IL PRESIDENTE ALDO MORO NON ERA IN VIA FANI

articolo pubblicato la prima volta a marzo 2020

«Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza – che sono considerato un prigioniero politico…» E più avanti continua, riferendosi a questo brano: «Soprattutto questa ragione di Stato nel mio caso significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato…»

Il Presidente Aldo Moro non fu rapito in via Fani, il 16 marzo 1978, alle ore 09.02, com’è raccontato da uomini dello Stato, da investigatori, magistrati, politici, stampa e tivvù. Ce lo assicura lo stesso presidente Aldo Moro nella sua lettera alla sua diletta moglie, Noretta. Lo fa col suo inconfondibile stile. Vediamo come.

In via Fani furono rinvenuti 93 bossoli, 49 dei quali d’una sola arma, d’un tiratore mai identificato, d’altissima perizia, peculiare alle forze speciali, «un gioiello di perfezione», secondo un testimone, intervistato da “Repubblica” il 18 marzo 1978.
93 bossoli, 44 dei quali sparati dai rimanenti sei brigatisti. A detta di Valerio Morucci, «l’unica prova dell’azione era stata compiuta nella villa di Velletri». Ammesso che abbiano sparato, impossibile che abbiano acquisito perizia da tiratori, neppure lontanamente accostabile a quella del professionista. I brigatisti sono assassini che sparano alle spalle di vittime inermi a brevissima distanza, niente di più.
Il presidente Aldo Moro, come si sa, sarebbe uscito indenne dalla tempesta di fuoco, quindi rapito e trasportato sull’auto che  l’avrebbe 
poi portato alla “prigione del popolo”. I suoi assassini potevano permettersi un ostaggio ferito? No, perché sarebbe diventato un problema logistico d’asperrima gestione.

Gli indizi
I suoi assassini potevano permettersi di uccidere, sia pure casualmente, il presidente Aldo Moro? No, perché tutta la finzione successiva, ruotata intorno a una “trattativa” – una turpe finzione – non sarebbe rimasta in piedi. Aldo Moro doveva dunque essere rapito incolume. La sua incolumità, affinché fosse certa, impose di tenerlo lontano dalla scena della strage.
Supponete di impugnare una pistola, mirando a un bersaglio posto a 2 metri e mezzo da voi. Sparate dal fianco, senza mirare, confidando proprio sulla prossimità del bersaglio, esattamente come fecero i sette assassini. Se la vostra pistola o la mitraglietta, nel momento in cui sparate, devia di solo 4 centimetri, il colpo sul bersaglio è deviato di mezzo metro. Quattro centimetri sono nulla per un tiratore non addestrato. Se poi i centimetri fossero sei, solo due in più, perché il primo colpo vi ha spostato la mano, la deviazione finale sarebbe di 75 centimetri. D’altronde anche il precisissimo tiratore professionista – spara senza minima dispersione – nulla potrebbe se l’ostaggio, come sarebbe naturale, si muovesse scompostamente e improvvisamente, ponendosi sulla traiettoria dei suoi colpi. Ancor meno egli potrebbe se uno o più colpi fossero deviati a causa di impatto su materiale duro o trapassando l’autista e il maresciallo Oreste Leonardi, seduti sui sedili anteriori. Insomma, l’incolumità del presidente Aldo Moro non poteva essere garantita a via Fani, a lume di logica. Questa, sinora, è tuttavia nient’altro che una congettura.
L’obiezione più immediata: ci sono testimonianze d’un uomo trascinato verso l’auto che poi di dilegua. Vi è anche la testimonianza secondo la quale il rapito viene trascinato dai rapitori mentre reca con sé due borse. Questa testimonianza potrebbe essere più veritiera di quanto si possa presumere. Non di meno sull’attendibilità delle testimonianze “oculari” vi è una montagna di studi a metterci in guardia. Nel caso in esame, vi sono almeno due risposte possibili, una un po’ più perfida dell’altra. La prima. I brigatisti, dovendo simulare la presenza di Moro (che come dimostreremo non c’era) prepararono un figuro che ne fece le parti (e addirittura portava con sé le borse). I testimoni, traumatizzati com’è naturale che fossero, scombussolati dalla strage, “videro” Aldo Moro trasbordato sull’auto dei rapitori: era lui o un commediante, com’è più verosimile. La seconda. Far dire a un testimone d’aver visto ciò che non ha visto non è impossibile. Comunque sia, ai fini del nostro discorso questo dettaglio è secondario, perché Aldo Moro non c’era, ce lo assicura egli stesso, col suo lessico, come vedremo.

La Prova – Che cosa dice Aldo Moro
Da tutte le lettere scritte da Aldo Moro, quelle fatteci ritrovare, risalta la totale assenza di interesse per la sorte della scorta. Non una sillaba è spesa da Aldo Moro per le vittime della strage. Tale dettaglio, utilizzato da eminenti esperti per garantire la scrittura sotto dettatura delle lettere di Aldo Moro, svela invece un buco nella ricostruzione ufficiale – mediata dai brigatisti postini – proprio gabellando la totale assenza di interesse per la morte dei cinque sventurati. Chi ha conosciuto Aldo Moro, un cattolico profondamente credente, d’assoluta bontà, compassionevole come un vero cattolico deve essere, sa che tale distorsione non è accettabile. Aldo Moro non sapeva nulla della sorte della sua scorta. Aldo Moro d’altronde non doveva essere informato dai suoi rapitori circa la sorte della scorta, altrimenti mai avrebbe accettato di proporre la sua liberazione coi toni ben noti.
Aldo Moro, riferendosi alla scorta, la descrisse solo “inadeguata“, nient’altro. Aveva ragione di scrivere così. Egli era – lo ripetiamo – ignaro della sorte della scorta, sebbene fosse del tutto consapevole che essi s’erano lasciati ingannare da chi lo aveva “prelevato”.
Nel libro “Aldo Moro, Ultimi Scritti, 16 marzo – 9 maggio 1978”, a cura di Eugenio Tassini, ed. Piemme, 1998, a pagina 13, nella lettera a Francesco Cossiga, diffusa il 29 marzo 1978, Aldo Moro scrive:
«Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza – che sono considerato un prigioniero politico…» E più avanti continua, riferendosi a questo brano: «Soprattutto questa ragione di Stato nel mio caso significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato…»
Aldo Moro scrive “prelevamento” solo in due lettere. Nelle altre scriverà sempre “rapimento”. Egli non usava le parole a caso, tutt’altro, le distillava con estrema precisione. Qui correla il “prelevamento” alla ragione di Stato, dunque allo Stato e al “dominio pieno e incontrollato”.
A pagina 159 dello stesso libro, Aldo Moro fornisce la prova di quanto accaduto, con un messaggio tanto inequivocabile quanto terribile, non di meno in una forma del tutto morbida, com’è nel suo stile.

Quando conclude la lunga lettera, scritta all’adorata moglie, nel giorno della Santa Pasqua, il 27 marzo 1978, butta lì alcune raccomandazioni, apparentemente inoffensive: «Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C’è da ritirare una camicia in lavanderia.
Data la gravidanza e il misero stipendio del marito, aiuta un po’ Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare. Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze» e poi arriva il punto esplosivo «Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio».
Aldo Moro ci sta comunicando che l’auto su cui avrebbe viaggiato quel mattino conteneva le sue cinque borse. Se egli fosse stato presente alla strage di via Fani egli avrebbe saputo che almeno due borse furono prelevate dagli assassini (addirittura le avrebbe trasportate egli stesso, secondo un testimone). D’altronde, da fine giurista, era sicuramente consapevole che le borse, quali e quante fossero rimaste sulla scena del delitto, sarebbero state sequestrate dalla magistratura. Non erano quindi recuperabili da un segretario sia pure fidato come Rana. Quanto scrive Aldo Moro fornisce la prova che egli non ha viaggiato sull’auto poi bersagliata dai terroristi.  Egli teneva inoltre con sé una delle borse, da cui non si distaccava mai. Aldo Moro, menzionando “cinque borse”, dà così il messaggio, criptico eppure chiaro a chi voglia intenderlo: non ho viaggiato con le borse. Le domande da porsi sono quindi: con chi ha viaggiato il Presidente Aldo Moro verso la prigione? Chi ha 
davvero rapito il Presidente Aldo Moro? Chi ha ordinato alla scorta di transitare per via Fani? E dove lo ha condotto? Il Presidente Aldo Moro non è in via Fani quando alla scorta è inflitto il colpo di grazia. La scorta deve essere annientata affinché non si sappia che cos’è accaduto prima, al Presidente Aldo Moro, dal momento in cui esce di casa. 

Fin qui i fatti. Ora andiamo alle deduzioni.
Aldo Moro è stato allontanato dalla sua scorta. Questo può essere avvenuto solo per opera d’un drappello di carabinieri o poliziotti (finti o veri non sta a noi dirlo) comandati da un ufficiale, costui ben vero e ben noto al capo scorta, Oreste Leonardi, il quale mai avrebbe abbandonato il suo Presidente in mani sconosciute se non per ordine di un ufficiale a lui noto e direttamente sovrordinato nella linea di comando.
«Signor Presidente, mezz’ora fa Radio Città futura ha annunciato il suo rapimento» rivolgendosi anche a Leonardi, il delinquente in uniforme avrebbe potuto aggiungere: «Abbiamo quindi pensato a un piano diversivo. Lei, signor Presidente, potrebbe venire con noi con auto blindata e scorta adeguata. Tu, Leonardi, fa’ il tragitto per via Fani. All’incrocio fra via Fani e via Stresa troverai dei nostri in uniforme dell’Alitalia. Rallentate e fatevi riconoscere. Anzi, per evitare equivoci, perché non so bene da quale reparto arrivino, mettete le mitragliette nel portabagagli per evitare errori, caso mai le tirate fuori dopo. Ci vediamo in Parlamento». Già in Parlamento, dove Aldo Moro pensava che la sua scorta fosse giunta indenne e con le sue borse; invece inadeguata e gabbata dai rapitori veri, quelli che lo avevano “prelevato”, com’egli scrive a Cossiga. Una scorta inadeguata, dopo tutto, ha proprio ragione Aldo Moro di lamentarsene. Come dite? Potevano telefonare al comando per sincerarsi che tutto fosse regolare? Non c’erano cellulari e quel mattino la SIP ebbe un’avaria; tutte le comunicazioni telefoniche erano bloccate. Perché altrimenti bloccarle? Il resto è noto? Non è detto. Aldo Moro non poteva tornare vivo dalla prigionia, altrimenti avrebbe testimoniato, e sarebbero saltati tutti a cominciare dai fautori della linea intransigente della DC e del PCI, oltre ai fedeli servitori dello Stato prestatisi a questa porcheria. La trattativa aveva dunque un unico sbocco possibile: la morte di Aldo Moro. I suoi assassini, i pochi individuati, fanno una vita agiata. Il colpo di grazia agli uomini della scorta è una conferma.

Quel terribile brano della lettera alla signora Moro non lascia scampo e conviene richiamarlo alla memoria: «Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio». E’ perentorio: “…cinque borse che erano in macchina…” quando lo hanno “prelevato”. Il Presidente Aldo Moro soppesava le virgole. Ripetiamolo: Aldo Moro, se fosse stato sull’auto che recava le sue borse, avrebbe avuto perfetta consapevolezza che esse erano state portate via dai suoi carcerieri oppure sequestrate dall’autorità giudiziaria. Non c’è una terza possibilità. Non era dunque affare del segretario Rana, recuperare “cinque borse”.
Dov’è
avvenuta la separazione di Aldo Moro dalla sua scorta? Non è affar mio stabilirlo. Ho un’idea precisa, ma non mi perdo in congetture.
Non c’è dubbio quindi che le borse sono andate da una parte, insieme alla scorta, mentre Aldo Moro è andato verso il carcere dei sicari, mentre immaginava la sua scorta transitare indenne in via Fani, come da ordini da essa ricevuti.

Perché massacrare la scorta, se avevano già rapito Aldo Moro?
Ovvio, perché non testimoniassero l’antefatto. Per comprendere quanto sia importante questo nodo si legga quanto riferisce il magistrato Gianfranco Donadio, il 4 marzo 2017, alla Commissione parlamentare d’inchiesta.
Perché una forza oscura si muove per uccidere Aldo Moro quando sembra a un passo dalla liberazione? Perché a buona parte delle autorità politiche e all’opinione pubblica si dette a bere la commedia di via Fani. Dimostrazione di “geometrica potenza” definì il massacro di via Fani, un Franco Piperno amico e sodale di Bettino Craxi. Se Aldo Moro fosse tornato quindi vivo dalla prigionia, si sarebbe svelata la turpe commedia della “geometrica potenza”, delle finte linee umanitarie, degli ordini ai dirigenti di partito dalle centrali internazionali ed eseguiti fedelmente. Se Aldo Moro fosse tornato vivo i vertici dei partiti italiani, tutti, e delle cancellerie internazionali avrebbero dovuto dare risposte che non potevano e non volevano dare. In altre parole, Aldo Moro doveva morire e ciò fu deciso a un livello superiore ai vertici dello Stato e ai partiti italiani, gran parte dei quali consapevoli e codardi.
Ribadisco che non ho alcuna certezza sugli antefatti (quindi sui moventi), ma i fatti sin qui appurati certificano una complicità internazionale che supera le contrapposizioni ufficiali fra Nato e Patto di Varsavia.

