Israele cambia cammello

israele putinIsraele, dopo i missili dell’estate, fronteggia coltelli e asce dei palestinesi. [articolo del 18 nov. 2014 ma ancora attuale]

Che cosa non si fa per tirare su il greggio precipitato a 75 dollari al barile. Israele sembra aver usurpato suo malgrado il ruolo a Golia. I palestinesi invece paiono Davide e sarebbero contenti di lasciare agli ebrei persino la maschera di Sansone.
Sembra così, ma Israele può contare su un fatto incontrovertibile: in questo inizio di secolo le fratture nel mondo mussulmano sono acuite, non abbastanza tuttavia da tranquillizzare il governo di Gerusalemme, tanto più perché sono gli Usa e la Gran Bretagna a controllare i giochi delle alleanze, delle “primavere” e delle azioni/reazioni a favore o contro le magmatiche formazioni che si spartiscono o contendono la scena dalla Libia all’Iraq.
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”25%”]Da quando il barile di greggio è andato sotto gli 80 USD, il Dipartimento di Stato tradisce nervosismo[/cryout-pullquote]Chi cerca spiegazioni nell’attentato di oggi alla sinagoga sulla via Agasi, nel sobborgo di Har Nof, osservi il diagramma del prezzo del greggio. Da quando è andato sotto gli 80 USD, il Dipartimento di Stato tradisce nervosismo. 

«Benjamin Netanyahu è un chickenshit», merda di gallina, codardo. L’insulto è partito da un anonimo funzionario della Casa Bianca, trapelato non casualmente, per di più sbeffeggiando Israele sul nucleare iraniano “che non può più essere contrastato da Netanyahu”. Dimenticava, quel funzionario, che contro le centrifughe iraniane Obama ha fatto solo chiacchiere, se non peggio. Se Israele avesse attaccato l’Iran il greggio oggi sarebbe a 200USD al barile, mentre oggi costa 76 USD e la previsione a un anno in questo momento è 86 USD.
Per di più Israele s’è tenuto distinto e distante dalle primavere mussulmane, mandando di traverso i brindisi di chi si augurava di coinvolgere i soldati ebrei, per tirare al rialzo il greggio. Peggio ancora, Netanyahu s’è avvicinato a Vladimir Putin, il canchero che fa venire l’orticaria allo staff di Obama, il quale è convinto, e non ha torto, che le sue sfortune elettorali abbiano il certificato di nascita a Mosca e Gerusalemme.
Chi ha fatto investimenti sul petrolio nel 2010-2011, contando sul barile oltre i 150USD oggi si trova con grossi buchi da riempire, grossi almeno quanto quelli che vorrebbe aprire nel cranio di Obama. Da Washington e da Londra dicono che loro hanno mandato giù il prezzo del greggio per mettere in difficoltà Putin. E non pochi fessi in Europa e in Italia (non all’Eni, per fortuna) danno mostra di credergli.
Perdonateci l’autocitazione, era novembre 2012: «Petrolio quasi finito, tambureggiò il web pochi anni fa. Passati quei rincari, i medesimi tamburi certificano gli Usa in sorpasso sull’Arabia saudita entro il 2020 nella produzione di petrolio e gas. Entro il 2035 il risparmio energetico sarà pari a un quinto della domanda globale del 2010 e gli USA saranno net exporter di gas e quasi autosufficienti produttori di energia. Nel contempo, la domanda globale di petrolio passerà da 7 a 99 milioni di barili/giorno e il 90% del petrolio mediorientale andrà verso l’Asia. L’Iraq nel 2020 sarà secondo esportatore mondiale di greggio, superando la Russia. Osservate da Washington, queste cifre appaiono rosee. Tutto il contrario se viste dalla Cina. Ohibò, “primavera musulmana” preludio d’uno scontro entro il 2020? Lo chiedo a Cesare Marchetti, analista di sistemi e già forecaster di vaglia, per una dozzina d’anni coi top ten di General Electric. Il cesaremarchetti.org reputa le guerre in sintonia coi cicli di Kondratiev e vede fosco: il 2020 è alla fine del ciclo cominciato nel 1968-70. La fase critica precedente fu superata con le “guerre stellari” di Ronald Reagan, costose al punto da costringere l’Urss a gettare la spugna. Oggi la gara con la Cina è insostenibile per gli indebitatissimi Usa. Chissà se Pechino saprà costringere gli Usa a onorare la cambiale. Difficile rispondere con certezza. Piuttosto della guerra o della fine del mondo, profetizzata dai Maya per il 21 dicembre, ci affannano spread, tredicesima e Imu. A pensarci bene, se scampiamo la fine del mondo, un’altra guerra mondiale, sarà cosa da nulla specie se…  Mica usano i Maya per rendere telegenico il disastro?» [da Il Corriere delle Comunicazioni 27 nov.2012]
In realtà, la previsione era sbagliata sull’incremento della domanda globale di greggio. Di conseguenza non è conveniente oggi sfruttare le scisti. Questo lascia aperta una sola strada a quanti hanno sbagliato gli investimenti nel 2010-2011: scatenare una guerra che sparigli i giochi e soprattutto non consenta alla Cina di aprirsi la strada verso il Mediterraneo e l’Europa.
Qual è il ruolo di mussulmani, cattolici ed ebrei, in questo frangente? Lasciamo i cattolici per ultimi e cominciamo dai mussulmani perché la loro condizione è più critica che mai.

