Il Presidente Donald Trump fra Mosca e Pechino

Tomahawk e super bomba disorientano molti. Trump ha cambiato politica? Russia e Cina sono nemici degli USA sul medesimo piano? Qual è il ruolo della Corea del Nord?

Nervini su osservatori nervosi

Per molti osservatori i missili Tomahawk di Trump sulla base aerea siriana di Shyarat sono una risposta alle bombe coi gas nervini, lanciate dagli aerei di Assad di quella base sulla popolazione siriana di Iblid; ovvero un monito a Putin, gran protettore del presidente siriano. È davvero così?

La responsabilità di Assad per i nervini anche stavolta è certificata dalla prima ora per voce dell’Osservatorio Siriano dei diritti umani, caro ai clintoniani e tuttavia smentito già nel 2013 dal magistrato svizzero Carla Del Ponte [leggi qui], secondo la quale i nervini furono sparsi dai cosiddetti “ribelli siriani”, armati da Washington. La Del Ponte da allora è oscurata.

In compenso le medesime accuse ad Assad sono rilanciate da Paolo Mieli, sul Corsera, dolendosi tuttavia del plauso a Trump dei governi europei. Esito grottesco: se Trump ha fatto bene a bombardare Assad, perché Mieli si duole del plauso europeo? D’altronde sono, i capi di governo europei, i medesimi che dicevano peste e corna di Trump fino al giorno prima. Nella doglianza di Mieli, pesa la preoccupazione che Trump possa riacccreditarsi?

Dalla sponda opposta, quanti salutarono Trump come “la svolta”, una sorta di Messia per i conservatori frustrati, esprimono stupore e rammarico: «Trump bombarda la Siria: neanche 100 giorni per essere fagocitato dal sistema».

I fumi dei Tomahawk sulla Siria non s’erano ancora dispersi, quando gli Stati Uniti sganciarono sull’Afghanistan orientale la bomba MOAB (Massive Ordnance Air Blast), ribattezzata Mother of all Bombs – madre di tutte le bombe, 10 tonnellate di esplosivo convenzionale, precisissima, che distrugge tutto entro 500 metri dal punto di impatto.

“Non si usa così la forza militare”, scrive sulla sua pagina FaceBook Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della difesa.

C’è un altro modo di utilizzare la forza militare, mentre da trent’anni si porta per mano il mondo verso la guerra? La forza militare si usa come in Iraq, in Afghanistan o come in Siria e nelle “primavere mussulmane”?

Per capire che cosa Trump ha davvero fatto (e dovuto fare) e quale sia il suo interesse strategico stiamo sui fatti.

La doppia sceneggiata

Il comandante del raggruppamento russo in Siria, il generale Aleksandr Dvornikov, dopo la salva dei 59 missili Tomahwak, rileva che solo 16 sono andati a bersaglio, con danni molto limitati alla base. Le successive agenzie elevano a 23 i missili a bersaglio, comunicando tuttavia la piena ripresa dell’attività della base.

Se i missili sulla base siriana hanno avuto effetto limitato, a Washington invece le conseguenze non sono state lievi. Il New York Times per la prima volta s’è rivolto a Trump chiamandolo The President, col quale s’è complimentata persino la viperina Nancy Pelosi.

Il bullo nord coreano Kim Jong-un ha dovuto fare due calcoli in fretta, visto che l’ordine d’attacco the President lo ha dato mentre stringeva la mano del suo padrino, Xi Jinping, presidente cinese. Quando è scoppiata la super bomba, Kim Jong-un ha dovuto riflettere più a fondo.

Il doppio colpo è stato possibile a Trump proprio perché ha risposto magistralmente alla bufala dei gas. Certo, una bufala, così come bufala fu nel 2013.

Un bombardamento coi gas nervini – sia pure con un numero limitato di morti – causa migliaia di feriti con gravi lesioni oculari, polmonari, cerebrali, cardiache. I cadaveri mostrano tormenti inconfondibili. Per questo bombardamento le agenzie mostrano paffuti bambini con la maschera di ossigeno sul viso. Dove sono le migliaia di sfortunati cittadini siriani con gravissime lesioni? Se ci fossero basterebbe sottoporli a una visita per certificare i gas, come accadde nel 1988, quando Saddam Hussein impiegò gas nervini contro i Curdi: migliaia di sventurati subirono ustioni, la pelle a brandelli, gli occhi scoppiati, i pezzi di polmone nella bava sanguinolenta.