Almeno dal 1973, anno della guerra dello Yom Kippur, preceduta dall’attentato a Enrico Berlinguer a Sofia, il 3 ottobre, c’è un gioco delle parti dei servizi segreti italiani, statunitensi, francesi, inglesi, tedeschi, israeliani e sovietici, insieme ai politici loro servi. Chi ha tenuto segreto l’attentato a Berlinguer sino al 1991, poi non ha spiegato perché quell’attentato fu compiuto. Il compromesso storico? Non diciamo sciocchezze. Alexander Dubček prese solo qualche ceffone sebbene, solo cinque anni prima, ad agosto del 1968, avesse messo sossopra la Cecoslovacchia e il Patto di Varsavia. Perché Berlinguer ha taciuto? Che cosa aveva fatto per meritare la morte? Che cosa dette in cambio per sopravvivere? Nessun approfondimento è mai stato fatto inoltre sulla presenza a Roma, in via degli Orti d’Alibert, d’un capitano del GRU[1], messo alle costole di Aldo Moro. Il figuro poi riapparirà nell’attentato a san Giovanni Paolo II. Ah, dimenticavo, costui abitava in un appartamento di proprietà del Vaticano. E qui entra in ballo un altro servizio segreto, quello vaticano, il quale evidentemente trovò non pochi ostacoli entro le Sacre Mura.
Via Caetani, dove ritrovarono il corpo di Aldo Moro, prendeva il nome dal palazzo nel quale era di casa Igor Markevitch, direttore d’orchestra ucraino, in forza al Kgb. Durante la Seconda guerra mondiale fu agente di collegamento coi servizi inglesi per conto dei sovietici, si infiltrò nella Resistenza italiana e nel 1948 divenne cittadino italiano, sposando la duchessa Topazia Caetani. Si imparentò pure con Hubert Howard, agente britannico, questi avendo sposato Lelia Caetani, cugina di Topazia. Secondo Ferdinando Imposimato, Markevitch fu “l’anfitrione di Firenze” durante il rapimento Moro.
I rapporti fra Igor e BR sono in un rapporto del Ros Carabinieri, secondo i quali Giovanni Senzani, ritenuto dagli americani vicino ai servizi francesi, presentò Markevitch a Mario Moretti. Un rapporto del Sismi, nel 1980, descriveva Igor agente con un passato con MI6, Kgb e Mossad.
Come si può capire, la vicenda di Aldo Moro è un maleodorante verminaio, nel quale io mi limito ad additare una scollatura tecnica, un granello di sabbia di colore differente, sfuggito per 40 anni. Vogliamo indagare sul passato? Difficile dire se sia ancora utile. La storia è maestra di vita; non ha tuttavia scolari, aggiungeva Antonio Gramsci. Allora dobbiamo tornare indietro per guardare avanti. Possiamo fare ipotesi, per quello che valgono, puntando sempre su denaro e potere, colonne di tutti i peggiori misfatti.
Se consideriamo quanto è avvenuto dalla morte di Aldo Moro ai giorni correnti, con la spinta oramai palese a sottomettere popoli ed economie al potere finanziario, di certo è importante ricordare che Aldo Moro, aggirando i limiti imposti da Fondo Monetario Internazionale (aumentando la massa di denaro circolante e finanziando gli investimenti) sostenne l’emissione delle banconote da 500 Lire, serie “Mercurio alato”, stampate dallo Stato italiano e non dalla Banca d’Italia.
Dopo il 16 marzo 1978, terminò l’emissione del biglietto di Stato che avrebbe finanziato il Belpaese senza aumentare il debito pubblico. Oggi possiamo comprendere quanto sgradite fossero tali manovre ai poteri “storti”.
Un’altra chiave di lettura la si può trovare nelle connessioni fra Stato, Pci, Dc e mafia, cominciate nel 1977, per la costruzione della base missilistica di Comiso, un crogiolo di corruzione, nel quale furono inghiottite le esistenze di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Pio La Torre.
Aldo Moro non avrebbe consentito quelle sconcezze né alla DC, né al Pci né ad altri. L’ostilità per il compromesso storico di Mosca e di Henry Kissinger sono quindi importanti, entrando tuttavia in un poliedro criminale che salda ulteriori complicità.
Ripeto, al di là dei fatti reali, non si può, è persino inutile cercare moventi.
Dico moventi, al plurale, perché – di questo possiamo essere certi – fu una consorteria trasversale, interna ed esterna all’arco costituzionale e agli schieramenti NATO e Patto di Varsavia, ad assicurare l’impunità ad assassini sedicenti comunisti, garantendo i depistaggi fino ai giorni correnti e la vita agiata agli assassini.
Quanti si dicono indifferenti alla sorte di Aldo Moro a causa dei cedimenti alla Jugoslavia, sono ingenerosi e non tengono conto dei fatti oggettivi. Quando si perde una guerra tutto finisce nelle mani del vincitore: economia, industria, servizi segreti, diplomazia, magistratura e forze armate. Per recuperare la sovranità tanto Alcide De Gasperi quanto Aldo Moro dovettero cedere dei pezzi. La Jugoslavia era divenuta importante per la NATO in caso di guerra col Patto di Varsavia. Aldo Moro non era responsabile di questo e neppure si può ascrivergli l’irresponsabile fuga dalle proprie responsabilità dell’alta borghesia lombardo piemontese, dei coté romano, milanese, fiorentino, bolognese e persino napoletano, A questi si sommò una porzione importante della Chiesa. Da qui trasse forza il Pci, per poi perdere la propria identità. Oggi è evidente quanto l’accattocomunismo sia trascolorato in accattoglobalismo.
Aldo Moro teneva botta agli attacchi ma doveva cedere in alcuni settori – la Jugoslavia, per esempio – ben sapendo che al suo fianco operavano servi degli statunitensi, degli inglesi, dei francesi, dei tedeschi e dei sovietici. Uno di costoro, poi arrivato ai vertici dello Stato, servì almeno tre padroni.
D’altronde Aldo Moro non ebbe, su Osimo, alcun aiuto da parte di Enrico Berlinguer, l’unico al quale non ha indirizzato alcuna lettera dalla prigionia, né menzionato nel memoriale.
La storia non si fa coi se e i ma. Dobbiamo tuttavia chiederci se sarebbe stato così facile sottomettere l’Italia – dal 1981, quando Beniamino Andreatta e Mario Monti privatizzarono Banca d’Italia con una letterina – fino ai tragici giorni correnti, mentre l’Europa e il mondo si prendono gioco di noi. La storia non si fa con i se e i ma. Proprio per questo motivo si uccide chi può tradurre in realtà politiche e di fatto tanto i ”se” quanto i ”ma”. Lo si uccide e se ne distrugge la memoria. Questo hanno fatto dal primo momento con Aldo Moro, lo hanno diffamato per 40 anni e ancora insistono.
In conclusione Aldo Moro ha condiviso la sorte con Abraham Lincoln, coi fratelli Kennedy e con tanti altri poveri disgraziati – penso alle vittime del terrorismo, a tutte le vittime senza distinzione di schieramento – che hanno perso la vita per fare il bene comune o perché troppo giovani e troppo ingenui per non farsi ingannare dagli squali della politica. La sua scorta non poteva sopravvivergli, lasciando tracce che potevano portare sino ai mandanti, quelli veri.
Solo per questo penso sia importante continuare a scavare sulla morte di Aldo Moro. Per quanto mi riguarda, non ho alcun interesse personale, se non il ricordo dello sguardo di Aldo Moro che incrociò casualmente il mio, ad agosto 1968, durante una sua visita a San Giovanni Rotondo. Era un uomo profondamente buono e pulito, lo pensai allora, quando non avevo alcuna simpatia per la DC, ne sono ancora più convinto oggi, grazie alle lezioni che la vita mi ha dato. Dio abbracci Aldo Moro e aiuti l’Italia.

Perché non hanno ucciso subito Aldo Moro?                                               
Per rispondere occorre partire da un dato di fatto tanto banale quanto vero: non lo hanno ucciso subito.  A meno che non si voglia affermare che i brigatisti, trovandoselo vivo nonostante la tempesta di fuoco, hanno deciso di risparmiarlo e portarselo vivo. Questa assurdità smonta qualsiasi obiezione, a prescindere che Aldo Moro fosse o non in via Fani. Era quindi interesse strategico dei mandanti che Aldo Moro fosse rapito vivo. In altri termini, il potere di vita o di morte su Aldo Moro era nelle mani di chi aveva ordinato il rapimento (o il “prelevamento”, come disse Aldo Moro). Costoro hanno deciso di inscenare la commedia della trattativa; tale era infatti in forza degli eventi sotto i nostri occhi, cioé la strage della scorta. Da quel momento in avanti la sorte di Aldo Moro era segnata. 
Può apparire banale? Non lo è affatto. Aldo Moro è, come scrive nella lettera a Cossiga: «Sotto un dominio pieno e incontrollato». Potevano quindi ucciderlo subito, semmai fosse rimasto vivo per errore (ma non è così, come abbiamo già scritto nei precedenti articoli), potevano sparargli un colpo in testa in via Fani, oppure ucciderlo immediatamente dopo essersi allontanati, se si fossero sentiti incalzati dallo stranissimo accorrere del capo della Digos, giunto in via Fani mentre i rapitori si allontanavano. Un tempismo tanto singolare quanto sospetto, anche per quanto accade immediatamente dopo l’arrivo del capo della Digos, come certifica la relazione del magistrato Gianfranco Donadio, il 4 marzo 2017, alla Commissione parlamentare d’inchiesta.
Possiamo scervellarci sulle ragioni di questa apparente incongruenza – perché non lo hanno ucciso subito? – ma fin quando non agguanteremo uno di coloro che erano alla testa dell’organizzazione – evento oramai alquanto improbabile – non lo sapremo mai con certezza. Aggrappiamoci dunque ai documenti e alle logiche deduzioni da essi scaturenti.
È lo stesso Aldo Moro, ancora una volta, a guidarci.
La prima lettera a Benigno Zaccagnini (pag. 15 op. cit.) è introdotta dal curatore del libro, E. Tassini, con queste importanti osservazioni: «Scritta il 31 marzo. Recapitata il 4 aprile a Nicola Rana e, in fotocopia, alle redazioni di La Repubblica, L’Avvenire e Il Settimanale. Pubblicata dai giornali il 5 aprile. In via Monte Nevoso è stata trovata la minuta (con frasi più forti e definitive. In particolare Moro scrive di essere “già condannato”) una prima stesura.»
Non è dato sapere se questo testo sia stato rinvenuto in via Monte Nevoso 8, a Milano, il 1°ottobre 1978, per mano del Reparto speciale antiterrorismo dei Carabinieri, diretto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Poco dopo il generale Dalla Chiesa fu trasferito al comando della Divisione Pastrengo e il suo reparto antiterrorismo fu disperso. Oppure il testo, chiosato da Tassini, fu rinvenuto nel 1990, durante una ristrutturazione. Neppure posso escludere che il testo fosse rinvenuto in entrambe le occasioni.
Sarebbe oltremodo grave se il testo, rinvenuto nel 1978, non fosse stato valorizzato a dovere. È altrettanto grave che non sia stato valorizzato dopo il 1990. D’altronde non possiamo sapere se tale testo originario qualcuno lo abbia reimmesso in copia in via Monte Nevoso proprio affinché non scomparisse dagli atti. Non di meno, com’è evidente, esso è stato insabbiato sinora. Perché?
Aldo Moro, persona di intelligenza superlativa, dimostra con pochissime parole d’avere ben compreso che la sua sorte è segnata. Egli afferma di essere «già condannato». I suoi carcerieri lo censurano, ovvio, altrimenti la commedia della trattativa si sbriciola.
Riflettiamo. Uno degli obiettivi della “trattativa” è certamente quello di individuare gli amici fidati di Aldo Moro e metterli sulla lista nera, dalla quale espungerli a tempo e modo opportuni, per smontare un sistema di potere e sostituirlo con un altro. Aldo Moro è ben consapevole che è in atto la manovra per la sua successione politica. La lettera di Aldo Moro è scritta il 31 marzo, è pubblicata il 5 aprile. Occhio alle date. Il giorno successivo Giorgio Napolitano parte per gli Usa, ottenendo un visto negato da Henry Kissinger e dal Dipartimento di Stato tre anni prima. Il mediatore con gli Usa per questo visto è Giulio Andreotti. Non era un viaggio improvvisato. Leggete con attenzione: «Il “primo viaggio” di un dirigente del Pci negli Stati Uniti era stato predisposto già da alcuni mesi – in risposta all’invito dell’Università di Princeton e di altre prestigiose Università e centri di ricerca – sulla base di un programma di conferenze e seminari, e quindi di una precisa caratterizzazione politico-culturale.» Scrive Giorgio Napolitano, su 30Giorni, diretto da Giulio Andreotti. Era maggio del 2006, mentre la commissione Mitrokhin indagava sul terrorismo, nonostante lo scarso entusiasmo di Silvio Berlusconi. La figura di Napolitano e i suoi rapporti “trilaterali” con Mosca, Washington e di “fratellanza” con Silvio Berlusconi sono ampiamente noti, grazie a Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara “I Segreti di Napolitano”, Micromega online, 4 dic. 2013
Aldo Moro non sa del viaggio di Napolitano negli Usa. Ha tuttavia perfettamente chiare le conseguenze che si delineano con la sua prossima morte. Scrive nella stessa lettera (pag.16, op.cit.):
«Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D.C. che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l’avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco.»
La caccia agli amici di Aldo Moro è intanto già cominciata. Il libro calunnioso di Camilla Cederna, “Giovanni Leone La Carriera di un Presidente”, è finito di stampare dalla editrice Feltrinelli il 16 marzo 1978, giorno della strage. Trent’anni dopo Giorgio Napolitano chiederà scusa per quelle calunnie. Dimenticherà di ricordare che quelle calunnie consentirono di espugnare e controllare il Quirinale sino ai giorni correnti. Dimenticherà di ricordare che il Partito Comunista Italiano fu il più accanito calunniatore di Giovanni Leone e di Aldo Moro, insieme al Partito Radicale.
Difficile negare, guardandoci intorno, quanto Aldo Moro abbia visto giusto sulla sua sorte e sulle conseguenze: egli doveva morire, i suoi amici dovevano essere uccisi o dispersi, la Democrazia Cristiana doveva sparire, l’Italia doveva sottomettersi. Gli ex comunisti e gli accattocomunisti sono tutti accattoglobalisti. Il resto è noto.