Mezza Luna, totale fallimento

La “primavera mussulmana” ha fatto vedere anche ai ciechi che la destabilizzazione, da Gibilterra al Golfo Persico, riesce benissimo anche senza Israele, anzi in un certo qual modo riesce meglio, com’è in effetti accaduto dalla guerra in Iraq in poi. Il problema è che, avviate le “primavere” e le varie esportazioni malriuscite di democrazia, ogni operazione s’è sviluppata autonomamente entro un caos incontrollabile a dimostrazione che chi le ha innescate – USA, Gran Bretagna e Francia – era partito con idee tanto velleitarie quanto confuse. Vanno verso il disastro e vogliono trascinarci l’Europa e noi con essa.
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”25%”]L’Islam, com’è peculiare a una colonia, assume una fisionomia autonoma solo attraverso l’estremismo, lo stragismo, il ribellismo[/cryout-pullquote]L’ulteriore evidenza è che tutti i paesi mussulmani – esclusa la Siria di Assad e in misura minore l’Algeria – sono ancora dei paesi coloniali, soggetti all’influenza britannica, francese e statunitense. Le case regnanti, i presidenti, i dittatorucoli vecchi e nuovi sono succubi di Londra, Washington e Parigi. La controprova di questo stato di fatto è duplice. Da un lato l’Islam non è in grado di dare risposte culturali, filosofiche e scientifiche al passo coi tempi moderni (un po’ come da tempo sta accadendo all’Italia). D’altro canto, l’Islam, proprio come accadrebbe a una colonia, assume una fisionomia autonoma solo attraverso l’estremismo, lo stragismo, il ribellismo. Fenomeni soggetti tuttavia a isterie sconclusionate, ancorché efferate, vulnerabili a tutte le infiltrazioni possibili da parte delle potenze per ora egemoni nell’area.

Israele a una svolta

Fino a venti anni fa si poteva accusare buona parte della classe dirigente di Israele di essere collaterale ai gruppi di potere finanziario che fanno tuttora la differenza nella City come a Wall Street nel mercato petrolifero e finanziario. I Rothschild, i Soros, i Goldman & Sachs sono stati abilissimi, almeno fino alla caduta del Muro di Berlino, seguita dalla disgregazione dell’Unione sovietica, e fino alla metà degli anni ’90, a dissimulare i propri interessi dietro una quantità di cortine fumogene, la più sanguinosa delle quali è stata la contrapposizione fra Israele e Olp, quanto mai utile a orientare le speculazioni finanziarie mentre il barile oscillava verso l’alto. Da qui a tenere in vita la classica immagine mercantile e speculativa, cucita addosso all’ebreo, il passo è stato breve.
Chi ne dubiti rammenti la guerra dello Yom Kippur del 1973, una sceneggiata con morti veri, poveri soldati egiziani e israeliani sacrificati per agganciare il dollaro – sganciatosi dall’oro due anni prima – al costo del greggio. Da quel momento è stata la catastrofe: il dollaro si valuta solo con la guerra, un destino che marcia verso il baratro.
Israele ha cominciato intorno al 2000 a comprendere che doveva prendere le distanze da questo sistema e dagli ambienti ebraici statunitensi, quelli che poi l’avrebbero tradita, favorendo l’ascesa di Hussein Barak Obama, nemico di Gerusalemme e di Roma.  
Uno dei punti di svolta fu il 14 agosto 2005, quando il governo israeliano ordinò l’evacuazione della popolazione israeliana dalla Striscia di Gaza e lo smantellamento delle colonie che vi erano state costruite sin dal 1967, dopo la guerra dei Sei Giorni. L’operazione “Mano tesa ai fratelli” aveva lo scopo di stabilire una collaborazione con i palestinesi della Striscia, sulla quale Israele aveva intenzione di investire cifre enormi, a partire dalle tecnologie alimentari.
Lo sgombero dei coloni israeliani non fu né agevole né indolore, ma perfettamente eseguito e controllato. Entro la fine di agosto 40.000 militari e poliziotti israeliani sgomberarono la Striscia da ogni insediamento israeliano.
Per aiutare l’economia di Gaza, Israele donò ai palestinesi le sue 3.000 serre che producevano frutta e fiori per l’esportazione. Aprì i valichi di frontiera e incoraggiò il commercio. Il disegno era duplice. Innanzi tutto togliere un alibi al terrorismo che vi allignava. Il secondo altrettanto importante era sperimentare e stabilire la convivenza pacifica e cooperosa fra due Stati, produttivamente, fianco a fianco.
Israele smantellò contemporaneamente quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania. Era il segnale che il governo di Gerusalemme voleva lasciare anche la Cisgiordania e quindi giungere alla convivenza fra due Stati. Accadeva nove anni fa. I palestinesi di Gaza ricevettero dagli israeliani quanto nessun dominio precedente, né egiziano, né inglese, né turco, dette mai loro: un territorio indipendente. La Cisgiordania avrebbe potuto avere la stessa sorte. Non poté accadere nulla di tutto questo. I palestinesi, legandosi mani e piedi,  loro e i loro figli, mediante libere elezioni si consegnarono ad Hamas.
Le serre di Gaza furono demolite, ogni cooperazione impedita da Hamas, uscita vincitrice dalle elezioni, mentre Washington e Londra osservavano apparentemente indifferenti, neutrali si direbbe come uualmente non sono o non sono stati, in Italia per esempio.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”25%”]Il processo di pace è fallito ma Israele non può sottostare ai ricatti che l’hanno portata in guerra sinora[/cryout-pullquote]Il dominio di Hamas sulla Striscia significò una dittatura piena e incontrollata sulla popolazione civile, prigioniera in un’enorme base militare, missilistica e terroristica, utile a innescare i conflitti e ricattare tutto il mondo, specie quando il greggio tende a scendere oltre il consentito per gli speculatori di Londra, Parigi e Washington.  
Dalla prima guerra di indipendenza del 1948, seguita dalle ulteriori dell’ottobre-novembre 1956, del giugno 1967 e dell’ottobre 1973, oltre alle Intifade, l’immagine del “Davide di Israele” è trascolorata in quella di un Golia prepotente e guerrafondaio. A costruire il mostro non poco hanno contribuito le stesse cerchie ebraico finanziarie, attraverso i propri broadcast. Anche in Italia abbiamo luminosi esempi di giornalisti ebrei che sono stati o sono tuttora impegnati in questo gioco oscuro, in Rai, in Mediaset e ne La7.  Chi ne dubiti rilegga le cronache degli attacchi missilistici da Gaza su Israele della scorsa estate.
Anche se nessuno può dirlo ufficialmente, il processo di pace fra Israele e la Palestina è fallito. Non si può trattare con chi da sessanta anni rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele e anzi ne teorizza la distruzione. Il processo di pace è fallito ma Israele non può sottostare ai ricatti che l’hanno portata in guerra sinora. Deve dunque fare una scelta fra le vecchie amicizie di traditori oltre Atlantico e le nuove che si parano a Mosca e, attraverso Putin, incredibili dictu, persino a Damasco e chissà dove ancora. Sono sempre di più in Israele quelli convinti che occorra cambiare cammello per non fare la fine di Golia e neppure quella di Sansone. Era quest’ultimo il destino riservatole da quel funzionario deluso, rabbioso e insultante con Netanyahu. Eppure la reazione di Israele contro gli attacchi da Gaza rimane ancora molto misurata [leggi qui] ma questo conta poco per chi vuole attizzare odio a tutti i costi o per quanti vogliono farsi strumento dell’odio.