L’ordigno a Iblid è stato collocato a mano, nella zona controllata dai “ribelli”[leggi qui], secondo una perizia del Massachusetts Institute of Technology. Dettaglio, questo, di grande importanza: chi ha accesso a quel territorio? Questo spiega pure la concentrazione “prudente” del gas, di gran lunga meno efficace degli usuali ordigni militari e persino meno letale dell’attacco alla metropolitana di Tokio nel 1995[1].

In altri termini, lo scopo principale dell’ordigno esploso a Iblid è propagandistico. Esso ricorda la “bomba di mortaio” nel mercato di Sarajevo, il 5 febbraio 1994, ventitré anni fa.

Alle 12.10 un proiettile di mortaio da 120 millimetri – lo si disse sparato dalle colline che circondavano la città e dove operava l’artiglieria serba comandata dal generale Ratko Mladic – colpì in pieno il mercato; 68 persone morirono e oltre 140 rimasero ferite.

In realtà le tre inchieste sulla strage non hanno mai accertato con elementi di prova chi aveva sparato e da dove. Ed è più che un sospetto che invece la bomba fu collocata a mano.

Al di là delle molte incertezze, rimane un punto fermo: tanto le immagini della stage di siriani a Iblid così come quelle di Sarajevo giunsero sui monitor della BBC a velocità della luce, come accadrebbe se le telecamere fossero in posizione per un evento atteso.

Alla bufala del bombardamento coi gas, Trump ha risposto con la bufala del bombardamento coi missili Tomahawk.

Il missile Tomahawk porta mezza tonnellata di esplosivo a 1600 miglia, colpendo con una precisione di un cerchio di 10 metri di diametro, meno esteso dell’area di rigore d’un campo di calcio.

Un solo missile Tomahawk ha potenza sufficiente per distruggere Montecitorio e i palazzi contigui.

Dicono d’averne lanciati 59, tutti sulla base aerea di Shayrat, la cui estensione è più o meno quanto l’aeroporto di Ciampino. Tre missili Tomahawk basterebbero a metterne fuori uso le piste per mesi. Altri nove o dieci, con la micidiale precisione consentita dai computer che governano quell’arma, basterebbero a distruggere senza rimedio i centri trasmissione, gli hangar, i depositi carburante e le sale operative.

Dicono d’averne lanciati 59. La base ha ripreso a funzionare dopo poche ore: è quindi un flop. Com’è possibile? È semplice: non è un flop. Quel risultato è l’esito pianificato e ottenuto d’una scelta operativamente costruita.

In altre parole, i missili lanciati davvero sono di gran lunga meno dei 59 dichiarati[2]. In conclusione, i precisissimi computer a governo dei missili hanno avuto come bersaglio tutt’altro che parti vitali della base.

È una novità? Niente affatto. Clinton ricorse di frequente a queste sceneggiate, ogni volta che i suoi amici sauditi e Al Qaida gli tiravano giù un grattacielo o una nave da guerra.

Il ruolo della Corea del Nord

Quando il 6 marzo Pyongyang ha lanciato quattro missili nel Mar del Giappone, gli osservatori occidentali ostili a Trump hanno frettolosamente concluso che la sua politica di sicurezza andava in stallo.

La Corea del Nord, secondo costoro, aveva dimostrato capacità di colpire le basi USA in terra nipponica, oltre che in Corea del Sud, oltre che raggiungere la base americana nel Pacifico, nell’isola di Guam.

Alla vigilia della visita del presidente cinese a Washington, era un bel grattacapo per Trump.

La Corea del Nord sta alla Cina come le forze esploranti stanno a un esercito che attacca. Queste, spingendosi avanti, cercano i punti deboli del nemico; con rapide puntate offensive ne saggiano la capacità di reazione.

Se tu non rispondi militarmente alla piccola Corea del Nord, significa che ancor meno puoi rispondere a noi, da tempo sogghignavano da Pechino, illudendosi di poterlo fare anche con Trump.

Con le precedenti amministrazioni americane s’era raggiunto un equilibrio, dietro al quale c’è un’inquietante massa di denaro, nero e incontrollato.

La Cina saccheggia l’Africa a proprio vantaggio e dà impulso alle migrazioni di massa che favoriscono il disordine in cui guazzava la politica dei Bush e dei Clinton.

Gli USA, controllando il mercato del petrolio e tenendo in perenne tensione tutto il mondo, avevano man salva a speculare con le armi, col petrolio e coi ritorni commerciali da Pechino.

La Russia, in questa temperie, sarebbe dovuta andare verso la necrosi, per poi farsi saccheggiare le materie prime, con la Cina pronta a dilagare in Siberia.

Questo era il piano, in pieno svolgimento sotto gli occhi di tutti fino all’arrivo di Trump.