[1] GRU (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie – Direttorato dell’intelligence generale) è tuttora il servizio segreto militare russo, la cui missione è rimuovere gli impedimenti che ostacolano i piani militari strategici. Opera al di fuori dei confini della Russia (allora dell’URSS) e ha totale indipendenza dal KGB. Fu creato da Lenin e ha ramificazioni e residenture in tutto il mondo. Quella che a quel tempo “curava” l’Italia, era in Svizzera nella villa d’un noto magnate italiano, padrone di pezzi importanti della stampa. Per intenderci, Pietro Secchia e Sergei Antonov, il capo scalo della Balkan Air, mentore di Ali Agca, rispondevano al GRU.

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
Questa voce è stata pubblicata in polis e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

79 risposte a IL PRESIDENTE ALDO MORO NON ERA IN VIA FANI

  1. Maria Matteini scrive:

    ho trovato veramente originale ed interessante la sua analitica ricostruzione di quanto accaduto in via Fani. Ma le chiedo quali sarebbero, secondo una sua analisi, i rapporti fra le BR ‘ufficiali’ ed i mandanti/esecutori del sequestro Moro?

    • Piero Laporta scrive:

      La ringrazio ma questo per me è un obiettivo di secondo tempo. Il mio obiettivo è dimostrare che BR, istituzioni (magistrati, Viminalòe e CC) e stampa hanno raccontato balle passibili di azione giudiziaria. Se la Procura non intraprende l’azione giudiziaria ne sarà travolta a sua volta. Il resto viene dopo, sebbene nel testo del libro se ne farà cenno.

  2. nobugie scrive:

    A integrazione del mio intervento, un po’ confuso, su una carta più dettagliata ho scoperto che a fianco di via dei narcisi, a ovest, a Roma c’è davvero una via delle giunchiglie, che termina a sud in piazza delle giunchiglie (sobborgo Tor de’ Schiavi); un nome in codice trasmesso da Aldo Moro? Riguardo al mio riferimento a Fregene, ho sempre letto che il luogo di probabile prigionia fosse sul Tirreno comprovato dall’analisi della sabbia nel risvolto dei pantaloni di Moro e della carnagione lievemente abbronzata dello stesso, anche se, aggiungo, è possibile che ogni tanto lo spostassero in altri luoghi.
    Personalmente indagherei in quel tratto dove la borghesia di Roma e i suoi figlioli/nipoti collusi hanno investito (da Fregene fino a Capalbio, perché non l’isola di Giannutri?, etc.)

  3. nobugie scrive:

    Le giunchiglie che fiori saranno mai? Chi può regalare delle giunchiglie?
    le giunchiglie non sono altro che i Narcisi, ebbene a Roma oltre a una via Gradoli che nessuno trovava c’è una via dei Narcisi a est con un ufficio postale all’angolo un cinema e due farmacie nei pressi, possibile anche all’epoca fosse un po’ diverso, ma il cinema non è male come luogo di …
    Infine il lago della Duchessa, mi sono chiesto spesso perché scegliessero proprio quello, ho sempre pensato che fosse un nome in codice, forse volevano far sapere qualcosa a una certa duchessa che aveva un marito che Le Carrè avrebbe amato.
    Infine via Montalcini… sono sempre stato dell’idea che Moro non ci abbia messo piede neppure per sbaglio.
    Però erano un po’ tonti bastava controllare i consumi dell’elettricità (a Marzo, poi!) e le bollette nel tratto a nord di Fregene, quante famiglie ci saranno state?

  4. Michele scrive:

    Buongiorno dott. Laporta,
    Avendo iniziato a visionare il docufilm di Tommaso Minniti “Non è un caso Moro”, mi chiedevo se ne era a conoscenza e quindi se l’ha visto…e ovviamente qual’è suo giudizio.
    Un cordiale saluto

  5. massimo trevia scrive:

    Io non so dire che questo,e penso di poterlo fare perche’ queste vicende le ho(come voi)vissute nel dramma:il giorno che fu ritrovato il cadavere di Moro,quando vidi quella scena del telegiornale con il cadavere nel bagagliaio, in quel preciso istante(avevo 12 anni)che la vidi fini’ la mia infanzia. Si parla sempre troppo degli anni vicini(secondo me)al 1978,mentre tutto inizia a fine anni ’60: io ,che allora avevo3-4 anni percepivo il passaggio da una atmosfera(pur con delle pecche come la speculazione edilizia ecc.)gioiosa ad una sempre piu’ plumbea:e l’infanzia si comincio’ a rovinare; odiavo i terroristi di ogni colore mi dicevo:”perche’ “?E poi ,ogni tanto, una strage con origini talvolta oscura e a volte(Il Vajont)no.Insomma:non so in quale altra nazione si possa percepire un potere malefico e onnipresente come da noi:un potere che provoca tragedie collettive “di popolo”!L’Italia sembra forse un paese “bonario”:io amo la Germania,che ha una lingua incredibilmente poderosa e dura ma credo che il potere, da sempre, nonostante il nostro idioma sia gentile(non debole pero’),in Italia sia ben piu’ duro ed impietoso che in Germania(per fare un esempio)!Ovviamente queste cose esulano dai vostri discorsi,ma io,ripeto ,come voi ho vissuto i tempi del maledetto terrorismo anche se non mi intendo di complotti; Ma in compenso in un secondo identifico (dall’espressione e anche lo sento nell’aria)un vero comunista e anche ovviamente un fanatico della parte opposta.

  6. pierino bibbo scrive:

    La discussione e veramente interessante,questa cosa la sto seguendo con interesse perchè è di una logica disarmante e sul piano della balistica non fa una piega,chi in vita sua frequenta poligoni di tiro condivide l’analisi.Aspetto l’uscita del libro e lo comprero di certo,rimane solo un dubbio,i terroristi hanno ammesso ,quindi erano d’accordo con il commando e a questo punto credo che il Grandissimo Generale Dalla Chiesa avendo le tto gli scritti rinvenuti nell’appartamento romano avesse ben capito tutto,sopratutto chi aveva massacrato i sui carabinieri,quindi anche il sui assassinio a Palermo forse ha poco a che vedere con la mafia,tranne che per gli esecutori

  7. Andi Sceppard scrive:

    Chiedo scusa se rispondo qui, come fosse una nuova discussione, ma altrimenti ci tocca leggere in un francobollo (gioie dell’indentazione!).
    Boh, no, capisco i dubbi, li apprezzo, ma continuano a non convincermi.
    1. L’assioma è la moglie di Moro dice? Bene, la moglie di Moro dice che c’è una borsa da cui Moro non si separa mai. Quella borsa sta su quella macchina.
    2. Leonardi bravo, esperto, sospettoso fuori dalla grazia di dio, che scende ai tamponamenti (assioma). Io non ho mai avuto e mai avrò una scorta. Ma credo che uno bravo sia uno assolutamente scrupoloso, sospettoso, maniacale. Sempre. E invece lui è lì con una pistola (nemmeno la sua) in una busta di plastica. Sotto il sedile. Gli altri (Jozzino almeno) le armi le hanno. E non c’è un generale che può venire a dirmi di non essere sospettoso. Altrimenti così bravo non sono. Mi spiace.
    3. Ripeto la domanda, sarò distratto, ma non ho visto risposta. Però se me la date magari ci capiamo. Moro andava molto spesso a pregare in una chiesa lì vicino, giusto? La sua scorta cosa faceva, nel caso? Io ho sentito dire che aspettava fuori. Chiacchierando e leggendo il giornale. Al netto di uno dentro. Ovviamente senza armi in pugno. Se qualcuno avesse voluto uccidere il presidente (e tu, che sei scorta mica sai cosa vorrebbero fare i tuoi avversari) cosa commentavamo? Che non era possibile? Che era troppo facile? Se devo giudicare (e ripeto – è importante farlo – massimo rispetto per quei poveri ragazzi massacrati) il comportamento della scorta è stato peggio in via Fani o era peggio lì?
    4. Vedete, leggendo in particolare Marco Riace, che ringrazio, e purtroppo non ancora una risposta articolata dal nostro Ospite, mi è a un certo punto venuto in mente che la scorta potesse essere a fine servizio. Cioè, abbiamo ‘consegnato’ il Presidente. Stiamo tornando in caserma. Quindi armi via, tranquilli, accendiamo la radio, che ne so, non sgommo mica se uno mi viene davanti. Moro è già a destinazione! Ecco, potrebbe sembrare quasi sensato. Peccato che: a. ma allora perché vanno in via Fani da quella direzione lì? b. Perché ci vanno in corteo? Cioè, stai andando a casa magari ci distanziamo anche. c. Ripeto che non conosco le scorte. Ma se uno è bravo è attentissimo pure se sta tornando a casa. Non si sa mai cosa può succedere. No, non ci sta proprio. Il colpo a Leonardi? Non so niente di balistica. Niente di colpi e altro. Però a me pare che il corpo di Leonardi sia girato verso dove sta seduto Moro. Quale colpo l’ha ucciso? Non lo so, sinceramente. Ma le foto mi parlano di Leonardi girato verso dove sarebbe Moro.
    5. Cosa voglio dire? Boh, due cose, di fondo. La prima (e perdonate la parentesi, ma è necessaria). Poco tempo fa due carabinieri esperti e pure ben messi, in un quartiere bene di Roma si fanno sopraffare da due ragazzini. Certo meno ben messi, sicuramente alterati – ma armati di un solo coltello. Finisce che uno dei due carabinieri viene accoltellato da dietro. E le armi non le aveva. Ah! Come mai? Secondo me – esattamente come nel caso di via Fani – è sottovalutazione del pericolo. Sottovalutazione che – anche nel caso di via Fani – a me sembra del tutto comprensibile! Le br romane erano dieci scemi che nemmeno sapevano sparare! Basta che ci vedano, e stanno lontani!
    6. che io sono convintissimo che sul caso Moro ci siano dei complotti, e pure pesanti. Ma che la cosa di cui discutere, se ne vogliamo parlare, non sia la dinamica dell’agguato. Ma il falso comunicato numero sette. Autore Cossiga. Sbaglio? Che cosa significava? Ok, sì, mio Ospite, non divago, non risponda!

    • Piero Laporta scrive:

      “Che io sono convintissimo che sul caso Moro ci siano dei complotti, e pure pesanti. Ma che la cosa di cui discutere, se ne vogliamo parlare, non sia la dinamica dell’agguato”
      la dinamica dell’agguato svela tutto; per questo è falsificata

      • Andi Sceppard scrive:

        Ultimo tentativo, poi, davvero smetto.

        1. La scorta di Moro non ha auto blindate. Non quel giorno in via Fani. Mai.
        2. La scorta di Moro non ha giubbotti antiproiettile. Non quel giorno. Mai
        3. La scorta di Moro ha in dotazione un mitra. Uno e uno solo. Non quel giorno. Sempre.
        4. La scorta di Moro non va in giro con la sirena, dicendo a tutti fatevi da parte (e magari, come è capitato, mettendo sotto qualcuno). In Sicilia, per dire, quello succede. In quei giorni lì. Per chiunque abbia diritto a una scorta.
        5. La scorta di Moro lascia tranquillamente Moro in chiesa con un solo agente, non certo con le armi in mano. Solo quel giorno? O sempre?

        Sì, ma, perdonate, lo fa solo la scorta di Moro, in quei giorni, o lo fanno anche tante altre scorte, di tanti altri in quei giorni lì? Cosa fa la scorta di Andreotti? Voi che sapete così tanto: la scorta di Andreotti aveva i giubbotti antiproiettile? Auto blindate? Mitra? Quella di Fanfani? Cosa fanno? Diverso? O c’erano complotti pure lì?

        Visto che – Ospite docet – la dinamica dell’agguato spiega tutto, me la spiega? Sul serio? Perdoni ma nella vita ho studiato logica e non balistica.

        Magari con non dico una prova, ma un indizio?

        • Piero Laporta scrive:

          La prego di avere pazienza. Sto scrivendo un libro. Dopo tutto è una vicenda che dura da mezzo secolo. Devo sfronfarla di tutto il supefluo affinché la verità si possa almeno intravvedere. Mi creda, le sono davvero grato per le sue osservazioni, talune non trascurabili. Per ora tuttavia devo prendere senza dare. Grazie, davvero.