La Croce

Benedetto XVI col discorso di Regensburg tentò di aprire gli occhi dell’Europa e del mondo sul declino pericoloso e influenzabile del mondo mussulmano. Non era un discorso contro i mussulmani ma contro la deriva dell’Islam. Immediata e terribile partì la reazione da Washington e dai Chicago boys, eredi di Saul Alinsky, satanista, teorizzatore d’un sionismo spartakista e anticristiano, trascolorato dopo la sua morte nelle mene della finanza più sanguinaria. I Clinton e gli Obama radicano in questa melma.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”25%”]Il solo fatto che anche un solo vescovo apostata abbia potuto trovare voce nel Sinodo è un segnale satanico per i cattolici e politicamente disastroso per chi abbia laicamente a cuore le sorti della famiglia[/cryout-pullquote]L’ostilità contro Benedetto s’accese immediatamente e s’avvalse della scarsa preparazione della Segreteria di Stato e di quella ancora più inadeguata dei servizi di sicurezza vaticani, penetrati pesantemente.
Benedetto ha resistito quanto ha potuto per rendersi conto ben presto che era una lotta impari. Il Sacro Collegio ha affidato la Chiesa a Bergoglio. Noi crediamo fermamente che lo Spirito Santo non sbaglia, dunque aspettiamo. Quello che sinora si vede tuttavia è ben poco, al di là della strombazzata amicizia di Bergoglio con un rabbino di Buenos Aires e dell’incontro di “invocazione per la pace” con Simon Peres e Abu Mazen dell’8 giugno 2014, cui non è seguita alcuna azione politica,  neppure il tentativo, neppure una parola, non una per attenuare i criminali bombardamenti da Gaza su Israele. Poi sono arrivate le stragi dell’ISIS e i balbettii d’un Bergoglio decisamente fuori ruolo. Di questo abbiamo già scritto e non è il caso di tornarvi.
In un momento così delicato l’inadeguatezza palese di Bergoglio – tra l’altro ben visibile su altri e altrettanto importanti temi – è una vulnerabilità che può favorire la radicalizzazione delle posizioni israeliane ed ebraiche, senza un punto di intermediazione credibile, come dovrebbe essere la Santa Sede. Molti segnali invece accostano Bergoglio a Obama, per esempio attraverso le aperture alle criminali politiche familiari di oltre Atlantico che hanno trovato voce nel Sinodo. Il solo fatto che anche un solo vescovo apostata abbia potuto trovare voce nel Sinodo è un segnale satanico per i cattolici e politicamente disastroso per chi abbia laicamente a cuore le sorti della famiglia. È una situazione di estremo pericolo; ben presto potremmo scoprire che la differenza fra pace e guerra passa per un papato incapace di lasciare un segno teologico adeguato alle sfide dei tempi e incline a cercare la popolarità più che le soluzioni ai problemi.

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Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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33 risposte a Israele cambia cammello

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  3. Fedro scrive:

    Piero Grande,
    Ho vissuto a lungo in Israele. Dove conservo amici, affetti e colleghi. E’ esattamente come scrivi nel tuo formidabile articolo. Loro, e pure la quasi totalità dei palestinesi di lingua araba, vorrebbero fare più che la pace: Ma mettersi proprio a vivere insieme. Ma ogni volta le rispettive Quinte Colonne glielo impediscono. Un giorno, però, sarà pace duratura.

  4. oscar scrive:

    Nutritissimo e vivacissimo forum!
    Perché – mi chiedo – tanti distinguo intorno ad un problema che per sua natura non fa che indicare una soluzione sola ed univoca?!
    Certo, a colpi di atomiche si potrebbe fare tabula rasa nell’area e resettare tutto. Ma la storia non si fa con le ipotesi e tanto meno con quelle balorde.
    Se Israele avesse attaccato l’Iran …
    Non l’ha fatto, né lo farà mai. Dai retta, Piero nella partita (almeno in questa di cui andiamo dissertando) il petrolio non c’entra (o come qualcuno pensa: c’entra sempre e allora è come se non c’entrasse).
    La soluzione è una sola: due stati di pari dignità. E poi verrà anche l’integrazione fra i popoli (estremismi permettendo da ambo le parti).
    Come si cucina questa ricetta? Ah, non lo so. Ci vorrebbe un buon cuoco che attualmente non vedo all’orizzonte.
    Ha ragione Bartolomucci. La cattiva coscienza dell’occidente, vincitore della II guerra M., ha ristorato i danni subiti dagli ebrei a spese di altri incolpevoli almeno quanto loro. Il tavolo di trattativa deve essere aperto e chiuso in occidente. Per questo ritengo che Camp David può ancora rappresentare un modello di trattativa, indipendentemente dal fatto che in passato ha fallito.