Il nuovo presidente si è messo di traverso: noi e la Russia abbiamo bisogno di stabilità e pace. Apriti cielo.

Trump ha quindi messo in discussione equilibrio propugnato dai drone del premio Nobel per la pace. Trump non vuole la sicurezza degli USA condizionata dall’instabilità, tanto meno la vuole condizionata dalla Cina, né vuole favorirne le produzioni industriali a spese di quelle statunitensi e, conseguentemente, occidentali. Per esempio, le limitazioni ecologiche – di scarsissimo effetto sulle produzioni cinesi per carenza di controlli – sono una pesante limitazione oggettiva a quelle statunitensi ed europee.

La Corea del Nord intanto s’è svelata. Dopo i chiari avvertimenti di Trump, invece di mantenere la minaccia dell’esplosione nucleare o di un test missilistico strategico, ha schierato innocue unità di artiglieria a lungo raggio sulla propria costa orientale. Una innocua quanto grottesca dimostrazione di forza che non c’è. Ha fatto flop con un test missilistico e – quel che è più importante – non sembra godere più dell’appoggio della Cina. Pechino ha capito che la musica è cambiata. La Corea del Nord tenterà di salvare le apparenze insieme a quanto potrà del vecchio ruolo, ma questo è un problema che pesa su Pechino, non su Washington.

Come faranno adesso i lobbisti clintoniani a sibilare nei corridoi del congresso l’urgenza di accordi con la Cina? Ci si può interrogare circa la genuinità delle intenzioni di Pechino nei confronti di Trump, ma queste incertezze sono nel DNA della politica internazionale. D’altronde Trump saprà ben badare a se stesso, visto come ha fatto le scarpe alla Killary Clinton.

Un abbraccio come un manifesto politico

Nelle prossime settimane vedremo come si porranno gli equilibri con Mosca e Pechino. Forse scopriremo che Trump, Putin e Xi Jinping sono molto più interessati alla pace di quanto le cronache abbiano lasciato immaginare. E così la viperina Nancy Pelosi potrà tornare a dare il meglio di sé, insieme a Hussein Barak Obama, il primo ex presidente rimasto a Washington dopo la fine del mandato. Chissà perché?

Se Trump avesse dichiarato che i gas erano una bufala, il mainstream mediatico, sicuramente pronto e orchestrato, lo avrebbe subissato mentre il presidente cinese era in visita ufficiale. Sarebbe stata una catastrofe politica e comunicativa senza precedenti. Trump sarebbe quindi rimasto scoperto davanti alle provocazioni della Corea del Nord, alleata della Cina.

In definitiva Trump avrebbe dato prova di tradire uno dei punti cardine del suo programma elettorale: la sicurezza degli Stati Uniti.

L’insidia che Trump ha superato è stata concepita da “menti raffinatissime”, di concerto a Washington, a Pechino e a Pyongyang. Il presidente americano ha tuttavia dimostrato ampiamente di non essere uno sprovveduto, ben consapevole invece del tipo di guerra che lo insidia.

Non è solo una guerra fra Stati. Sono numerose le entità transnazionali – a cominciare dalle grandi banche internazionali – in grado di influire sulla pace e sulla guerra.

È una guerra già in corso da tempo, suscettibile di spiralizzare in conflitto mondiale da un momento all’altro.

È la lotta fra il mondo della speculazione finanziaria che vuole la guerra e quello della produzione industriale che vuole stabilità e pace.

La cosiddetta “globalizzazione” è stata finora materializzata dalla preminenza della finanza speculativa, polarizzatasi sul controllo delle fonti energetiche, di conserva con il complesso militare industriale statunitense.

Per comprenderci con un esempio semplice e storicizzato, le armi di distruzione di massa, prese a movente della guerra contro l’Iraq nel 2003, furono una bufala sulla quale convergevano gli interessi delle cerchie clintoniane e quelle dei petrolieri, poiché in quel modo il petrolio di Saddam Hussein rimase fuori dal mercato, giovando alle manovre speculative sul costo del barile.

In quell’occasione non si ricordano prese di posizione circa l’uso inappropriato della forza militare.

In altre parole, finita la Guerra Fredda, i circoli arricchitisi fino a quel momento a causa di essa, si sono preoccupati di tenere il mondo in una situazione di incertezza che legittimasse la loro preminenza.

Trump è il primo presidente degli Stati Uniti nel post Guerra Fredda a rappresentare l’industria manufatturiera, l’economia reale, la cui necessità peculiare e primaria è la stabilità e la pace, nonché la diffusione del potere di acquisto e del benessere.

Al contrario, la finanza speculativa necessita di destabilizzazione continua, meglio ancora se guerra vera e propria, per far schizzare i listini energetici e delle materie prime, consentendo concentrazioni speculative che solo il disordine diffuso può assicurare.

