Perché l’Economia non Tira? – di Luciano Prando

Se si chiedesse a Monsieur de Lapalisse “perché l’economia italiana non tira?”, egli risponderebbe “perché non tira” e avrebbe ragione. L’Italia è ultima in Europa per crescita del Pil, penultima (ultima la Grecia) nella percentuale di occupazione della forza lavoro disponibile (62% rispetto al 79% in Germania, il 71% in Francia, 66% in Spagna). È pure ultima in Europa per debito d’impresa: 1.800 miliardi (30.000 euro per abitante), molto vicina al minimo indispensabile operativo.
La Spagna è a 1885 (41.000 per abitante). La Germania è a 2970 (37.000 per abitante) e non computa i crediti concessi dalle 13 banche regionali alle piccole/medie imprese locali, che farebbero salire il debito del 10-20%. La Francia è a 3600 (55.000 per abitante).
Delle 26 più grandi aziende italiane ben 15 sono banche e assicurazioni, cui si aggiungono altre attività di servizi come Telecom oppure Eni, la quale, nel 1953 da Enrico Mattei, ha cessato di creare lavoro in Italia mentre lo crea in tutto il mondo. Dopo Luxottica, diventata una multinazionale, l’Italia non ha alcuna impresa manifatturiera privata di rilievo.
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”33%”]Questo articolo spiega perché i lamenti del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, da quando si è insediato il governo Conte, non van presi molto sul serio. Se gli industriali italiani vogliono i soldi degli italiani, dimostrino di meritarli.

p.l.[/cryout-pullquote]

L’economia langue poiché gli imprenditori non rischiano, sono interessati a indebitarsi per crescere. La crisi li ha liberati di molti concorrenti aggressivi; hanno a disposizione forza lavoro per ogni ruolo in abbondanza, a tempo determinato (flessibilità), bassi salari, utili più che sufficienti, meglio non rischiare e tenere il regime del motore basso. Se poi capita l’affare, vendono, dedicandosi alla speculazione finanziaria.
Il ministro Paolo Savona avrebbe voluto più investimenti produttivi nella legge di bilancio, chiedendo ai burocrati europei di non contabilizzarli come debito. Se il suggeruimento fosse stato recepito in finanziaria, il ping pong di zero virgola sarebbe stato ossessivo.
Così come fan tutte le altre nazioni, ci servirebbe un nuovo Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale, in Germania si chiama Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), i cui debiti siano garantiti dallo Stato ma non contabilizzati come debito statale.
Le dispute con l’Europa? Superflue ed evitabili. Il credito, garantito dallo Stato, la nuova Iri potrebbe trovarlo nel mondo finanziario globale, fregandosene dello spread.
Nel mondo consumistico d’una volta bastava aver soldi per metter su una fabbrichetta e vendere un prodotto. Oggi bisogna capire quali prodotti il mercato globale è disponibile ad acquistare; in quale nicchia produrre senza attacchi di concorrenti internazionali. Occorre capire come e dove vendere il prodotto, chi potrebbe produrlo, per arrivare, finalmente all’investimento necessario per produrrre e soprattutto vendere.
La base per un nuovo Iri esiste, è la Cassa Depositi e Prestiti. Essa al momento funziona come un fondo sovrano (fondo d’investimento di proprietà statale), finanziando questa o quella impresa, sovente a seguito di pressioni politiche. Sarebbe invece necessaria una struttura operativa di marketing settoriale, la cui dirigenza dovrebbe cercarsi ovunque nel mondo; se si trovasse un bravo cinese, si assuma pure il cinese, purché sia capace e produttivo. Alla politica rimanga la nomina dei Consigli d’Amministrazione, con funzioni appunto di controllo amministrativo. Non si affidi il management ai professori di economia. Se fossero davvero capaci di applicarla, sarebbero miliardari e non farebbero i professori.
Tempo fa, per regalare le aziende statali, si disse “non spetta allo stato produrre panettoni”. Oggi è oramai evidente il dovere dello Stato di preservare i marchi, anche quelli, per rimanere su panettoni e dolci, come Pernigotti o Melegatti. Occorre preservare questi marchi insieme al know how di tecnologie strategiche o dell’industria automobilistica. Tutto ciò non fu fatto né si sta facendo, non è in programma di esser fatto. L’economia quindi non tira.
Se il capitalismo privato non sostiene adeguatamente l’economia dell’Italia, si dovrebbe, si deve intervenire col capitalismo di Stato. ©Luciano Prando 2019

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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2 risposte a Perché l’Economia non Tira? – di Luciano Prando

  1. rolando stefano scrive:

    L’Italia ha le aziende e i prodotti adatti per l’esportazione ma forse non sono appetibili per i grandi manovratori e quindi vengono quasi nascosti..finchè non arriva in Sicilia un certo Xi e le arance partono via aerea; nessuno si era accorto che era possibile restando il prezzo competitivo,si era preferito tempo fà distruggerle con l’AIMA,con qualche intrallazzo in più.Ai tempi di Moro e Berlinguer si era parlato di forti investimenti in agricoltura ma non avevano fatto in tempo a dirlo che è finita come è finita..L’Olanda,che non ha materie prime come l’Italia ha favorito la floricoltura ed ora ha un’entrata costante con prodotti di largo consumo giornaliero.
    La Sicilia è un posto interessante,solo in tempi relativamente recenti è stata preferita dagli americani per lo sbarco,da Beppe Grillo per iniziare mediaticamente la campagna elettorale con la traversata dello stretto e ora da Xi per ..l’acquisto delle arance.Buona Fortuna Sinceramente

  2. oscar scrive:

    Ancora negli anni ’70 il prof. Valerio Selan, docente di scienza delle finanze e consulente di Confindustria, spiegava agli studenti perché certi servizi pubblici non potevano essere privatizzati e dovevano necessariamente essere gestiti dalla mano pubblica. qualche anno prima, già Petrilli (ne “Lo stato imprenditore”) aveva rilanciato sulla funzione dell’IRI. La storia dell’ENI di Mattei la conoscete tutti. Nato nel ’33, l’IRI fu un modello studiato da tutto il mondo e ancora funzionante in mano ai tedeschi. Furono gli anni dello sviluppo, del Boom! … poi fu solo PRODI. Malgrado quest’ultimo, Ciampi, Draghi, Monti e via discorrendo di personaggi sinistri, l’Italia è ancora la seconda manifattura d’Europa e se vogliamo che si possa adesso contrastare in senso anticiclico la prossima fase recessiva alle porte non resta che: “Così come fan tutte le altre nazioni, ci servirebbe un nuovo Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale, in Germania si chiama Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), i cui debiti siano garantiti dallo Stato ma non contabilizzati come debito statale.”. Giusto! Abbiamo ancora la Cassa D. P. . Lo capiranno i nostri? Ho seri dubbi.

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