    • Piero Laporta scrive:

      Le pressioni per un attacco di Israele all’Iran sono state pesantissime. L’attacco nucleare (detto non a caso “Sanson Strategy”) non credo Israele l’abbia mai messo in agenda, ma la condotta sconsiderata di USA, UK E FR non lascia spazio a illusioni sulle loro aspettative.
      Camp David è rieditabile solo nell’ambito di un negoziato che investa tutta l’area (Kissinger) e comunque dopo il riconoscimento di Israele. La lezione del 2005 è stata perfettamente compresa a Gerusalemme niente affatto per ora fra i palestinesi, consegnatisi ad Hamas, legati mani e piedi. Consegnatisi democraticamente, si intende.

  5. oscar scrive:

    Mi piace ricordare a me stesso (con una punta di amarezza) che quattordici anni fa si poteva chiudere un accordo di pace, onorevole per tutti, a Camp David. Per colpa di chi non sene sia fatto nulla non riveste oggi grande importanza. Il fatto è che la situazione è talmente complessa, i problemi talmente insormontabili, i rancori assolutamente incancellabili, che chiunque tenti un’analisi, un chiarimento, un qualcosa qualunque rischia seriamente di perdersi. Per quel che mi riguarda credo che a nulla valga oggi – data la situazione – tirare in ballo i papi, i c. d. capi di stato, il petrolio, l’atomica, l’IS, gli alienie e chi più ne ha più ne metta.
    Sono convinto solo di una cosa. Sulla questione del riconoscimento di uno stato da parte dell’altro il problema è simile a quello dello stabilire la precedenza di nascita dell’uovo rispetto alla gallina. Credo che nessuno farà mai il primo passo verso il riconoscimento dell’altro, senza l’intervento di un soggetto terzo in funzione di garante e catalizzatore dell’accordo. Camp David
    potrebbe rappresentare ancora un buon modello di negoziato, se qualcuno fosse oggi in grado di mettere qualcosa sul piatto della trattativa. E’ vero! L’integrazione non può essere confusa con l’apartheid. Mandela ci ha dimostrato che l’integrazione, la convivenza pacifica o, se vogliamo, la non belligeranza, la sospensione delle ostilità (o in qualunque altro modo la vogliamo chiamare) può nascere solo dalla pari dignità dei soggetti in campo. Fra di loro, e di ambedue nei confronti dei terzi.
    Occorre che il processo di riconoscimento fra i due stati sia reciproco e contestuale a quello di pieno riconoscimento delle due nazionalità da parte del resto del mondo, tutto l’occidente in primis.
    Per quanto riguarda il petrolio, io mi soffermerei a riflettere sulla correlazione inversa fra il cross dollaro/euro ed il prezzo del barile in dollari.
    I flussi finanziari internazionali devono rimanere in equilibrio per non turbare la contabilità di stati, fondi sovrani, multinazionali e finanzieri internazionali. Il dollaro era ed è sottovalutato e l’unico modo perché si potesse acconsentire ad una parziale rivalutazione nell’area 1,20/25 $ contro 1 euro (fuori dall’indecente 1,45 $ per euro di qualche mese fa) era proprio quello di alleggerire il prezzo del barile. Se l’Europa non riprende la corsa si fermano anche gli altri. Vedi il Giappone. Se il prezzo del barile fosse rimasto sopra i 100$ e il cross a 1,25 l’Europa sarebbe rimasta strozzata da una bolletta energetica improvvisamente più cara di circa il 15% – come minimo – e addio benefici all’esportazione di un euro più debole. Suvvia, la sostenibilità delle componenti di costo giova a tutti!

    • Piero Laporta scrive:

      No, guardando indietro il processo di pace non è mai decollato. Per questo sostengo che è fallito, questo processo è fallito. E’ fallito perché il riconoscimento politici diplomatico di Israele non è stato esigito come si doveva da chi diceva di sedersi al tavolo della trattativa. E’ fallito perché, mentre si negava il riconoscimento, si chiedeva a Israele di rinunciare alle posizioni di sicurezza acquisite manu militari a seguito delle guerre con le quali è stata aggredita. E’ fallito perché non si è fatto nulla, anzi si è andati nel verso opposto, per porre il conflitto al di fuori delle oscillazioni dei costi delle’energia.
      La dichiarazione statunitense – conseguente alle primavere arabe, non ha caso – di essere autosufficienti per l’approvvigionamento di petrolio, ebbe un significato univoco per l’Arabia S. e per i rimanenti satrapi petroliferi dell’area: alzare la tensione affinché l’incremento dei costi compensasse le minori entrate dei produttori mediorientali. L’Europa è casualmente beneficiaria di una contingenza a metà strada verso il disastro. Se Israele avesse attaccato l’Iran la bolletta a 200 USD avrebbe significato un altro 1973. L’abbiamo dimenticato?

  6. Sigmund scrive:

    La situazione medio-orientale è un guazzabuglio difficile da interpretare perfino per chi vi abita e opera, figuriamoci per gli altri. Comunque ogni tentativo di comprensione di quell’area del mondo così cruciale può essere un utile esercizio dialettico.

    Piero dice “Israele s’è tenuto distinto e distante dalle primavere mussulmane” … se qualcuno si prende la briga di destabilizzare tutta l’area che circonda Israele, lasciando la stessa libera di prosperare, perché mai Israele dovrebbe darsi da fare per ottenere un risultato che altri garantiscono?

    Il problema sorge quando qualcuno vuole coinvolgere anche lo Stato di Israele nella destabilizzazione, nella fattispecie i palestinesi di Hamas che cercano di attirare l’attenzione del mondo sulla condizione miserevole della sua popolazione. Colpa dei leader palestinesi? Forse.