L’abbraccio fra George Bush e Hillary Clinton, durante la campagna presidenziale, ha fatto gongolare tanti, poi delusi crudelmente dai risultati. Quell’abbraccio  è un manifesto politico senza possibilità di smentita: il presidente repubblicano delle guerre del post Guerra Fredda si stringe nelle braccia della candidata che prometteva la distruzione della Russia, proseguendo la scellerata politica del di lei marito.

L’elezione di Trump ha interrotto la strategia del sangue, avviatasi con le stragi balcaniche, prolungatasi coi ripetuti tentativi di ripetere in Russia la deflagrazione serba, espandendo senza confini la bolla di instabilità.

Su questa linea strategica si sono polarizzati interessi almeno dagli inizi degli anni ’90, cioè quasi trent’anni. È ingenuo supporre che Trump possa invertire la tendenza con un colpo di bacchetta magica.

Se non sarà ucciso prima, egli deve in qualche misura barcamenarsi, mano a mano che conquista il controllo completo della macchina statale, consapevole che Barak Obama, è rimasto a Washington per strozzarlo non solo politicamente.

D’altronde è naturale che Trump, consapevole che gli alleati – della NATO e della UE – sono permeati e corrotti dalle strategie speculative ben più di quanto lo siano gli Stati Uniti (in Italia abbiamo pochi motivi per dubitarne), preferisca una linea autonoma piuttosto che il compromesso con amici inaffidabili.

Il presidente USA ha lanciato la superbomba sulla testa dell’ISIS, dimostrando che egli è davvero sul fronte opposto rispetto al terrorismo islamico, blandito dai suoi predecessori.

Il messaggio è arrivato forte e chiaro innanzi tutto a Pechino, i cui governanti devono chiedersi se sono in grado di utilizzare ancora la Corea del Nord, alla stregua dell’Unione Sovietica con Cuba.

Quanti hanno finora sostenuto i Clinton, gli Obama e i Bush farebbero bene a tacere di fronte all’unico tentativo possibile di scongiurare la guerra mondiale che i tre hanno consapevolmente concertato e avviato.

Trump, con la superbomba, ha mostrato un esempio di apocalisse prossima ventura, l’ha mostrata a spese dell’ISIS, non dei serbi, dei siriani o degli africani. Ce ne faremo una ragione. Soprattutto smettiamo di utilizzare categorie sentimentali per fare nebbia sulla guerra, alle viste dal 1991, non per responsabilità di Trump o di Putin, bensì dei Bush e dei Clinton e dei loro caudatari in Europa e in Italia. Ma non preoccupiamoci del futuro di costoro, sono già caudatari di Trump.

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[1] Nel 1995, un quintetto di membri di Aum Shinrikyo – gruppo religioso, guidato da Shoko Asahara, autonominatosi “Sacro Imperatore del Giappone” – attaccarono col gas Sarin i pendolari sulla metropolitana di Tokyo. I cinque, saliti sui treni nell’ora di punta, giunti alla stazione di Kasumigaseki, lo snodo più trafficato, aprirono 11 sacchetti di plastica che contenevano gas Sarin in soluzione liquida, molto pericolosa ma non in concentrazione apocalittica, per fortuna. I cinque bellimbusti, pur avendo assunto un antidoto, erano tuttavia consapevoli che una concentrazione maggiore sarebbe stata sgradevole anche per loro.

Diffusosi il gas nell’aria, seguì il caos. Dodici persone morirono e ben 5mila ebbero necessità di soccorsi. Non fu un bombardamento come quello avvenuto a Damasco, secondo le fonti anglo americane e sunnite. Per ogni deceduto a Tokyo, con una concentrazione modesta, si ebbero oltre 400 lesionati. Nel caso di Damasco, su oltre 1000 deceduti, dovremmo avere almeno un 100mila persone con gravi lesioni oculari, polmonari, cerebrali e cardiache, a causa del cosiddetto bombardamento. Dove sono queste centinaia di migliaia di sfortunati cittadini siriani?

[2] Nel 2011, con effetti davvero catastrofici, su tutte le installazioni di Gheddafi ne lanciarono 110.

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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9 risposte a Il Presidente Donald Trump fra Mosca e Pechino

  1. Federico Dezzani scrive:

    Dico che per formazione, mentalità e visione sei indissolubilmente legato alla Guerra Fredda / mondo unipolare a guida americana. Non c’è niente di male: ognuno vive la sua epoca.