        • Piero Laporta scrive:

          1. La scorta di Moro non ha auto blindate. Non quel giorno in via Fani. Mai.
          2. La scorta di Moro non ha giubbotti antiproiettile. Non quel giorno. Mai
          3. La scorta di Moro ha in dotazione un mitra. Uno e uno solo. Non quel giorno. Sempre.
          4. La scorta di Moro non va in giro con la sirena, dicendo a tutti fatevi da parte (e magari, come è capitato, mettendo sotto qualcuno). In Sicilia, per dire, quello succede. In quei giorni lì. Per chiunque abbia diritto a una scorta.
          5. La scorta di Moro lascia tranquillamente Moro in chiesa con un solo agente, non certo con le armi in mano. Solo quel giorno? O sempre?
          E’ così

    • Marco Riace scrive:

      Caro Sceppard, cerchiamo però di rimettere le cose al loro posto e di non perderci nei particolari:
      1. La chiave di lettura proposta dal Gen. Laporta rimane valida ed incontestabile: nessun gruppo terrorista che avesse avuto intenzione di rapire Moro, di prenderlo vivo, avrebbe mai rischiato di ucciderlo durante quella grandinata di proiettili scaricata sulla scorta (92 bossoli rinvenuti, 92 dico! C’è gente morta per proiettili vaganti mentre si trovava a metri e metri dal luogo degli spari…Moro invece, nel bel mezzo, indenne!);
      2.partendo da questa chiave di lettura, incontestabile e, mi pare, incontestata, io mi sono limitato ad evidenziare che essa lancia uno squarcio di luce sui fatti di via Fani ed, in particolare, sulla quasi totale “passività” della scorta che io spiego, attenzione, asserendo che Leonardi e gli altri quattro componenti, sapevano della 128 e dei quattro avieri appostati e pensavano che erano dalla loro parte.
      Ammettendo questi presupposti, tutte le altre apparenti incongruenze, che ho cercato di precisare soprattutto riguardo alla figura di Leonardi, trovano una spiegazione più che soddisfacente, punto e fine. Certo rimangono presunzioni, ma direi presunzioni gravi, precise e concordanti!

      • Piero Laporta scrive:

        sulla quasi totale “passività” della scorta che io spiego, attenzione, asserendo che Leonardi e gli altri quattro componenti, sapevano della 128 e dei quattro avieri appostati e pensavano che erano dalla loro parte.

      • Andi Sceppard scrive:

        Caro Marco, nel ringraziarla per le risposte, davvero interessanti, e nel prometterle che, almeno per un po’ eviterò di rompere le scatole, mi permetto di contestare un’ultima volta le sue affermazioni.
        1. rischio di uccidere Moro. Beh, come dire, io capisco il dubbio, capisco il rischio. In ogni caso ci fosse o non ci fosse Moro su quel sedile la cosa non si è per nulla avverata. Nessun colpo arrivato non dico sul sedile, ma nemmeno sul lunotto posteriore. Nemmeno sul finestrino triangolare dalla parte opposta! Come può essere successo? Boh, continuo a ripeterlo, io non so niente di balistica, di armi, di altro. Però, se è vera la versione ufficiale non faccio fatica a capirlo (Moro si trova come al centro di un ciclone, ma il rischio di colpirlo è sinceramente – almeno secondo me – basso). Se comincia ad esserci altra gente che spara la vedo molto più dura…
        Ancora, lei scrive che sembra molto strano che un gruppo terroristico che voglia prendere Moro vivo faccia un attentato del genere… Beh, non credo di doverle ricordare il rapimento di Schleyer in Germania, pochi mesi prima. E’ riuscito. Senza vittime involontarie!
        2. passività della scorta. Perdoni, ma mentre scrivo ci sono dei ragazzini che giocano giù in cortile, e fanno rumore. Ho deciso che scendo e li sgrido. Ci vado senza alcun tipo di arma (del resto non ne ho non ne avrò mai) senza alcun tipo di precauzione. Devo solo scendere e sgridarli. Magari scendo e a qualcuno di loro do le spalle. Son ragazzini, io sono un adulto…

        Ringraziandola di nuovo. Alla prossima.

        AS

        • Piero Laporta scrive:

          Tanta vostra cortese attenzione, sua e di Marco Riace, merita un’anticipazione di quanto sto scrivendo
          ====
          L’assassinio di Aldo Moro fu minuziosamente preparato da una squadra di grandi professionisti del terrorismo, della disinformazione, della politica. Si arriva a scovare tale accuratezza dalle falsità che avvolgono la vicenda. Falsità create ad arte, minuziosamente nel corso di almeno sei anni, senza lasciare nulla al caso, utilizzando altissime autorità dello Stato per asseverarle.. Per ora bastino solo due esempi.
          Due gabole caratterizzarono le cronache immediatamente successive alla strage di via Fani. Con la prima si disse che la FIAT 130 di Aldo Moro aveva tamponato la FIAT 128, guidata da Mario Morucci. Vi torneremo.
          La seconda gabola fu l’analogia fra il rapimento di Hanns-Martin Schleyer (5 Settembre 1977) e quello di Aldo Moro (16 Febbraio 1978). L’unica vera analogia fu la morte di entrambi, ritrovati nel bagagliaio di un’auto.
          Erano due gabole preparate ad arte per inquinare la verità su Aldo Moro.
          Studiosi in buona fede (privi tuttavia della più elementare preparazione militare) accreditarono quanto suggerito maliziosamente alla stampa nelle prime ore del 16 Marzo: Hanns-Martin Schleyer Martin e Aldo Moro furono rapiti perché entrambi non avevano auto blindate.
          L’opinione pubblica, maliziosamente suggestionata, fu così intossicata da cinque disinformazioni: 1) i terroristi tedeschi hanno potuto rapire e uccidere Hanns-Martin Schleyer, è ovvio che altrettanto abbiano potuto fare le BR; 2) i terroristi tedeschi hanno operato da soli, è ovvio che altrettanto abbiano fatto le BR; 3) Schleyer era vulnerabile perché non aveva l’auto blindata; Moro non aveva l’auto blindata quindi fu altrettanto vulnerabile; 4) pertanto è credibile il Morucci Valerio secondo il quale si scelse Aldo Moro come vittima e non l’Andreotti Giulio, perché solo quest’ultimo aveva un’auto blindata; 5) “Le Br sono solo una storia italiana”.
          L’auto blindata, quando l’hai bloccata, come accadde a Schleyer e Aldo Moro, basta una molotov sotto il serbatoio per convincere gli occupanti a scendere alquanto in fretta, mentre non possono neppure sparare perché i finestrini non si abbassano.
          Il rapimento di Schleyer fu estremamente più semplice perché egli viaggiava seduto accanto all’autista, il quale fu solo un autista: non aveva compiti né capacità di protezione.
          I due uomini di scorta viaggiavano su un’auto che seguiva. Macellare le due guardie del corpo e l’autista fu quindi di gran lunga più semplice e del tutto differente da quanto avvenne a via Fani, dove il maresciallo dei Carabinieri paracadutisti e l’appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci, entrambi esperti militari e ottimi tiratori, viaggiavano sulla stessa auto di Aldo Moro e questi era seduto dietro l’autista. I terroristi tedeschi hanno operato da soli. Le BR erano burattini neppure comprimari, tanto a via Fani quanto nei 55 giorni successivi.

          • Marco Riace scrive:

            Grazie per l’anticipazione ed auguri per il suo libro.
            Saluti
            MR
            P.S. So che è solo una bozza in attesa di correzione, ma ad ogni buon conto Le ricordo che alla guida della 128 bianca c’era Mario Moretti.

        • Marco Riace scrive:

          La ringrazio anch’io per il civile scambio di opinioni, tuttavia non posso non controbattere alle sue ultime contestazioni:
          1. se vogliamo discutere dell’esistenza della possibilità che uno che si trovi nel bel mezzo di una gragnuola di proiettili ne possa uscire indenne, non ho nessuna difficoltà ad ammettere che questa possibilità esiste; ma, ed è questo il punto, occorre valutare anche la probabilità associata a questo evento, non le pare? lei mi insegna che:
          – possibile non è sinonimo di probabile e men che meno di altamente probabile;
          -il fatto che un evento stimato come altamente improbabile si sia verificato due volte su due, a distanza di poco tempo, non significa affatto che la sua probabilità sia improvvisamente aumentata fino ad essere prossima al 100%; se i brigatisti avessero fatto questo ragionamento: “ci sono riusciti quelli della RAF, ci riusciremo anche noi”, rimarrebbero comunque degli idioti;
          2. rispetto la sua opinione e non nego che abbia un fondamento, ma io sono, sulla base delle argomentazioni già più volte illustrate e ribadite, di diverso avviso.
          Alla prossima.
          MR

  8. Rileggo oggi tutto il dibattito che è seguito al rapimento e delitto Moro. L’Italia abbonda di intellettuali impegnati su diversi fronti. Purtroppo non tutti sembrano impegnati a cercare la verità ed il bene della terra che ha dato loro i natali. Vediamo brevemente i fatti. Gli autori del delitto e della lunga finta trattativa sono liberi per aver già scontata la pena. E’ un mistero come siano potuti scampare all’ergastolo. Leggendo con attenzione ciò che Moro ha scritto dal “carcere” non troviamo alcun accenno alla morte dei ragazzi della scorta. Mentre impartisce istruzioni minuziose su tutto il resto, Moro della scorta dice solo che è stata “inadeguata”. Come ho già detto i carcerieri non avevano alcun interesse a raccontargli la morte di tutti gli uomini della scorta. Ma se Moro non era in via Fani chi ha diretto tutta l’operazione? I nostri servizi agli ordini della CIA? Cossiga ministro degli interni si chiese: “Chi comanda in Italia?” dopo che era costretto a tenersi uno strano figuro nei suoi uffici. Ma gli italiani sembra non se ne diano pensiero. Adesso non vanno più nemmeno a votare. In realtà sono pronti per accogliere una dittatura.

  9. Marco Riace scrive:

    Complimenti davvero al Gen. Laporta: finalmente una ricostruzione plausibile, che, tra le altre cose, ha l’incalcolabile pregio di rendere giustizia e onore agli uomini della scorta. Eh si, perché in questa nauseabonda farsa che continuano a riproporre ostinatamente a distanza di 43 anni, gli uomini della scorta (Leonardi, Ricci, Rivera, Zizzi e Jozzino), vengono continuamente ri-massacrati con quel, neanche troppo velato, sommario giudizio di inadeguatezza ed incapacità.
    Vediamo: se la ricostruzione di Laporta è fantasiosa (come afferma il, peraltro ottimo, debunker) le cose sono andate più o meno così: un maresciallo dei carabinieri di riconosciuta ed indiscutibile professionalità, istruttore dei paracadutisti, al servizio di Moro da decenni, è stato colpito immediatamente al cuore ed è sprofondato, in modo molto anomalo, sul pianale, dinanzi al sedile; un appuntato esperto autista è rimasto dietro alla 128 con targa CD dandole il tempo di inchiodare e di bloccare il corteo presidenziale; l’autista dell’alfetta è stato dilaniato dai proiettili in pochi secondi, Zizzi freddato mentre cercava di uscire e Jozzino crivellato da tutte le parti appena uscito dallo sportello posteriore. Il tutto in tre minuti e ad opera di chi? Di 4 figuri vestiti da avieri le cui armi si sono quasi subito inceppate dopo i primi spari ( o che non hanno sparato affatto, come sostiene sia avvenuto,quel buontempone di Fiore, per il suo mitra…). La figlia di Moro ha testimoniato che, in occasione di un tamponamento avvenuto qualche mese prima, il maresciallo Leonardi era fulmineamente balzato fuori dall’auto con la pistola in pugno…la mattina del 16 marzo invece…è morto sul colpo, sprofondando davanti al sedile, senza armi in pugno; è stata trovata una pistola a tamburo da qualche parte nell’auto, per di più rinchiusa in una custodia di plastica. Non c’è che dire il maresciallo quella mattina era stranamente molto tranquillo! Come ha fatto notare un altro lettore, quel foro nel parabrezza della 130, in alto ed in centro chi l’ha sparato? Il Morucci scendendo dall’alto? (prima dell’inceppamento, s’intende…); o il Gallinari con qualche acrobazia balistica?
    La ricostruzione di Laporta invece non fa una piega: gli uomini della scorta erano tranquilli perché pensavano che quelli della 128 ed i 4 avieri fossero loro colleghi; diversamente non si sarebbero fatti massacrare in quel modo.

    • Andi Sceppard scrive:

      Chiedo scusa, perché insisto. Primo, senza se, senza ma, onore a quei ragazzi della scorta. Secondo, vi sia chiaro, non ditemi robe di balistica, la pallottola veloce, quelle robe lì. Non le so. Armi non ne ho non ne avrò mai. Poi, se volete, se ci riesco, vi do una mia piccola idea su quel colpo dal davanti (se c’è, giuro non lo so). Marco Riace dice una cosa che va assolutamente rispettata. Onore a quei ragazzi. Senza ombra di dubbio. E fare onore è dire sono caduti in una trappola. BOH. Ma un boh che è molto più no che sì. Sul serio, da totale incompetente di strategie militari (a meno che non si tratti di avere qualcosa in più alla mensa, su quello sono stato bravissimo) chiedo, a voi che ne sapete invece così tanto, se c’è mai stato un agguato di questo tipo, in quegli anni, che non ha avuto successo. Nessuno rende onore a quelle altre scorte?
      Io (ero piccolino) me ne ricordo tanti. Sempre riusciti. Macchina davanti, macchina dietro, sparo. Mi dite una volta che non ha funzionato? Non mi fate cercare su google, lo sapete benissimo. Via Fani è molto simile a una cosa di qualche tempo prima della Baader Mehinof. Anche lì non è vero? Anche lì scorta inadeguata? Anche lì manchiamo di rispetto? Anche lì il rapito era stato prelevato prima?

      No, sul serio, no.

      Vogliamo affrontare un altro tema? Le bierre si fanno aiutare dalla ndrangheta? No! Dopo magari sì (e su questo sarebbe da parlare). Ma in quel momento no. Proprio no. Le bierre pensano di essere i partigiani. Pensano di essere in guerra. Pensano di essere PURI E DURI. No, non chiedono aiuto (poi (e di questo sarebbe da parlare) si accorgono che di aiuto hanno bisogno, eccome).