    “Uno dei punti di svolta fu il 14 agosto 2005, quando il governo israeliano ordinò l’evacuazione della popolazione israeliana dalla Striscia di Gaza…” se non ricordo male a ordinare lo sgombro fu quell’ Ariel Sharon che s’inventò la passeggiata sulla spianata delle moschee, mossa che diede l’avvio alla seconda Intifada, quello che iniziò la costruzione del muro che chiude i palestinesi in una gabbia e il responsabile dello sterminio del campo profughi di Sabra e Shatila…. eh la situazione è complicata e difficile per chi non sta nella testa dei protagonisti di quella terra sventurata e meravigliosa

    Gli USA, la Russia, l’Europa tutti giocano il loro ruolo, ma i protagonisti principali dell’area sono due: israeliani e palestinesi. Il petrolio c’entra sempre e ovunque, ma le pietre di Gerusalemme rappresentano un simbolo potente capace di mettere in ombra anche il petrolio.

    Gerusalemme è il pomo della discordia e lo sarà sempre. Finché non si trova soluzione a questo problema il conflitto medio-orientale è destinato a non cessare con il tripudio di chi di mestiere fa il produttore di armi.

    • Piero Laporta scrive:

      < > Se Israele muove guerra è un orrore, se lascia che i mussulmani si scannino fra loro è colpevole lo stesso? Non si vede una forzatura? Che cosa avrebbe dovuto fare? Gettarsi fra i contendenti?
      Sharon ha fatto cose ottime e cose orribili. Resta il fatto che < uanto nessun dominio precedente, né egiziano, né inglese, né turco, dette mai loro: un territorio indipendente. La Cisgiordania avrebbe potuto avere la stessa sorte. Non poté accadere nulla di tutto questo.>> A Gaza votarono e scelsero Hamas: che cosa c’entra Israele?
      Non è affatto vero che i protagonisti sono Israeliani e palestinesi, assolutamente. Ora sono protagonisti della propria storia gli Israeliani, sottrattisi al protettorato statunitense; i palestinesi invece sono pedine, nient’altro che miserrime pedine nelle mani di USA, Uk, FR e dei soccorrevoli fratelli mussulmani. Quando se ne renderanno conto ne vedremo delle belle, se mai se ne renderanno conto.
      Gerusalemme è stata conquistata dagli israeliani, come lo fu dai mussulmani e dai Crociati. Il diritto delle armi “è il diritto”. Se non ci credi, chiedi dalle parti di Capodistria, di Nizza o della Savoia. Fine, fino alla prossima guerra.

      • Sigmund scrive:

        I tempi dei crociati sono un pò lontani, adesso pare che esista qualcosa che si chiama diritto internazionale che dovrebbe intervenire per por fine alle diatribe tra i popoli e gli Stati.
        Se le Nazioni Unite hanno una qualche ragion d’essere, lo devono avere per tutti, compreso lo Stato di Israele.
        I territori occupati si chiamano così “occupati” cioè in mano a una forza straniera da cui i residenti hanno il dovere di tentare di liberarsi.
        Se così non è allora bisogna concludere che è giunto il tempo di chiudere il baraccone dell’ONU, dato che sembrerebbe diventato solo una inutile spesa.

      • Uso anche con te una metafora che mi piace: che cosa diresti se un intruso occupasse la tua casa e ti imponesse di vivere nel bagno?

      • marcello scrive:

        “quanto nessun dominio precedente, né egiziano, né inglese, né turco, dette mai loro: un territorio indipendente.” Vero. Nessuno è mai stato intelligente come gli israeliani quando si sono ritirati dalla striscia (_striscia_) di Gaza. Nemmeno gli austroungarici, che avrebbero potuto regalare agli italiani Livigno, confinandoli tutti dentro quella sacca, controllando tutti i valichi e regalando loro gli orti delle case oltre agli impianti sciistici, così da favorire una economia in grado di prosperare non tanto perché in grado di far coltivare agli italiani le patate nella quantità che gli austroungarici erano in grado di assorbire, quanto perché avrebbero fatto lavorare gli italiani come servi facendo credere loro di essere dei piccoli ma tenaci imprenditori, unici veri spiriti liberi e intraprendenti nella disgraziata storia degli italiani da generazioni e generazioni.
        Sul fatto poi che i palestinesi siano pedine, niente di più vero. Del resto, gli hanno ammazzato con bombe telecomandate tutti i leader politici carismatici. Poi quelli che hanno preso il loro posto. Poi anche questi. Poi anche questi altri. Alla fine, sono rimaste le personalità più maleodoranti come abbù abbass(o). Logico che di fronte a questi servi viscidi anche Nientaniau faccia la parte del gigante.

        • Piero Laporta scrive:

          la discussione appassionata, anche feroce ma onesta si può fare quando l’altro non travisa volutamente le parole e i concetti.
          Primo.Il riconoscimento di Israele non è una opzione campata per aria ma viene da un riconoscimento delle NU dell’URSS e via via di tutto il mondo civile. Che cosa ci azzecca mi scusi l’ermeneutica araldica, sua o di altri non so, utile tutt’al più come curiosità?
          secondo. La possibilità di costituire due stati cooperanti nel 2005 fu rifiutata, sì o no? Sì, è nei fatti. Allora, perché? Perché era una roposta troppo intelligente? E la successiva proposta politica di di Hamas è stata migliore?
          Terzo. La guerra si fa con le bombe, guarda un po’ e se c’è la possibilità di far fuori il capo, il capetto e il sottocapo, quelli che prendono i soldi da Qatar, Turchia, Usa; Gran Bretagna, Francia, per fare la guerra e lasciare il loro popolo nel fango, ebbene si tira la bomba dal drone. Ma il popolo rimane pedina di quella processione di capi, capetti e sottocapi prezzolati.
          Le chiedo cortesemente di rileggere quanto ho scritto:< <L’ulteriore evidenza è che tutti i paesi mussulmani – esclusa la Siria di Assad e in misura minore l’Algeria – sono ancora dei paesi coloniali, soggetti all’influenza britannica, francese e statunitense. Le case regnanti, i presidenti, i dittatorucoli vecchi e nuovi sono succubi di Londra, Washington e Parigi. La controprova di questo stato di fatto è duplice. Da un lato l’Islam non è in grado di dare risposte culturali, filosofiche e scientifiche al passo coi tempi moderni (un po’ come da tempo sta accadendo all’Italia). D’altro canto, l’Islam, proprio come accadrebbe a una colonia, assume una fisionomia autonoma solo attraverso l’estremismo, lo stragismo, il ribellismo. Fenomeni soggetti tuttavia a isterie sconclusionate, ancorché efferate, vulnerabili a tutte le infiltrazioni possibili da parte delle potenze per ora egemoni nell’area.>> Quali le responsabilità di Israele in questo declino?