    • Piero Laporta scrive:

      Allibisco. E’ da dilettanti personalizzare una polemica come questa e mi pare sbagliata anche la sede. D’altronde che cosa sai tu di me per vaticinare sulla mia formazione? Stai sui fatti oggettivi. Se continui su questo binario morto, prosegui da solo.

  2. sigmund scrive:

    Una interessante interpretazione di eventi confusi e interpretabili solo da chi ha accesso alle chiavi di lettura delle operazioni in corso.
    Questo pezzo ha il merito di riaccendere le speranze di chi era rimasto deluso dal comportamento del nuovo inquilino della casa bianca, dopo i prematuri sospiri di sollievo in merito all’allontanamento di una guerra che sembrava ormai imminente.
    Non so se le cose stiano effettivamente come le ha descritte il generale, ma fa piacere pensarlo, sperando di non dover essere bruscamente riportati a una realtà più dura e pericolosa.

    • Piero Laporta scrive:

      La lettura degli avvenimenti è un conto, sebbene offerta alla luce dei fatti oggettivi (tecnologia dei missili e dei gas, per esempio). Altro è attendersi che gli eventi siano predeterminati o in qualche modo influenzabili, tanto meno dall’Italia.
      Repetita iuvant:”Il presidente USA ha lanciato la superbomba sulla testa dell’ISIS, dimostrando che egli è davvero sul fronte opposto rispetto al terrorismo islamico, blandito dai suoi predecessori. Il messaggio è arrivato forte e chiaro innanzi tutto a Pechino, i cui governanti devono chiedersi se sono in grado di utilizzare ancora la Corea del Nord, alla stregua dell’Unione Sovietica con Cuba.Quanti hanno finora sostenuto i Clinton, gli Obama e i Bush farebbero bene a tacere di fronte all’unico tentativo possibile di scongiurare la guerra mondiale che i tre hanno consapevolmente concertato e avviato. Trump, con la superbomba, ha mostrato un esempio di apocalisse prossima ventura, l’ha mostrata a spese dell’ISIS, non dei serbi, dei siriani o degli africani. Ce ne faremo una ragione. Soprattutto smettiamo di utilizzare categorie sentimentali per fare nebbia sulla guerra, alle viste dal 1991, non per responsabilità di Trump o di Putin, bensì dei Bush e dei Clinton e dei loro caudatari in Europa e in Italia. Ma non preoccupiamoci del futuro di costoro, sono già caudatari di Trump.
      Tutti noi eravamo da un pezzo entro la Terza Guerra Mondiale. Il tentativo di Trump di spostare gli interessi strategici statunitensi dalla finanza speculativa (e quindi dalla guerra) alla produzione industriale, sarà ricordato dagli storici come un punto cruciale nel cammino dell’umanità. Quale direzione l’umanità sceglierà al crocevia, oggi lo sa però solo Nostro Signore.

  3. Alessandro Gentili scrive:

    Beh! Caro Piero, hai prodotto una analisi enciclopedica, che mette a disposizione dei lettori una panoramica straordinaria con considerazioni molto aderenti alla realtà più cruda.
    Certo, trarre conclusioni è arduo. Io rimpiango il mondo della guerra fredda. Stavamo tutti più tranquilli. I 70 anni di pace in Europa, quella dell’Unione Europea, hanno per contro un prezzo molto alto perchè le guerre in tutto il resto del mondo non sono mai cessate e perché abbiamo avuto la capacità di far nascere un fenomeno nuovo, terrificante: il terrorismo internazionale!
    Quindi, concludo: che bello quando gli stati erano stati e ogni tanto se le davano di santa ragione. era tutto più semplice. Si controllava la crescita demografica, si incentivava la ricerca, si viveva una vita più naturale rispetto quella artificiale di ora! GLi sgarbi internazionali venivano lavati col sangue. Tutti stavano più attenti a quello che facevano. Oggi invece ricorriamo alla CEDU!
    Su Trump non mi esprimo, ammiro invece molto Putin che è innegabilmente il migliore degli statitsti che ci sono in circolazione. Tutti gli altri sono dei mestieranti in cerca di autore.
    Condanno nel modo più fermo ogni tentativo di eliminare Assad: volerlo cacciare/eliminare sarebbe una follia peggiore della eliminazione di Gheddafi e Saddam Hussein!

  4. Federico Dezzani scrive:

    Gli americani hanno cercato di separare Russia ed Iran così da agganciare Putin al blocco occidentale. Fallito. Ora flirtano con la Cina per staccarla dalla Russia. Fallirà. A quel punto avremo o gettano la spugna o incendiano le polveri. Mai considerato il palazzinaro di New York come un Messia: poteva essere una novità ma è già scaduto. Spazzatura.

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