      Ora, perdonate, ma io non ricordo un agguato delle BR andato male. Non ricordo una vittima accidentale (il tipo che passava per caso). Della mafia sì, della ‘ndrangheta sì, della camorra sì. Quindi, spiegatemi: io che sono a zero vittime accidentali, siccome ho paura che ce ne siano, lo chiedo a te che invece hai uno score un filo peggiore? Me lo spiegate?

      Entriamo nei particolari. Jozzino riesce ad uscire. Ok? Ha due secondi di vita (madonna mia). Però è anche addestrato. Boh, chi lo sa cosa gli passa per la testa. Ma è addestrato. Ma se c’è uno a destra che spara…

      Lui esce a destra. 1. è vicino, lo becco. 2. se non lo becco mi fa fuori subito 3. il mio lavoro è difendere Moro che rispetto a me è avanti. E invece no. Invece vado dall’altra parte… Va dall’altra parte. Perché? Nel modo più semplice del mondo. Esco. C’è uno a un metro da me, vicino a me. Ma io no, cerco di fare il giro?
      Ora, ripeto, mica ne capisco tanto. Però perché lo fa? Non sta dietro la macchina? (no, non lo fa perché se sta dietro alla macchina di scorta non ha angolo di tiro, non vede niente, sono troppo in là, a sinistra!). Cerca di prenderli da dietro. Loro sono, orizzontalmente, all’altezza di Moro. Da dietro la macchina di scorta, cosa becco? Se fossero a destra, non mi giro come prima cosa di lì? Guardate come è il corpo di quel povero ragazzo. Gli sparano da sinistra. Mentre cerca di aggirare, perché stanno di là. Poi, finita l’azione (al netto di quel testimone che dice che fanno portare le borse a Moro (demenziale, ma sai, lo dice UN SOLO TESTIMONE! CI CREDIAMO!)) arrivano quelli che sistemano. E fanno quelle robe un po’ da film. Ti sparo perché ancora non sei morto. E anche perché l’adrenalina è a mille.
      Cerco le borse, e da scemo non le trovo. Meno due inutili. Cerco le armi. Trovo niente, mica ce le avevano. La scorta di Moro aveva in totale un mitra. Vero o falso? Nel bagagliaio! Vero o falso? Da quale complotto dipende tutto ciò? Non è che ce l’aveva solo quel giorno. Ce l’aveva sempre! Un solo mitra nel bagagliaio.
      Quindi – secondo l’Ospite (che ringrazio e con cui mi scuso) – Moro non viaggiava mai su quell’auto?

      • Piero Laporta scrive:

        Mi scusi, devo chiederle di scrivere – se vuole una risposta – in maniera più ordinata. Grazie.

        • Andi Sceppard scrive:

          Accetto l’invito (ma – mi spiace – a quel punto dovrà (se lo vorrà, è ovvio) rispettare la sua parte dell’accordo) e scrivo ordinatissimo, ok?

          1. Mi cita – per favore – un solo, ripeto un solo attentato di quegli anni in cui la scorta ha avuto ragione? Cioè mi bloccano con la macchina, la scorta esce e fa fuori i terroristi? Mi cita un solo esempio? (Questa è per Marco Riace. Non è mancanza di rispetto. Era facilissimo! I br capivano niente di armi, di strategia militare, così passavano giorni a pianificare. Per rendere l’agguato prova di incapace). Quindi che la scorta di Moro non sia riuscita a difenderlo non è mancare di rispetto. E nemmeno immaginare ipotesi fantasiose basate su… fatemi pensare… quali evidenze?

          2. scorta inadeguata, scrive Moro. Poi anche una camicia da ritirare in lavanderia. Strano tipo, Moro, ma vabbé. Beh, che armi aveva in dotazione la scorta di Moro? Non quel giorno. Ogni suo giorno. Un mitra? Nel bagagliaio?

          3. In via Fani ci sono tutti. Tranne che Moro, per carità. ‘ndrangheta, mafia, camorra, servizi. Tutti che sparano. Senza che nemmeno un proiettile tocchi… andiamo con ordine: finestrino dove sta (o starebbe) Moro. Zero colpi. Finestrino triangolare da quella parte. Zero colpi. Lunotto (si chiama così?) posteriore. Zero colpi. Finestrino triangolare dall’altra parte, zero colpi. Finestrino lato passeggero destro colpito. Ok? Parliamo dei fatti? O di come (ho letto e imparato) basta che ci sia una deviazione di un millimetro e allora… Sì, però non succede. COME MAI? Davvero, come mai? Ma non bastava la deviazione di pochi centimetri per… ? Però non è successo. Come mai? E’ abbastanza ordinato? Mi risponde?

          4. Jozzino riesce ad uscire. E va dietro alla macchina di scorta. Ci fosse uno a destra che spara cercherebbe di accucciarsi e sparargli. Ma lui no. Va dall’altra parte. Perché? Come muore Jozzino? La sua pistola, la traccia di sangue, cosa dicono, chiaramente? E perché?

          5. In via Fani c’era la ndrangheta? La Magliana? La mafia? La camorra? I servizi? Boh, facciamo una domanda semplice: esiste un solo indizio (non dico una prova) un solo indizio di una trattativa Br con uno di questi? Un solo indizio? Sarebbe la differenza tra ipotesi fantasiose e qualcosa di cui ha senso discutere. Un solo indizio di una trattativa. Oppure – perdonatemi – basta che alzo il telefono e la ndrangheta arriva e spara per me?

          6. La lettera di Moro è lì. Nell’articolo. Moro, secondo me, aveva esigenze piuttosto particolari in fatto di medicine. Magari, in quei giorni, cercare nelle farmacia di Roma per vedere se quelle medicine erano state chieste poteva dare una spinta alle indagini. E’ stato fatto? E se no, perché?

          Perché invece uno legge quella lettera e pensa che siccome Moro non era in via Fani, ma un testimone (senza nome) dice che lui ha portato via le borse (e Moro, che non c’era, ovviamente lo sa) allora scrive per quello (perché è questa la tesi, no?) di recuperare le borse?

          • Piero Laporta scrive:

            le prometto una risposta esauriente; mi dia cortesemente tempo

          • Marco Riace scrive:

            Se permettete, comincio a rispondere io. Lei, caro “Sceppard”, è molto abile, ma non chiarisce alcuni punti cruciali che ho cercato di evidenziare e cioè:
            – perché Leonardi non aveva armi in pugno? (e voglio lasciar perdere i sospetti sul modo in cui è morto: i primi colpi sparati da Morucci, prima dell’inceppamento, direttamente al cuore… con foro di entrata dal lato destro del tronco…proprio fortunato questo Morucci… )
            – perché Ricci, l’autista della 130, non si è liberato subito della 128 con targa CD? Non poteva farlo perché era a ridosso dell’incrocio? Ma stiamo scherzando? Provi ad immettersi con una macchina del cavolo davanti ad una scorta in corsa e vediamo se le stanno dietro tranquilli fino alla frenata…oppure se la sorpassano sgommando!
            Infine, un esempio di un attentato di quegli anni in cui la scorta ha avuto ragione degli assalitori? L’attentato del Petit-Clamart a De Gaulle non Le dice niente? O quelli dell’OAS erano dei dilettanti rispetto ai quattro intrepidi avieri di via Fani?

            • Piero Laporta scrive:

              datemi tempo, datemi tempo; intanto continuate perché le vostre osservazioni sono preziose e ispiratrici.
              Grazie, davvero per TUTTI i commenti

            • Andi Sceppard scrive:

              No, sul serio, non sono abile. Non so niente, in effetti. I suoi dubbi sono molto sensati. (Poi le dico i miei e – ovviamente – dovrà ricambiarmi la cortesia!).
              Primo dubbio, perché Leonardi non aveva le armi in mano. Boh, nella famosa (e da tanti siti riportata) passeggiata ai Fori Imperiali (mi pare) soli lui e Moro, ce le aveva? Quando Moro andava in chiesa, la scorta dov’era? Armi in pugno?
              In altro messaggio lei dice che la figlia di Moro racconta di episodio in cui c’è un tamponamento e Leonardi esce subito arma in pugno. Dove trovo la cosa?
              La scorta, l’autista, perché non sgomma subito. Dubbio davvero interessante. Boh, sul serio, la mia impressione è che la scorta di Moro (come magari anche quella di qualche altro politico) si ritenesse al di sopra delle possibilità dei terroristi. Cosa che – le assicuro – ritenevano pure molti dei simpatizzanti dei terroristi ai tempi. Ecco, una roba così. Per dire le scorte di un magistrato in Sicilia mica le facevano certe cose. Ma lì no. Boh, non lo so, il suo dubbio è sensato, ecco.
              Così le dico i miei. Davvero semplici (poi ne ho altri, ma le dico quelli semplici).
              La prima cosa, mi dispiace per il nostro Ospite (da cui attendo risposte) è proprio nelle borse. Ci sono due borse. Le trova facilmente, se cerca foto via Fani. Una, lo dice la moglie, è l’equivalente della borsetta per una donna. Portafoglio, fazzoletto, occhiali, chiavi di casa, ok? Giustamente Moro non se ne separa mai. Non la fa portare al fidatissimo Leonardi. No, perché magari si arriva in Parlamento, Leonardi deve parcheggiare e lui ha bisogno di offrire un caffé, ok? La porta sempre con sé. Sale in macchina la mette in macchina, scende, è la prima cosa che prende. E dove sta?
              Seconda borsa: l’equivalente della cartella per uno studente. Oh, oggi devo parlare. Ho una bozza, o l’intero discorso (sinceramente non so come facesse Moro). Non la lascio in macchina, lo so che poi me la portano, ma se arrivano un pochino tardi? Quelle due borse sono nel posto più logico del mondo. Moro è seduto dietro all’autista. E le borse sono infilate sotto il sedile dall’altra parte. Allungo la mano le prendo. Forse è anche un gesto automatico. In ogni caso quelle due borse ci sono. Per favore, mi spiega che – a fronte di quelle due borse – Moro non è salito su quella macchina? Chi le ha messe lì? Non se ne separava mai. Ma poi – è la strana tesi di questo articolo – arriva L’Autorità Suprema (beh, dai, forse è successo anche con la strage di un treno, no? Ecco, in quel caso, quando fanno scendere Moro dal treno, quanti uomini della sua scorta muoiono?) e dice scendi dall’auto! E lui scende. E non prende le borse? Quelle due? Perché? Perché chi lo prelevava avrebbe avuto interesse a non fargliele prendere? Cosa gli costava? Allunghi la mano ce le hai. Invece no. Chi ci ospita suppone una Autorità talmente alta che dice esci subito. Nemmeno il tempo di allungare una mano… Mah… No, secondo me no. (e, ps: ho rivisto il giorno dello sciacallo, grazie a Lei)

              • Piero Laporta scrive:

                non ai Fori Imperiali (vicino al Colosseo) ma allo Stadio dei Marmi, dalle parti della Farnesiana. Questo è un punto chiave

              • Marco Riace scrive:

                E invece io dico che lei non solo è abile a cercare di smontare le mie tesi, ma è anche abbastanza intelligente da riconoscere la sensatezza di alcune mie osservazioni.
                La testimonianza di Agnese Moro è stata resa nell’udienza del 20/07/1982 (Processi Moro e Moro-bis) ed è riportata negli atti della Commissione Moro 1- Vol. 77, pag. 121 e segg.
                Però lei non può scrivere che i miei dubbi sono sensati e poi cavarsela con un “boh”… Leonardi, dalla testimonianza della moglie, in quel periodo era molto teso e preoccupato; era convinto, riferisce sempre la moglie, di essere seguito… è ragionevole quindi presumere che fosse molto attento e vigile durante il servizio. Anche Eleonora Moro riferisce (non mi costringa a fornirle gli estremi di queste testimonianze: le trova facilmente in rete…) che, in quel periodo, era molto duro ed esigente con gli altri uomini della scorta (testualmente: “…Leonardi era fuori della Grazia di Dio”...io penso di aver capito cosa intendesse..e lei?). Tutto questo per dire che:
                – salvo il caso che Morucci sia stato davvero così fortunato da colpire subito, fulmineamente e a morte Leonardi (senza neanche sfiorare Moro, prima che il mitra si inceppasse… e dimostrando così una perizia da tiratore scelto, diciamo pure da “Tex Willer”, che certo non possedeva), non è spiegabile che questi non sia riuscito a balzare subito fuori ed a rispondere al fuoco;
                rimane in ogni caso un mistero il fatto che un Leonardi così teso e preoccupato per possibili agguati non fosse armato; la pistola a tamburo trovata carica e sigillata in una custodia di plastica, era molto probabilmente sua, personale, ma la sua Beretta d’ordinanza?
                visto che era così allerta, è assolutamente da escludere, a mio parere, che quella improvvisa immissione della 128 bianca non l’abbia insospettito e non l’abbia quindi indotto ad intimare a Ricci di superarla subito.
                Per quanto riguarda i suoi dubbi sulle borse, mi pare che il Gen. Laporta le abbia già illustrato tutte le controdeduzioni possibili.
                P.S.
                il Giorno dello Sciacallo è il mio film preferito!

