da parte di quanti – eccetto la Russia – dicono di contrastarlo e combatterlo.
Un gioco che ha privato i burattinai di ogni alibi, inchiodando alle proprie responsabilità gli assalitori della Siria (europei e americani), come pure i loro sodali: Turchia, Arabia Saudita, Qatar.
La necessità di presentare ISIS come un sottoprodotto religioso dell’Islam “primaverile”, estremista ma pur sempre in rivolta contro le “vecchie dittature”, induce i suoi fiancheggiatori a illuminarne le efferatezze proprio in quanto “l’effetto terrore” deve sembrare una conseguenza delle malefatte delle dittature medesime, al fine di accelerarne la delegittimazione. Il gioco ha retto sino a un certo punto, ma ben presto è sfuggito ad ogni controllo. La pianificazione, come in precedenza in Iraq e in Afghanistan (stendendo un velo pietoso sugli anni ’90 e precedenti) meriterebbe il Nobel dell’imbecillità da collocare accanto a quello della Pace. Troppo tardi si sono accorti del terrore incontrollabile, propiziato dalle spinte anticurde e anticristiane, endogene in quell’area alla galassia mussulmana, dunque facili da utilizzare come benzina.
Ci si domanda se quanti hanno acceso il fuoco sotto questa pentola si aspettassero anche il risveglio dei peggiori retaggi anticoloniali, il cui vecchiume non sembra averne indebolito la virulenza, come i ripetuti attacchi a Parigi, a Londra e più recentemente in Germania sembrano confermare. Forse cominciano ad avvedersi dell’errore fatale, non rimediabile né con la retorica né con il pregiudizio e neppure con la forza. Una misura ben presto si imporrà: organizzeranno le città e il territorio a sicurezza variabile, a seconda della collocazione del Potere. Questo fenomeno è già visibile ora, ma diventerà ancora più acuto in breve. Non divaghiamo tuttavia.
Quando ISIS è parso non più presentabile, Barak Obama, spalleggiato da inglesi e francesi, ha finto di bombardarlo. Putin ha visto la mascella scoperta e  ha sferrato il diretto micidiale: la Russia è entrata direttamente nel conflitto, bombardando davvero ISIS e i ribelli anti Assad, inviando pure truppe di terra.
Dopo cinque anni di guerre, migrazioni bibliche, violenze d’ogni sorta, una quantità incalcolabile di morti, mentre gli effetti nefasti esondano verso l’Europa, qual è il ruolo del Califfato oggi sulle proprie terre?
Per comprendere davvero il peso politico militare di questa accozzaglia, bisogna sforzarsi di guardare al di là delle efferatezze che essi commettono, con uno stile che mutatis mutandis accompagna i conflitti post 1989, a cominciare da quelli balcanici, dei quali ricordiamo gli stupri di massa, mentre poniamo in secondo piano il loro reale significato politico; proprio come oggi accade per il Vicino Oriente.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”33%”]Ogni guerra è seguita da decenni d’incertezza nel controllo del territorio, tale da rendere indispensabile la collaborazione fra delinquenza organizzata e forze istituzionali: una via obbligata (e remunerativa, suvvia). I traffici illegali marcano i punti di equilibrio di tale collaborazione. Il Califfato è esattamente su queste coordinate, come tutti i trafficanti illegali di sigarette, di droga, di uomini, di armi, di petrolio… [/cryout-pullquote]L’intervento militare di Mosca dimostra da un lato l’inconsistenza militare del Califfato e, nello stesso tempo, mette allo scoperto le complicità e gli interessi a breve termine. Fra questi è di spicco il mercato del petrolio.
Chiunque può rendersi conto che il Califfato oggi continua a ottenere quanto è stato pervicacemente perseguito dalle compagnie petrolifere inglesi, statunitensi e (successivamente anche le) francesi sin dalla guerra Iran-Iraq, protrattasi da settembre 1980 ad agosto 1988. Lo stesso obiettivo si conseguì con le guerre del 1990 e le successive in  Iraq.
Come allora la guerra, oggi ISIS impedisce l’ingresso sul mercato del petrolio iracheno (e di quello libico). I giacimenti iracheni sono secondi solo a quelli sauditi. In realtà il loro indice di sfruttamento è basissimo, il più basso fra tutti i paesi petroliferi, proprio a causa delle guerre. L’ingresso del petrolio iracheno sul mercato marcherebbe un crollo ulteriore del costo del barile. Questa possibilità dà l’orticaria a tanti, specialmente ai sauditi.
Qualcuno obietterà, a ragione, che il prezzo del petrolio lo si è volutamente abbassare, seguendo una precisa strategia contro Putin. Ciò è vero e vedremo com’è avvenuto e quanto successo ha avuto. Nel frattempo però il Califfato assolve funzione analoga, si parva licet componere magnis, a quella dei contrabbandieri di sigarette.
La fabbriche fanno arrivare le sigarette ai contrabbandieri per due peculiari ragioni: i contrabbandieri consentono di mantenere alta la domanda anche da parte di chi non potrebbe permettersi i costi delle sigarette legali; i contrabbandieri inoltre consentono alle case produttrici di non inondare il mercato legale con un eccesso di produzione (oltre tutto è un venduto senza tasse). C’è un terzo motivo, in realtà, che tutti negheranno, sebbene sia nella storia, per esempio, delle mafie. Ogni guerra è seguita da decenni d’incertezza nel controllo del territorio, tale da rendere indispensabile la collaborazione fra delinquenza organizzata e forze istituzionali: una via obbligata (e remunerativa, suvvia). I traffici illegali marcano i punti di equilibrio di tale collaborazione.
Il Califfato è esattamente su queste coordinate, come tutti i trafficanti illegali di sigarette, di droga, di uomini, di armi, di petrolio… 
Nella prossima puntata vedremo come si è arrivati a un passo dalla guerra fra Iran e Arabia Saudita e perché, per ora, quel passo non sarà fatto.

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Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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2 risposte a Arabia e Iran in guerra?

  1. Renzo Romano scrive:

    Analisi ineccepibile, a mio giudizio. Questa Europa dove, come diceva un mio dotto ed arguto amico, “abbondano i coglioni e scarseggiano le palle, dovrebbe capire che oggi la Russia è l’unica ad avere la forza e la chiarezza di idee adeguate a fermare l’Internazionale Islamica, che mi preoccupa al di là dell’ISIS e dei suoi tagliagole, perché non voglio che i miei nipoti vivano in un Continente islamizzato. Ho sembre avuto timore dell’espansionismo russo, palese e “consistent” da Pietro il Grande in poi; avere un’Europa parte di una Greater Russia potrebbe però essere preferibile ad una “sottomissione”. Comunque sia, siamo messi male….

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