  7. Articolo assai interessante se non fosse per la premessa. Cioè che l’unica soluzione per la regione, probabilmente unico caso nel mondo, sia realizzare delle nazioni confessionali, per non dire razziali. Gli ebrei da una parte gli arabi dall’altra. Del resto ciò non è molto diverso da quanto voleva fare in Germania Hitler negli anni ”30 del secolo scorso, nè da quanto avvenuto in Sud Africa fino agli anni ’90 dello stesso secolo. La sintesi è il noto NIMBY; leggi: potete vivere in pace finché state per conto vostro quando desidero, salvo invece garantire il pieno accesso temporaneo e condizionato come lavoratori sottopagati per i lavori più umili e permettermi di competere quindi in condizione di vantaggio con il resto del mondo. Parlo di Hitler, del Sud Africa o del progetto di Israele?

    • Piero Laporta scrive:

      L’articolo è interessante perché racconta dei fatti veri. Tu mi opponi tesi apodittiche. Non è degno di un ingegnere 🙂
      Primo. La soluzione è nel ridisegnare tutta la regione e nel dare la terra a ciascuna nazione e non solo in M.O. Non solo palestinesi e israeliani, quindi. Perché no una nazione curda? Perché non separare sciiti e sunniti dell’Iraq? Perché no una patria ai copti dell’Egitto?
      Secondo. In quanto ai paragoni con Germania e Sud Africa, siamo nell’ideologia perché il separatismo, come ho spiegato nel pezzo, a Gaza e in Cisgordania se lo sono costruito pezzo per pezzo con le loro mani. L’occasione del 2005 è stata buttata via, ora esigono il riconoscimento internazionale senza riconoscere una nazione legittima come Israele? Mi pare che la Mogherini deve rendersi conto che riconoscere la nazione palestinese in queste condizioni significa legittimare il terrorismo.
      Terzo. Facta sunt consequentia rerum: i palestinesi hanno scommesso sul cavallo sbagliato, l’Islam e i petrolieri, che li hanno usati e gli stessi palestinesi esigono che i loro problemi siano risolti dagli israeliani. Mi pare una sciocchezza che solo la Mogherini può sostenere.

      • I fatti potranno essere veri, sono per l’appunto le premesse per la loro interpretazione che, secondo me, soffrono di strabismo. Nel senso di avvocare in un luogo ciò che si condanna in un altro. Con le tue tesi perché non una nazione Bahai, Satanista o Raeliana?! Se qualcuno proponesse queste ipotesi sarebbe preso per matto, tuttavia la stessa cosa detta per gli Ebrei sembra sensata anche a persone ragionevoli. Il tema petrolifero, per quanto possa essere di interesse peloso per gli USA, temo che con la questione dell’assenza della democrazia in terra di Palestina, non c’entri nulla. Così come non c’entrava la democrazia nell’invasione dell’Iraq da parte degli USA.

        • Piero Laporta scrive:

          Chi deve dare la democrazia ai palestinesi? Hamas.E perché non l’ha data Arafat né la sta dando l’attuale presidenza? Che cosa c’entra evocare “nazione Bahai, Satanista o Raeliana” con la legittimità di Israele, riconosciuta dalla comunità inernazionale? Che cosa c’entra evocare “nazione Bahai, Satanista o Raeliana” con la patria Curda, Coopta o Armena? Mi pare che si entra e si esca dai principi un po’ troppo a convenienza. I palestinesi sono innanzi tutto vittime di loro stessi e dei mussulmani.
          Ribadisco: “L’ulteriore evidenza è che tutti i paesi mussulmani – esclusa la Siria di Assad e in misura minore l’Algeria – sono ancora dei paesi coloniali, soggetti all’influenza britannica, francese e statunitense. Le case regnanti, i presidenti, i dittatorucoli vecchi e nuovi sono succubi di Londra, Washington e Parigi. La controprova di questo stato di fatto è duplice. Da un lato l’Islam non è in grado di dare risposte culturali, filosofiche e scientifiche al passo coi tempi moderni (un po’ come da tempo sta accadendo all’Italia). D’altro canto, l’Islam, proprio come accadrebbe a una colonia, assume una fisionomia autonoma solo attraverso l’estremismo, lo stragismo, il ribellismo. Fenomeni soggetti tuttavia a isterie sconclusionate, ancorché efferate, vulnerabili a tutte le infiltrazioni possibili da parte delle potenze per ora egemoni nell’area.”