            • Andi Sceppard scrive:

              Secondo dubbio, mi dica quanto sensato. Supponiamo sia credibile la tesi dell’Autore dell’articolo. Moro esce di casa, deve andare con le due macchine di scorta, Lo fermano. Autorità importanti. Gli dicono, no, attenzione, cambio programma. Moro accetta, senza nemmeno avere il tempo di allungare una mano, Leonardi (espertissimo) accetta. Beh, oh, magari succede. Ma che cosa devono avergli detto?
              Io non ho grossi dubbi. Devono avergli detto che c’è un grosso pericolo.
              Che se Moro rimane su quell’auto lo ammazzano.
              Io non vedo alternative (se ci sono, per favore me le dica). Poi (la trappola) a Leonardi e agli altri dicono andate in via Fani, ci sono degli avieri, sono amici, robe così. Bene. Leonardi e gli altri quattro partono. Senza Moro. Lo sanno solo loro. Eventuali pericolosissimi terroristi no. Anzi. E’ lo scopo. Auto civetta.
              I terroristi sanno che quella macchina, quella su cui è Leonardi, è quella su cui Moro dovrebbe essere. E c’è un pericolo.

              Poi, per carità, in via Fani si fa chissà quale operazione. Ci si scambia, gli avieri, fidatevi.

              Ma prima? Ora, sinceramente, Lei, fosse stato in Leonardi, il mitra non lo avrebbe tirato fuori dal bagagliaio? Poi in via Fani non l’avrebbe usato, per l’iuganno, ma se l’aggredivano prima? La pistola non l’avrebbe tenuta in pugno? C’è un pericolo, enorme, per chi dovrebbe stare in macchina con me. Ma siccome io e solo io so che non c’è, allora sono rilassato? Ma dai!

              • Marco Riace scrive:

                Rimane il fatto che, se, come credo, la tesi di Laporta è vera, Leonardi e gli altri uomini della scorta tutto potevano aspettarsi salvo che gli “avieri” e quello (o quelli) della 128 bianca li fucilassero sul posto in pochi minuti. E’ proprio questa condizione psicologica che li ha fregati: arrivati in via Fani, visti gli “avieri”, vista la 128, tutto come preannunciato dall’alto funzionario che ha “prelevato” Moro…e invece

  10. Il lungo dibattito tra Laporta ed il lettore con lo pseudonimo Andisceppard è centrale per approfondire la verità sul rapimento Moro. Andisceppard, con un puntiglio degno di miglior causa, ha presentato tutte le possibili alternative per contraddire l’ipotesi che Moro non fosse in via Fani. Ma ha trascurato l’aspetto umano della tragica vicenda. Se in via Fani Moro avesse assistito alla morte di tutti quei ragazzi, al sangue che schizzava dalle ferite, non avrebbe potuto non parlarne nelle lettere. I brigatisti volevano che fosse avvalorata la presenza di Moro nella vettura. Allora non si capisce perché lui non ne accennò nelle lettere. Un accenno alla strage nelle sue lettere non sarebbe stato censurato.
    Ma rileggendo ora tutta la vicenda viene il dubbio che Moro sia stati mantenuto in vita proprio per scrivere quelle lettere che avrebbero dovuto terrorizzare la classe politica italiana. Ma noi abbiamo alle spalle più di mille anni di invasioni e schiavitù. Allora tutta la vicenda paradossale ed infame si tradusse nel solito battibecco tra partiti dove l’unico partito che non cadde nella trappola, il PSI, ebbe alla fine il suo capo umiliato e distrutto. La fine di Craxi si trova al termine di tutta l’operazione di rovesciamento voluta dagli USA. Ma l’Italia non si può distruggere perché è già distrutta.

    • Andi Sceppard scrive:

      Ringrazio per gli apprezzamenti, e – sinceramente – gradirei conoscere la *miglior causa* a cui fa riferimento. Me la dica, per favore! Mi ci dedico! Boh, non lo so, l’aspetto umano… Verissimo e comprensibilissimo. Ma io, fossi stato Aldo Moro (e non dimentichiamo che, in quegli anni, molto più che in questi, i rapimenti erano frequenti. E anche, quindi, quelle cose tipo mi danno la possibilità di scrivere e allora… ) pur con la morte nel cuore non avrei MAI scritto una sola riga per ricordare gli uomini della mia scorta. MAI. Per motivi che mi pare di avere esposto. Ricordo che la stessa scelta la fa il Papa. Io credo che voi (non dico Lei, sinceramente non so come la pensi) continuiate a fare una confusione. Che è molto tipica, quando si immaginano complotti. E cioè di pensare che ci sia il GRAN BURATTINAIO. Che pensa, organizza, pianifica. Che sa tutto. No, non c’è. Ci sono le persone, tante e diverse, che fanno le loro cose. Fanno anche stupidaggini. Posso ad esempio dire cosa penso di quella radio che dà la notizia prima, del capo della Digos che arriva? Di tutti questi misteri? Penso che i Br hanno bisogno, per organizzare una cosa così grossa, di tanto aiuto. Di tanti ‘fiancheggiatori’. Di tanti che magari sono loro amici, ma non proprio compagni fidati. E che magari hanno un piede di qua e uno di là. E che fanno un favore alle Br e uno alla Digos. Uno alle Br e uno alla ndrangheta. E così via. Così ci sono tante persone che si muovono, come sempre, come capita a tutti, in una situazione complicata. Dove certo non vedono tutto. Ma cercano di approfittarne. Perché io posso benissimo credere che al capo della Digos arrivi la soffiata, ed ecco perché arriva così presto in via Fani. Ma credo anche che di soffiate gliene arrivino mille. E magari mille altre volte è arrivato in qualche luogo (lo diceva una soffiata). E invece non è successo niente.
      E poi c’è chi, magari, è più bravo di altri a capirle, e riesce ad approfittarne. E in questo magari fa tanto comodo Mario Moretti, che non è un agente segreto, e che è lui che sequestra Moro, ma che qualcuno riesce a sapere in anticipo che cosa fa. E siccome lo sa in anticipo riesce ad approfittarne. Così succede che tante volte Moretti è fortunato… E magari il suo compagno no. Io sono molto lontano dal credere che non ci sia tantissimo da scoprire sul sequestro Moro. Ma non su via Fani! Ad esempio, invece, tantissimo sul falso comunicato numero sette. E sulla incredibile svolta nei comunicati Br. Moro sta parlando ma non dice niente che non si sappia? Così scrivono le Br. Diceva di Gladio, di P2, di mille cose. E si sapevano? NO! Eppure le Br – dopo il comunicato numero sette – scrivono così… Ecco, molto più che fantasiose ipotesi su Moro non presente in via Fani, a me piacerebbe parlare di questo. Sbaglio o entrambi i protagonisti (Cossiga e Piet come si chiama) hanno confessato di averlo scritto loro? E cosa dicono, loro, in quel comunicato?
      PS: il PSI – secondo me – guadagnò tantissimo dal suo atteggiamento nel sequestro Moro. Poi esagerò, come dire… Forse ha anche colpe sue, non c’è solo un grande complotto…
      Ps2: continuo con la curiosità espressa prima: come era vestito Moro durante la detenzione? Credo che quando viene trovato ha lo stesso vestito di quando è stato rapito… Ah! La lavanderia!

      • Piero Laporta scrive:

        Grazie a tutti. Abbiate cortesemente pazienza. Risponderò esaurientemente anche a quello sciocco di Fasanella, popolare soprattutto a Londra.

      • Piero Laporta scrive:

        Vi prego e vi suggerisco di non divagare, nell’interesse della verità.
        La possibilità di Moro di negarsi alla scrittura (non ha scritto a Berlinguer…) non mi stupisce.
        Ottenere la piena collaborazione di Aldo Moro e restringere la libertà d’azione della famiglia, è evidente nei fatti e stupisce solo se si sottovalutano le onnipotenti entità (statali e non).
        Chi ha prelevato Aldo Moro fa a lui e alla moglie una proposta che non possono rifiutare: “Fate quanto vi diciamo, come noi vi diciamo di farlo; altrimenti vi sterminiamo a cominciare dal vostro nipote. Abbiamo dimostrato di poter fare questo e altro; se volete una dimostrazione ulteriore…”
        Nulla, nulla è stato lasciato al caso.
        E’ sfuggito solo il brano della lettera a Cossiga, da me citato, non pubblicata e mai menzionata dall’inconsolabile ministro, recatosi a piangere con telecamere al seguito sulla tomba dell’assassinato amico, con l’assistenza del gotha giornalistico ante litteram fasanelliano.
        In conclusione, non opera “un burattinaio”, neppure per sogno.
        E’ uno staff operativo, agli ordini d’una pluralità di politici determinati ad assassinare Aldo Moro; uno staff dotato di tutte le risorse umane, finanziare, militari, informative e tecnologiche per conseguire lo scopo.

  11. Andi Sceppard scrive:

    Dai, ricominciamo. Ho pronte scansioni di tessera sanitaria, ultimo cedolino, tutto quanto. Così, chissà mai, potrò dire la mia (del resto le stesse cose vengono chieste a chiunque commenti qui, no?).
    La mia. Beh, prima premessa. La lettera a cui fa riferimento l’articolo non viene fatta pubblicare dai brigatisti. Secondo me a ragione. Che quantomeno ‘puzzi’ di messaggi in codice mi appare abbastanza evidente. C’è una camicia da ritirare in lavanderia???? Cioè Aldo Moro, segregato nella ‘prigione del popolo’ pensa a una camicia da ritirare in lavanderia???? (incidentalmente, ma Moro portava la sua camicia in lavanderia? Lui?). Insomma, come dire, che ci sia sotto qualcosa non sfugge ai brigatisti (che non pubblicano). Credo non debba sfuggire nemmeno a chi ancora oggi la legge.
    Seconda premessa, semplice. Vale ogni volta che vedi un messaggio in codice. E spesso aiuta a decodificarlo. Che cosa potrebbe voler dire Moro? Facciamo un passo indietro. Supponiamo che, poche ore dopo il rapimento, i brigatisti diano in mano al Presidente un telefono. Ed escano a festeggiare. Che cosa può dire Moro? Sono state le Br? Si sa. E’ Mario Moretti? Si sa. Sono qui? Dove? E’ in una cella piccolissima. Non siamo in un romanzo giallo. Non sente le campane di quella chiesa che… L’unica cosa che – teoricamente – potrebbe servirgli per aiutare chi volesse liberarlo è davvero difficilissima. Le Br, romane, sono una decina di persone. In clandestinità. Si sa chi sono, ma non si riesce a trovarli. Ma per organizzare una cosa così grossa hanno bisogno di aiuto, molto aiuto. Cioè di una serie di persone che non sono in clandestinità, che magari non sono nemmeno ricercate. E che però servono. Per fare la spesa. Per fornire una casa sicura. Certo che se Moro indicasse una di queste persone allora sarebbe possibile immaginare un’indagine che lo fa trovare. Ma come può? Conosce a memoria i volti di tutti i brigatisti ricercati? Così riesce a capire che qualcuno non è nella lista? Insomma, come dire, cosa potrebbe dire? Io credo nulla che aiuti. Passano i giorni, e a lui un’idea viene. E – secondo me – la scrive. Prima frase. Mi trattano umanamente. non mancano mucchietti di *appropriate medicine*. E più in là le cinque borse. Una di queste, quelle appropriate medicine le contiene. Però Rana dovrebbe recuperarle… Cioè non sono qui. E allora, *i mucchietti di appropriate medicine?* Chi li ha presi? Da dove vengono? Beh, ho un vago ricordo di una dichiarazione dei Br. Medico compiacente, e certo persone non compromesse che le comprano… Devo andare avanti? Ha un’idea. L’unico modo in cui può aiutare i liberatori. L’unico indizio. Cercate chi ha preso a Roma quelle medicine… Oh, mica può essere sicuro che serva, ma dà una speranza, no? Passiamo ad altre due cose (volendo per queste fornisco estratto conto bancario). La frase finale. Moro, prigioniero, triste che forse non vede più la moglie scrive: Spero che l’ottimo Giacovazzo si sia inteso con Giunchi. Chi sono? Sbaglio a dire che sono due *medici*? Ah! L’altra, la lavanderia, è davvero una domanda nel senso che non conosco la risposta. Come era vestito Moro, durante la prigionia? Boh, la butto lì, ma…

  12. Algiso Oto Pani scrive:

    Grazie per aver dato corpo in modo adeguato a questa tesi.
    Mi permetto alcune osservazioni, più o meno scollegate dall’argomento.
    1) Alla fine di una famosa intervista di Arditti a Francesco Cossiga, il giornalista gli chiede se egli abbia continuato ad avere un dialogo intimo con Aldo Moro, e anche “dove l’abbia messo” (sic); al che l’ex presidente risponde: “in chiesa … Solo in chiesa”.
    2) C’è una foto della Fiat 130 scattata la mattina della strage che è sempre stata scarsamente divulgata. Da quella foto si evince, a mio avviso, che il foro prodotto nel vetro è quello di un proiettile molto veloce, dell’ordine dei 460m/sec, per cui il vetro non si è sbriciolato ma soltanto frantumato lungo una corona molto ristretta, immediatamente circostante il foro di ingresso; e che l’altezza del livello a cui si trova sul parabrezza lo fa sembrare, sempre a mio avviso, un proiettile sparato da un cecchino con una arma lunga, da una posizione elevata e lontana dal luogo in questione.
    3) Il riferimento di Aldo Moro alle giunchiglie, contestualmente a quello relativo al suo prelevamento, probabilmente identifica il luogo dove detto prelevamento è avvenuto.
    4) E’ certo che ci sia stata alterazione nelle indagini balistiche condotte su una coppia di armi corte entrate in ordinanza nel 1975. Vale la pena ricordare che esistono 18 tipi di calibro 9, e che pertanto tale intervento abbia costituito una pratica ” disperata “, nel senso della disperazione e accuratezza maniacale di chi, con questo tentativo, si vuole assicurare una completa deflagrazione di prove ed elementi ancora esistenti, anche di quelli che per loro natura difficilmente porterebbero ad accertamenti diversi dalle balle ormai ufficializzate e ( ahimé ) storicizzate.
    5) Per quanto appena detto, si può lecitamente ipotizzare che chi abbia iniziato il lavoro sia lo stesso soggetto, o comunque faccia parte dello stesso dominio, di chi lo ha finito.
    6) L’ultima Commissione parlamentare di inchiesta non ha posto sufficiente enfasi sul fatto che la sig.ra Fida Moro ha scelto la secretazione di parti della sua escussione in detta sede, e che in più punti ha parimenti fatto l’on. Signorile.
    7) La sparizione delle foto scattate da Nucci supporta anch’essa la sua tesi, in quanto le foto avrebbero potuto dimostrare che Moro non era in via Fani, o che comunque non v’era il supporto logistico atto a prelevarlo, così come prefigurabile dalla narrazione brigatista. Probabilmente i conducenti della 128, dopo avere realizzato il blocco, si sono semplicemente sganciati, senza mettersi a sparare. Se le foto fossero davvero state ininfluenti, il giudice avrebbe potuto comunque restituirle al proprietario senza inficiare alcuna procedura di indagine. Dalla lettura del relativo verbale si evince una correzione speciosa e una ritrattazione dei consegnatari. Lo stesso Nucci, rispondendo a domanda, ha detto di non aver visto Moro trascinato via dall’auto.

  13. Alessandro Busi scrive:

    Buonasera Generale, da modesto cittadino bolognese nato nel ’69 appassionato di storia e di cronaca recente, se ci riferiamo a fatti di “appena” 43 anni fa, posso dire che trovo più che plausibile la ricostruzione da Lei proposta dell’agguato di Via Fani. Troppi sono gli elementi strani e non sufficientemente chiariti o esaminati che alla fine diventano per forza sospetti. Già da tempo non ritenevo credibile la genuina appartenenza in toto alle Brigate Rosse dell’azione con cui è stato colpito Moro e la Sua ipotesi s’inquadra bene in questo contesto. Proseguendo nel solco della Sua riflessione, credo che il prelevamento di Aldo Moro prima di Via Fani abbia costretto a sostenere la farsa a beneficio in qualche modo anche dei militanti delle Brigate Rosse; non credo, infatti, che potessero essere tutti a conoscenza delle vere modalità di rapimento dell’onorevole Moro. Della autenticità come brigatista di Mario Moretti vi sono da tempo dubbi da più parti ma per il resto non riesco a pensare alla Colonna Romana come totalmente compromessa.

  14. Paul Mayer scrive:

    “Quando si perde una guerra tutto finisce nelle mani del vincitore: economia, industria, servizi segreti, diplomazia, magistratura e forze armate”… Una frase terribile ma una frase “chiave” che a me piace sempre ricordare quando mi trovo davanti a degli interlocutori che non capiscono i grandi “perché” della recente storia italiana.

    Molti italiani sono convinti che, alla fine dei conti, l’Italia sia uscita quasi vincente dal Secondo conflitto mondiale, purtroppo non è affatto così! Con gran dolore occorre constatare che eravamo e siamo ancor più… “serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”!

    • Piero Laporta scrive:

      Per completare il “bordello”, cammin facendo i vincitori, USA e UK, si son fatti sfuggire la preda, anzi hanno lasciato Aldo Moro in pasto ai loro nemici. L’imbecillità ha una parte di primo piano nella storia. Oggi siamo preda anche di Francia, Germania, Cina, Russia, senza escludere il Qatar e altri consimili. Allo stato dei fatti, il caos, anche quello del Covid, è la nostra unica via d’uscita.

  15. Vincenzo scrive:

    Salve,
    sono totalmente d’accordo su quanto da lei descritto, le faccio i complimenti per la precisione e la semplicità con cui ha esposto fatti incontrovertibili, altri hanno pubblicato interi libri senza chiarire nulla.
    Le chiedo un parere sul ruolo delle BR nella vicenda, non mi pare che lei abbia affrontato la questione, non si capisce come un organizzazione terroristica di lotta armata si possa essere prestata a questa tragica vicenda. Personalmente mi sono fatto un’idea: secondo me le BR sono finite le 1974 dopo l’arresto di Curcio e Franceschini.
    Moretti che prese in mano la direzione è una figura sospetta, lui e Gallinari potrebbero esserne nient’altro che infiltrati per manipolare l’organizzazione a favore della politica degli USA di strategia della tensione. In questo modo si spiegherebbero tante cose.
    Moretti e Morucci se non sbaglio sono ancora vivi …

  16. Pare che i rapitori in ogni caso non avrebbero avuto niente da obbiettare se Moro avesse parlato degli uomini della scorta morti ammazzati. Anzi se ne avesse parlato nelle lettere avrebbe avvalorato la versione che i brigatisti hanno dato sin da subito. Quindi non si capisce perché Moro non scrisse di dire messe in suffragio. Da cattolico lo avrebbe scritto e non lo avrebbero censurato. Ma non lo ha scritto! Vedere ammazzare quei giovani che lui ormai considerava cari amici gli avrebbe lasciato un tale trauma i cui segni sarebbero trapelati in molte lettere che scrisse, segni che non sarebbero stati censurati. Neppure i suoi carcerieri erano motivati a raccontargli la verità perché Moro non avrebbe continuato il diaologo che invece serviva allo svolgimento dell’azione di terrore ed invincibilità creato dalle br.

  17. bonaventura scrive:

    Devo raccontare un aneddoto avvenuto in Roma il 3 febbrai1978 alle 18,30 Mi rovavo per la nascita di mio figlio Mauro alla clinica Moscati oggi Columbus. Dovevo comunicare a mio cognato la nascita del primogenito ,feci il relativo numero e ricevetti una conversazione tra 2 donne che inconsapevoli dell interercettazione, discutevano irca il pedinamento di un certo Friz. La ricezione era perfetta. A questo punto chiusi la comunicazione, rifeci il numero ma il colloquio tra le 2 era dello stesso tenore. Comunicai alle stesse tale intercettazione e la reazione fu quella di invettive nei miei confronti. Erano 2 brigatiste? Il dubbio si consolido quando arrestarono Sensani.

  18. bonaventura scrive:

    Leonardi riceve un ordine di effettuare un giro di verifica e poi di ritornare in chiesa a prendere Moro lasciando il Presidente ignaro di tale condizione.A Leonardi viene garantita la custodia di Moro sino al ritorno dal giro perlustrativo. Anzi gli viene aggiunta una vettura civetta targata CD che anticipa il corteo delle 2 macchine per far figurare che dentro vi e Moro. Nella macchina del CD ci sono i 2 assassini i quali allo stop di via Fani sorprendono il Leonardi ed i suoi uomini. False le trattative nei 55 giorni poiche ,Moro da vivo avrebbe rivelato come era avvenuto il prelevamento. Tutto cio e avvenuto con delle complicita di diversi attori che agivano in coparttimeni stagni.

  19. Andisceppard scrive:

    Grazie per l’interessante articolo. Di cui condivido davvero poco. Partiamo dall’inizio. La mancata presenza di Moro in via Fani. Le considerazioni che Lei fa sono di fatto tre. 1. rischio di ferirlo durante l’agguato. 2. assenza di parole sulla sorte della scorta nelle lettere di Moro. 3. lettera di Moro che dice alla moglie di recuperare le borse.
    Beh, detto da uno che gioca a fare il detective, propongo una spiegazione che a me pare molto semplice di ognuno dei tre fatti.
    1. Verissimo. Il rischio di ferire Moro c’era. Peccato che (Moro presente o assente) il vetro posteriore della sua macchina non riceva colpi. Il sedile su cui era (o doveva essere) non subisce colpi. Il finestrino dalla sua parte non subisce colpi. Osservate le foto di via Fani. Prendo atto del rischio teorico di colpi vaganti. Anche perché sostenuto da esperti militari. Ma indubbiamente non è successo… Ciò non prova che Moro fosse lì. Ma che stiamo discutendo di una questione puramente teorica. Di fatto – ci fosse Moro o meno – colpi vaganti dove doveva essere non ce ne sono stati.
    2. Mi sembra davvero la cosa più semplice. Fossi stato al suo posto avrei certo evitato di ricordare ai miei rapitori che erano anche degli assassini! Il tutto anche – volendo – per sottile strategia. Non esiste solo la sindrome di Stoccolma. Ma anche quella che – in qualche modo – finita l’adrenalina del rapimento, fa considerare il prigioniero una persona. Il che rende più difficile pensare di ucciderlo. Se ricordo ai miei rapitori che già hanno fatto un passo terribile come una strage per arrivare lì non faccio i miei interessi da rapito. Non escludo – inoltre – un’altra spiegazione. Moro sa benissimo che i brigatisti gli consentono di scrivere, ma che ovviamente leggono le sue lettere. E’ una concessione che gli fanno. Facile immaginare che ci siano stati degli accordi tra loro. Espliciti o impliciti. Chiaro che – al posto di Moro – non avrei mai scritto su una lettera: guarda sono in 4, hanno un mitra, la sera sento il rumore del treno, per dire. Che sia stato implicito o esplicito credo sia chiaro che Moro non possa parlare di dove si trova. Non da escludere che – sempre in modo implicito e esplicito – tra gli accordi ci fosse anche non parlare di via Fani. Non mi stupirebbe e non ci troverei nulla di strano.
    3. La questione delle borse mi sembra davvero – per certi versi – dirimente. Tra le cinque borse di Moro ce n’è una che contiene gli occhiali, le chiavi, insomma gli oggetti personali. Come dichiara la moglie lui non se ne separa mai. Se Moro, in qualunque modo, fosse stato prelevato, da finti carabinieri, da finti agenti, quella borsa l’avrebbe portata con sé. E i finti agenti non avrebbero avuto ragioni per dirgli di no. Ancora. Se Moro non sa di via Fani non si capisce il motivo per cui debba dire alla moglie di recuperare le borse. Se la scorta fosse incolume le borse sono sull’auto e credo non ci sia bisogno di alcun intervento per riaverle. Si immagina Leonardi che le porta a casa Moro. Cosa sa Moro delle borse? Beh, dalla lettera sembra sappia che non le hanno i brigatisti. Che le abbiano prese (due delle borse) in via Fani è del tutto plausibile che non l’abbia notato o che non lo ricordi. A mio avviso sa una cosa (che a me sembra plausibilissima). Che non hanno la borsa coi medicinali. Lo ha scoperto. Mi immagino la prima notte di prigionia. A quel punto immagina che non ne abbiano nemmeno una. Ora – ripeto – se non sa di via Fani è inutile si preoccupi delle borse. Sono in possesso della sua scorta. Basta chiederle e le rendono. Se sapesse che le hanno i brigatisti è del tutto inutile dire che Rana le debba recuperare. Si fa intervenire una persona di fiducia se si pensa che le borse siano rimaste – dopo la strage – sull’auto. Quindi oggetto di indagine. Poi – uno dice – manda Rana a parlare col magistrato che fa le indagini. E gli dici che se ha finito di fare i rilievi ce le renda… No?
    Insomma, ripeto, solo considerazioni da aspirante detective. Cosa ne pensate?

    • Piero Laporta scrive:

      Grazie. Le risponderò, punto per punto, quando avrà la squisita cortesia, di farmi conoscere il suo nome e cognome. Vive cordialità.

    • Piero Laporta scrive:

      1) Non è mai stata fatta, mai, una ricostruzione di via Fani in poligono, come si sarebbe dovuto, con manichini e armi da fuoco vere; solo ricostruzioni cyber che, com’è noto, non fanno sangue. Corollario: come mai le BR, puntigliose fotografe dei loro misfatti, del colpo del secolo non hanno lasciato un’immagine e neppure le promesse registrazioni?
      2) Lei non è Moro, il quale non fu mai un algido politico, distaccato dalla realtà e dai sentimenti, tutt’altro; fu un cattolico praticante che – come ha scritto – sapeva di dover morire ben prima che le Br simulassero processo e condanna. Non seguiva dunque tattiche puerili di comunicazione.
      3) Proprio perché sa che i familiari sanno che non si distaccava mai da una borsa, chiedendone cinque invece di quattro comunica di non aver viaggiato con le borse. Tanto più perché è provato che le BR hanno portato via almeno due borse.
      ps: non gioco a fare il detective, cerco incongruenze; tali queste rimangono sino a prova contraria. Per cortesia mi dice la sua professione? 🙂

      • Andisceppard scrive:

        Sono un insegnante di matematica. Appassionato di gialli e complotti. Ora spero di poter continuare a interloquire con Lei senza doverLe fornire la dichiarazione dei redditi, una scansione di un mio documento, il Pin della mia carta di credito o chissà cos’altro…
        Vabbé, passiamo alla Sua risposta. Che – devo essere sincero – mi convince meno del Suo articolo.
        Punto 1. No, non devo essere stato chiaro. Ciò che ho scritto è che il fatto che Moro non sia stato ferito non è una prova del fatto che non fosse in via Fani. Basta guardare le foto. Che poi non sia stata fatta una ricostruzione in poligono, che le Br non abbiano fatto foto o registrazioni cosa c’entra?
        Punto 2. Puerili tattiche di comunicazione. Sarà. Stranamente nemmeno Papa Paolo VI, nella sua lettera alle Br parla della scorta. Come mai? Avremo frequentato la stessa scuola di puerili tattiche? Ancora, l’algido politico Moro, sicuro già di dover morire, chiama mai assassini i suoi sequestratori? Eppure lo sono. Come mai non lo fa?
        Punto 3. Anche qui non devo essere stato chiaro. Il fatto che Moro parli di cinque borse da recuperare – a fronte del fatto che da una non si separava mai – significa che tutte e cinque erano sulla macchina (cosa che del resto è vera). E poiché da una di queste non si separava mai, per la proprietà simmetrica ci doveva essere anche lui, non le pare?