          • Chi ha dato la democrazia ai neri del Sud Africa se non i bianchi allora regnanti?! La risposta mi sembra ovvia, non è certo stato Mandela a dare la democrazia al paese, senza la collaborazione dello stato e della pressione internazionale. La legittimità di Israele proviene dal senso di colpa dell’Occidente per i morti durante la seconda guerra mondiale. Le altre citate sono religioni come quella Ebrea e penso concordi sarebbe errato creare uno stato che indichi una di queste confessione nel suo statuto. Quanto al colonialismo, penso l’Italia sia in uno stato ben più penoso di loro; per lo meno questi le forze coloniali le vedono, noi ce ne accorgiamo solo quando fanno attentati o muovono i mercati. E si sa che un nemico si può battere solo se lo si ha di fronte.

            • Piero Laporta scrive:

              la religione nella costituzione dello Stato? Arabia Saudita ti dice nulla? Iran? Lo Stato si costituisce come e dove può, è un principio basilare. D’altronde, è infinitamente più laica Israele di qualunque Stato mussulmano. Di più: la religione ebraica si adatta ovunque diaspori, quella mussulmana mai. Vogliamo parlare dei rapporti uomo-donna? Della schiavitù? Della prostituzione forzata?
              < >?!? queste sono categorie sentimentali. Il primo stato che riconobbe Israele, come sai fu L’Urss di Stalin. Complessi di colpa di Stalin? Ma dai…
              Complesso di colpa o meno, riconoscimento internazionale o meno, se non avessero superato come superarono la guerra di indipendenza del 1948 e le successive non staremmo qui a parlarne.
              Il paragone col Sud Africa non c’entra proprio nulla, affatto. I boeri erano lì e usurpavano. Gli ebrei convivevano da tempo immemorabile. Poi c’è stata una decisione del CdS NU per dare fisionomia di Stato a quello che era un protettorato inglese e prima ancora regno ottomano. Hanno pensato di risolvere il problema a proprio vantaggio con le armi e gli è andata male. Fine. Nella Striscia come abbiamo visto hanno rifiutato la democrazia e preferito Hamas. La tua metafora dell’intruso come vedi non c’entra nulla: a Gaza gli intrusi glieli ha tolti Israele e il risultato è noto. In Cisgordania sono per conto loro e volevano continuare a fare la guerra col terrorismo e gli agguati. Te lo ripeto: i palestinesi devono prendersela con se stessi e con gli altri musulmani.

              • Intanto in Arabia Saudita gli Arabi c’erano e così gli Sciti in Iran, non è che ci siano arrivati sloggiando i precedenti occupanti. Inoltre là i regnanti si comprano la mancanza di democrazia foraggiando i cittadini con le risorse del petrolio. E nonostante questo non è che tutti pieghino la testa. Si pensi se un giorno smettessero di distribuire soldi, altro che Hamas!
                Convivevano, appunto. Poi a un certo momento hanno voluto prendere il piatto tutto per loro. Hai centrato il problema.

                • Piero Laporta scrive:

                  non sviare 🙂 l’Arabia è entrata nel discorso a proposito della confessionalità, così come l’Iran.
                  In quanto al “sono arrivati dopo” non puoi rivendicare la sovranità su Gerusalemme ai mussulmani perché ci era arrivato Saladino. E’ da ridere, perché tornando indietro gli ebrei avrebbero più titoli.
                  Essi la rivendicano perché l’hanno conquistata dopo essere stati aggrediti. Se non va bene allora facciamoci restituire Capodistria. Suvvia, non si entra e si esce a piacere dai principi. Il ragionamento deve essere rigoroso o non è, non ti pare?
                  Grazie davvero, ma ora mi metto in viaggio; scusami quindi se ti rispondo tardi. Ciao.

                  • L’Arabia saudita riesce a rimanere non democratica, come in parte l’Iran perché “corrompe” i cittadini. Gli Arabi erano anche i soli a vivere in quelle terre desolate e quindi un minimo di maggiore titolarietà per detenerla scoraggiando gli stranieri è anche un poco più comprensibile. Certamente non è che per sollecitare la democrazia in Israele accetti la dittatura in Arabia Saudita, altrimenti fare come te che accetti la segregazione in Israele e la ripudi nella Germania Nazista o nel Sub Africa boero. Quanto a Capodistria, se un Italiano ci vive non penso che lo mettano in quarantena. Né che gli ortodossi abbiano immediato diritto alla cittadinanza.

                    • Piero Laporta scrive:

                      Fabrizio che cosa ha a che fare un soggiorno possibile a Capodistria con la sovranità perduta? Che cosa hanno a che fare i pastori arabi di secoli addietro con gli esiti dei rivolgimenti della prima e della seconda guerra mondiale? E delle guerre successive che i mussulmani hanno portato su israele? Come puoi pensare di limitare a uno Stato il diritto di concedere la cittadinanza a chi gli pare o di non concederla? E infatti Netanyau ha varato una legge che non è affatto piaciuta agli ortodossi. Che mi importa se l’Arabia S. corrompe i suoi cittadini? Tu mi devi dire perché la professione religiosa per lo Stato di Israele non va bene e per l’Arabia S. invece sì. Tanto più perché in quanto a democrazia Israele è anni luce avanti a tutto il resto nella regione.

                    • Mi rispondo da solo in quanto sembra abbia disabilitato la possibilità di rispondere ai tuoi interventi.

                      Uno stato può fare quello che crede ovviamente, ma poi non si può lamentare se gli facciano gli attentati! Con questo criterio tutto va bene. Esiste tuttavia un principio di base dello stato di diritto, da qualche parte scritto nelle normative, altrove nel sangue, e in altri nel petrolio, che sostiene la parità dei diritti indipendentemente da razza, religione e sesso. Già ti ho detto che la situazione Araba si tiene con relativa stabilità in virtù dei petrodollari. Si diventa eroi solo quando disperati.

                    • Piero Laporta scrive:

                      E’ inaccettabile il tuo eludere le questioni e per di più incolparmi perché non sai rispondere con dati di fatto ma solo con pregiudizi. La basic law di Israele, una parte della quale puoi leggere qui, non fa alcuna discriminazione, assolutamente. Mi puoi dire che vi sono delle trasgressioni. Quando mai una legge non ha dovuto camminare a lungo per trovare piena applicazione? Forse la costituzione italiana è pienamente rispettata? C’è forse una costituzione in Arabia S. o in Iran, in Qatar o in Egitto migliore di quella israeliana?
                      Del tutto incomprensibile, del tutto fuori da ogni logica, la tua ostinata giustificazione dell’Arabia S. e, al contempo, la giustificazione del terrorismo, che avanzi come fosse del tutto naturale. Ritrovo una banalità del male, nelle tue parole, che davvero sgomenta.
                      Israele è l’unica democrazia al di là del Mediterraneo, l’unica. Migliorabile quanto si vuole, ma l’unica. Giustapporla a formazioni criminali, eredi dirette del peggio del peggio delle dittature del noveceto, è un’autoqualificazione che dovresti evitare e mi auguro vivamente che tu vi sia inciampato inconsapevolmente.
                      D’altronde, come ho scritto altrove a un altro amico, ho fatto un’analisi con dati di fatto e non uno di tali dati è stato contestato ma vedo solo un continuo tentativo di sviare gli argomenti per criminalizzare il riconoscimento di uno Stato, Israele, pienamente legittimo e sovrano.
                      Se v’è possibilità di rispondere, per te e altri, non prendetevela con me.

                    • La costituzione Israeliana parla di stato Ebraico, sic e simpliciter. Sarebbe come se noi dicessimo si essere uno stato cattolico, ovvio sarebbe che qualunque legge, anche quella più liberale, subirebbe un pregiudizio da questa impostazione. Quanto all’Arabia Saudita, capisco che chi non ama Israele debba essere per forza un terrorista, quindi figurarsi un filo Arabo. Ma se uscissi dal tuo pregiudizio dubito che riesci a trovare un punto dove difendo l’Arabia o i terroristi. Se ti dico che uscendo di casa con la pioggia senza ombrello potresti bagnarti, non divento automaticamente amico del tempo cattivo. Né se dico che un tale dotato di ombrello non si è bagnato divento automaticamente suo amico.

                    • Piero Laporta scrive:

                      Mi fai vedere per cortesia dov’è scritto quanto tu affermi nella “Basic Law” di Israele?
                      Nel frattempo ti suggerisco una lettura https://www.knesset.gov.il/description/eng/eng_mimshal_yesod2.htm
                      Non ti fa onore ricorrere a questi espedienti, perdonami, puerili per attribuirmi pensieri e parole che mi sono estranei “capisco che chi non ama Israele debba essere per forza un terrorista”. Invece purtroppo sei tu ad aver lasciato intendere che il terrorismo è giustificato.

      • marcello scrive:

        Mi risulta che le due strisce sulla bandiera di israele simboleggino i due fiumi Nilo e Eufrate, fra i quali sarebbe la patria degli ebrei.
        Così fosse, sarebbe assurdo riconoscere lo stato sionista, dal momento che rivendicherebbe l’intero territorio di altri stati.
        Del resto è così anche per gli USA. La chiamiamo america ma potremmo chiamarla Mondo_tranne_Russia_e_Cina.

  8. Federico Dezzani scrive:

    Credo che a Tel Aviv abbiano esultato per la recente sconfitta elettorale di Obama e contino i giorni che mancano alla nuova presidenza per riallacciare i rapporti: che ci sia Jeb Bush o Hillary Clinton alla Casa Bianca, sarà comunque preferito ad Obama, il cui piano di concedere credito all’islam politico è miseramente fallito.
    Israele conobbe una brevissima infatuazione sovietica ai suoi albori, ma i giorni epici di Moshe Dayan, dei kibbutz e del socialismo in salsa yiddish sono finiti da un pezzo: dagli anni ’70 si sono legati mani e piedi agli americani ed il crescere degli ultraortodossi e della destra nazionalista non fa che rafforzare il legame con i neocon americani ed i liberal del “responsability to protect”: simul stabunt, simul cadent.

    • Piero Laporta scrive:

      Hanno esultato pure a Gerusalemme 🙂 ma nessuno credo stia sognando il ritorno del kibbutz. D’altronde le recenti leggi varate da Netanyau contro i privilegi degli ortodossi, sono una svolta iniziata a novembre 2012, 30 o giù di lì, quando il rabbino capo d’una località del nord d’Israele becretò un biasimo a carico di un ebreo che vendette un immobile a un arabo. Un secondo rabbino dichiarò alla BBc “la Bibbia vieta di dare un posto ai gentili. Israele è la terra data da Dio agli Ebrei, chiunque altro vi sarà solo ospite”. La persona colpita dal biasimo del rabbino, un sopravvissuto all’olocausto, parlando col giornalista, rovesciò l’addebito, ricordando anche al rabbino capo la sua posizione di dipendente dello stato. Nei giorni successivi la polemica si infiammò e i commenti si concentrarono sul pericolo per lo stato secolare delle forze che non accettano i concetti fondamentali della democrazia liberale. Fu espressa preoccupazione per l’alta natalità della comunità ultraortodossa. Il ministro per le minoranze, Bravermann, dichiarò di vedere negli ultraortodossi una minaccia per la democrazia e per la popolazione araba. Il primo ministro Netanyahu si unì alle critiche. Il deputato arabo israeliano Ahmad Tibi sostenne che i rabbini vanno licenziati e chiamati in giudizio secondo la legge israeliana per incitamento al razzismo.
      All’inizio del’estate, come sai, è passata la riforma del servizio di leva divenuto obbligatorio – insieme ad altri provvedimenti fiscali – per gli ebrei ortodossi. Occorre ricordare che i legami più forti e meno trasparenti fra sionismo statunitense e isareliano passano proprio attraverso gli ortodossi. Qui si gioca una partita strategica per l’assetto del Mediterraneo.

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