        • Piero Laporta scrive:

          Sia cortese, non sia insofferente se le chiedo di lei. Lei chiede di interloquire con me. Io devo cautelarmi. Non può immaginare quali figuri hanno tentato nel frattempo. La ringrazio quindi per aver risposto, non di meno mi riservo di chiederle tutto quanto reputerò necessario per cautelarmi. Libero lei di rispondere o meno.
          1) Non ho mai scritto che i 93 (o 91 secondo altri) colpi esplosi siano la prova che Moro non c’era. La prego di osservare la paragrafatura data all’articolo. Quei 93 colpi sono tuttavia la prova che chi avesse pianificato così il rapimento sarebbe stato un imbecille a digiuno di armi e rischi connessi. Non lo dico solo alla luce della mia professionalità, bensì dopo aver consultato il fior fiore degli esperti delle forze speciali. Ripeto: perché non hanno fatto una ricostruzione in poligono con armi e colpi veri?
          2) Occorre che le riscriva quanto ho riportato nel mio articolo:
          «Aldo Moro scrive “prelevamento” solo in due lettere. Nelle altre scriverà sempre “rapimento”. Egli non usava le parole a caso, tutt’altro, le distillava con estrema precisione. Qui correla il “prelevamento” alla ragione di Stato, dunque allo Stato e al “dominio pieno e incontrollato”.
          A pagina 159 dello stesso libro, Aldo Moro fornisce la prova di quanto accaduto, con un messaggio tanto inequivocabile quanto terribile, non di meno in una forma del tutto morbida, com’è nel suo stile.
          Quando conclude la lunga lettera, scritta all’adorata moglie, nel giorno della Santa Pasqua, il 27 marzo 1978, butta lì alcune raccomandazioni, apparentemente inoffensive: «Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C’è da ritirare una camicia in lavanderia.
          Data la gravidanza e il misero stipendio del marito, aiuta un po’ Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare. Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze» e poi arriva il punto esplosivo… “Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio”.
          Aldo Moro è quindi convinto – ovvero ci sta comunicando – che l’auto su cui avrebbe viaggiato quel mattino conteneva le sue cinque borse. Se egli fosse stato presente alla strage di via Fani egli avrebbe saputo che almeno due borse furono prelevate dagli assassini (addirittura le avrebbe trasportate egli stesso, secondo un testimone).»
          ho anche aggiunto questa osservazione non secondaria, a mio avviso: «D’altronde, da fine giurista, era sicuramente consapevole che le borse, quali e quante fossero rimaste sulla scena del delitto, sarebbero state sequestrate dalla magistratura».
          E’ giusto che lei presuma il divieto per Moro di parlare di via Fani da parte delle BR. Né egli avrebbe potuto dire “io sono stato rapito da Tizio e da Caio”, cioè dare dettagli del tutto ignoti alla stampa. In altri termini, non essendo stato a via Fani, non sapeva che cosa vi era accaduto. Egli non dice quindi che cosa accade in via Fani ma lascia capire che non ha viaggiato con le borse affidate alla sua scorta “inadeguata”. Lo può dire solo inserendo una contraddizione stridente con la congruità dei fatti. In altri termini, inserisce una contraddizione apparentemente illogica e, proprio perché tale, spiegabile solo con la sua assenza.
          La lettera di S.S. Paolo VI è in tutt’altra logica e prospettiva, da non meritare alcuna attenzione in tale analisi.
          3) Lei scrive:”Il fatto che Moro parli di cinque borse da recuperare – a fronte del fatto che da una non si separava mai – significa che tutte e cinque erano sulla macchina (cosa che del resto è vera).” Proprio perché da una non si separava mai ed essa conteneva le medicine, non aveva apparentemente senso che egli volesse recuperare “cinque borse”.

          • Andisceppard scrive:

            Uhm… Lei mi sembra più interessato ad un’indagine su di me piuttosto che a parlare e discutere di ciò che ha scritto. Visto che non mi pare di averLe chiesto informazioni personali o di averLa offesa, mi chiedo da cosa si dovrebbe mai cautelare.
            Torniamo a quanto a me interessa e cioè all’articolo in questa pagina.
            E concentriamoci sulle borse. E su quella indicazione nella lettera.
            Le borse sono cinque. Da quanto ho capito in questi anni sono:
            a. una borsa che contiene gli effetti personali. L’equivalente di un borsello di un uomo, della borsetta per una donna. Dentro ci sono le chiavi di casa, il fazzoletto, la carta d’identità, gli occhiali, le sigarette se fumi, i soldi. Moro – comprensibilmente – la tiene sempre con sé.
            b. una borsa che quel giorno è particolarmente importante. E’ la borsa dei documenti attivi, come dire. Quel giorno Moro sta andando in Parlamento. Deve fare un discorso. Certamente il discorso l’ha scritto. Certamente sta dentro una borsa. Insieme, che so, a documenti inerenti quel discorso. E’ la borsa dei documenti importanti.
            Prima di andare avanti segnalo una foto.
            https://www.rainews.it/dl/rainews/media/16-marzo-1978-l-attentato-di-via-Fani-3ef475d5-b428-46b1-b53d-3449b7934754.html?&time=&photoStart=10#foto-11
            Eccole qui, le due borse. Comprensibilmente Moro le tiene nel posto più logico che ci sia. Lì di fianco a sé. Non in mezzo alle gambe, ma in modo tale da poterle prendere appena scende dalla macchina. Sono – entrambe – fondamentali per lui quel giorno.
            c. borsa con documenti meno urgenti. Ho un vaghissimo ricordo di una ragazza che diceva che in una di queste borse c’era la sua tesi di laurea, di cui Moro era relatore. E’ facile immaginare che questa borsa sia nel portabagagli. La tiro fuori se ci sono dei tempi morti.
            d. borsa coi medicinali ed e. borsa con indumenti da viaggio. Queste sono borse ‘di riserva’ che stanno certamente nel portabagagli, e che certo non si porta dietro sempre. E’ giusto che stiano lì perché magari capita un’emergenza e devo partire in fretta. E allora mi porto dietro lo spazzolino da denti e le medicine per dormire.
            Bene. Come chiunque può vedere le borse a. e b. sono rimaste dov’erano. Per il resto ricordo che Moretti ha dichiarato che – piuttosto agitato – a fine agguato ha aperto il portabagagli per cercare le borse (e il mitra). Trovandone solo due. Evidentemente la a. e la b. infilate dietro al sedile, non le ha viste. Abbastanza ridicolo – a mio avviso – che si pensi che le abbia fatte portare a Moro. Moro, facilmente era già in quel momento trasportato verso l’auto che lo portava via. C’è un testimone? Mah, insomma, permetta di dire che non mi pare così strano pensare che si sbagli (che motivo mai ci sarebbe di farle portare a Moro?).
            Bene. Cosa sa Moro delle borse? Beh, non improbabile che sospetti, ripeto sospetti, che le borse a e b sono rimaste lì. Non può certo sapere cosa è successo subito dopo il suo prelevamento. Però – come dire – l’idea che sia sceso senza quelle borse è facile gli sia rimasta in mente. Poi c’è la borsa delle medicine. Su questa è invece molto probabile che – indirettamente nei giorni seguenti – abbia avuto notizie. Perché? Beh, semplice, perché il problema di prendere qualche farmaco l’avrà avuto. E’ facilissimo che abbia detto ai suoi carcerieri che quel farmaco era in quella borsa. Ora, su questo possiamo essere sicuri. I suoi carcerieri gli rispondono che quella borsa non ce l’hanno. (lascio a chi legge la semplice dimostrazione di questo assunto).
            Ora, Lei scrive che cerca incongruenze. Vediamo le due versioni a confronto e vediamo quale ne presenta di più.
            1. Moro è in via Fani. Viene trascinato via. Magari si ricorda anche di non avere preso le due borse dalla macchina. Di sicuro sa che i brigatisti non hanno quella coi medicinali. Ergo le borse sono rimaste in via Fani. Dentro la macchina. Chiedi a Rana di recuperarle. Incongruenze? Una: il testimone (unico) che sostiene che le trasportava lui allontanandosi da via Fani
            2. Moro non è in via Fani. Certo (riguardate la posizione della borsa a. e b.) sulla macchina ci era salito. Poi lo fermano. Gente importante. E gli dicono Presidente è in pericolo. Venga con noi. La scorta seguirà la sua strada. E invece è una trappola. La scorta prosegue senza il suo passeggero e viene massacrata. Moro non lo sa.
            Incongruenze: a. Moro scende dalla macchina senza prendere le due borse per lui fondamentali quel giorno. E non può certo accontentarsi del fatto che sono in macchina con la scorta. Se c’è un’altra auto che lo porta in parlamento lì ci devono essere quelle due borse. Se la scorta bucasse una gomma cosa fa? Si presenta e non fa il discorso? Dice aspettiamo?
            b. Se Moro non sa di via Fani è del tutto inutile che si ponga il problema di recuperare le borse. Le borse le ha Leonardi, amico di famiglia, sull’auto. Sicuro le ha già rese alla moglie.
            c. Se fosse successa una cosa del genere, se Moro fosse stato fatto scendere dall’auto di Leonardi causa pericolo imminente credo che la scorta, proseguendo il suo percorso sarebbe stata assolutamente tesa. Cioè dicono a Moro non proseguire su quelle macchine perché subisci un attentato e tu che sei su quella macchina, non tiri fuori il mitra dal portabagagli? Non hai la pistola in mano? Non sei ultra attento a ciò che succede?
            Ecco, come dire, quale delle due versioni, secondo Lei, presenta maggiori incongruenze?

            • Piero Laporta scrive:

              Le ho riferito di loschi figuri a tentare di contattarmi e provocarmi. Le basti. Se vuole continuare a interloquire sarà alle mie condizioni. Il mio succinto CV è in calce a ogni articolo. Non vedo perché non debba chiedere conto a chi voglia interloquire con me su questioni che già mi hanno creato non pochi fastidi.
              In tutto quanto ha scritto non c’è una risposta congruente alla richiesta di 5 borse. Due sono state prelevate, quali? La 24 ore nella foto non rassicura su nulla. Circa il discorso scritto, non è affatto detto. Era in grado di parlare per ore a braccio e lucidissimamente, non fu mai incomprensibile come poi lo hanno dipinto.
              Lei ha scritto:”Moro scende dalla macchina senza prendere le due borse per lui fondamentali quel giorno. E non può certo accontentarsi del fatto che sono in macchina con la scorta. Se c’è un’altra auto che lo porta in parlamento lì ci devono essere quelle due borse“. Questo è il punto su cui riflettere ma, a fortiori, non risolve l’incongruenza della richiesta di 5 borse (tra l’altro sequestrate dalla magistratura).
              In quanto al “disarmo” della scorta senza mitragliette, è spiegato anche questo nel mio articolo. E’ una mera congettura, verosimile tuttavia conoscendo certe procedure.
              ps: lei insegna all’Università di Venezia?

              • enrico Sputo scrive:

                ho letto ed ho apprezzato molto il vs pacato (anche se talvolta simpaticamente sarcastico) modo di scrivere. Ho apprezzato la serietà con il quale il sig. Andisceppard ha sostenuto la sua posizione che personalmente trovo la più sensata. Grazie a tutti e due per aver approfondito ed aver reso ancor più ricco questo dibattito.

  20. giuliano scrive:

    Salve, prima di tutto ci tengo a dirLe che la ricostruzione è plausibile.
    Dopo svariate letture sul caso Moro o meglio, sull’affaire Moro per dirlo alla Sciascia, sono convinto che il tragico epilogo della vicenda sia stato volutamente determinato per riportare all’ordine e rimettere sui binari di Yalta la politica (e la società) italiana. Non si poteva realizzare. Anzi non avrebbero mai permesso che fosse messo in pratica il progetto Moro-Berlinguer se non dopo il 1989, ovvero dopo la caduta del muro di Berlino, essendo l’italia una sua diretta propaggine nel Mediterraneo, verso il medio oriente.
    Perciò la Sua ipotesi non mi stupisce, sappiamo bene con chi abbiamo avuto a che fare.
    Siamo stati, e forse sotto certi aspetti lo siamo ancora, una Repubblica a sovranità limitata.
    Nell’affaire More tre date sono determinati: 16 marzo, 18 aprile e 9 maggio, e sui fatti in questi giorni accaduti occorre fare chiarezza, solo così capiremo quel che successe nei 55 giorni che di fatto hanno condizionato l’Italia tutta.
    Partiamo dal 16 marzo.
    I Servizi (praticamente disinnescati per la repentina e quantomeno incauta riforma, messa in atto contro i tempi della legge stessa di riforma) quel giorno sono in via Fani, c’è addirittura un Colonnello nonchè istruttore di “Gladio” presso la base di Capo Marrargiu in Sardegna, perchè? con quale compito?
    C’è anche un particolare importante da chiarire, è stato sentito e anche visto un elicottero sulla zona, pochi minuti dopo la strage, senza segni distintivi delle forze di polizia. C’era allora un posto nelle immediate vicinanze di via Fani dove avrebbe potuto atterrare…..

  21. Stefano Rolando scrive:

    Questo torrente di logica mette in comunicazione quelle poche pietre giacenti nel mio alveo in secca,
    ancora una volta GRAZIE

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *